Settembre 2019



Si aggrava di giorno in giorno la situazione degli incendi in Amazzonia e il WWF lancia l’allarme per la fauna e la flora già a rischio di questa preziosa ecoregione che conta una notevolissima quantità di specie: gli incendi rischiano di dare il ‘colpo di grazia’ a 265 specie già classificate in grave pericolo, 180 animali e 85 vegetali. Il 76% di queste sono poste sotto varie forme di tutela come la Conservation Units o il National Action Plans compresi i parchi nazionali, dando così un’attenzione prioritaria: il dramma degli incendi di questi mesi rischia però di vanificare tutti gli sforzi di conservazione sinora fatti. Per alcune specie, come l’armadillo gigante, il pecari labiato e il formichiere gigante, il fuoco è diventato il pericolo più grave.

Il WWF sceglie proprio l’AMAZON DAY per puntare l’attenzione sulla perdita di biodiversità di questo importante bioma: la ricorrenza fino ad oggi è stata celebrata quasi esclusivamente in Brasile dal 1850 per ricordare la creazione della Provincia, poi divenuta Stato, di Amazonas, ma che alla luce della tragedia ambientale di queste settimane per il WWF la giornata merita un’attenzione globale.

Il rischio è ancora più grave per tutte le altre specie colpite dagli incendi e che non rientrano in alcuna forma di tutela: è il caso di una specie di opossum (Caluromysiops irrupta) scoperto in Rondonia nel 1964, uno degli stati maggiormente colpiti dalla deforestazione. Altre 60 specie amazzoniche si trovano in una situazione di vulnerabilità.

Specie a rischio nelle aree protette
Il fuoco non ha risparmiato nemmeno le aree protette, soprattutto quelle maggiormente ferite dalla deforestazione. In 10 aree protette * , dalla Foresta di Altamira all’area protetta di Tapajos, vivono almeno 55 specie a rischio (44 animali e 11 vegetali), 24 delle quali sono endemiche e 5 di queste sono fortemente minacciate dal fuoco: tra i mammiferi l’armadillo gigante, il pecari labiato e il formichiere gigante mentre tra gli uccelli la maestosa aquila coronata e il tinamo grigio.

Il fuoco minaccia anche gli ambienti di acqua dolce
Anche gli ecosistemi acquatici delle foreste in Amazzonia sono messi a dura prova dagli incendi perché vengono distrutte le foreste ripariali. Altre minacce sono le polveri generate dal fuoco, l’erosione del suolo e l’interramento dei fiumi. Il Rio delle Amazzoni, il più grande bacino fluviale del mondo, è la ‘casa’ di tantissime specie di pesci, cibo primario e risorsa economica per le numerosissime comunità indigene. L’impatto su questo bioma colpirà inevitabilmente anche l’economia locale.

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Una malformazione rara che colpisce un bimbo ogni 4mila. E una squadra di esperti ancora più rara, perché unica in Italia, in grado di correggere questa malformazione con un intervento ideato apposta e capace di ridare a questi bimbi una qualità di una vita pressoché normale. Sono i due ingredienti fondamentali per una storia a lieto fine che ha come protagonisti il piccolo Alessandro, che oggi ha ancora poche settimane di vita, e gli specialisti del Policlinico di Milano. "Un intervento delicatissimo - racconta Ernesto Leva, direttore della Chirurgia Pediatrica - ideato proprio da noi e che ad oggi può essere eseguito solo nel nostro Ospedale, proprio per le competenze necessarie ad eseguirlo".


Alessandro è nato nella notte del 13 agosto: ma la gioia del suo arrivo viene subito interrotta, perché il piccolo ha una grave malformazione che ha fuso insieme parti dell'intestino con le vie urinarie. Un problema che non è purtroppo diagnosticabile con le ecografie di controllo durante la gravidanza, e anche per questo è ancora più inaspettato. Per fortuna Alessandro è nato nell'Ospedale giusto: di norma questa malformazione richiede tre lunghi e laboriosi interventi ricostruttivi, ma proprio al Policlinico lo stesso dottor Leva ha ideato una tecnica innovativa, capace di gestire il caso con un unico intervento chirurgico, e con un impatto minore sul decorso post-operazione. L'intervento viene quindi programmato immediatamente: "Era Ferragosto - aggiunge Leva - ma al Policlinico non esistono giorni diversi dagli altri: siamo sempre al servizio dei bambini, con eccellenze sempre pronte".

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Giovanni Zanchetta dell’Università di Pisa coordinatore italiano della ricerca pubblicata sulla rivista Nature


Stagioni più estreme, con estati più calde e aride e maggiore instabilità autunnale dovuta a forti precipitazioni specie fra settembre e dicembre. Questa potrebbe essere la tendenza futura del clima nel Mediterraneo a seguito del riscaldamento globale che emerge dallo studio dei sedimenti del lago di Ohrid, il più antico di Europa, al confine tra Albania e Macedonia del Nord. La notizia arriva da uno studio appena pubblicato sulla rivista Nature e condotto da un vasto consorzio internazionale capitanato dal professore Bernd Wagner dell’Università di Colonia e coordinato per l’Italia dal professore Giovanni Zanchetta del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, fra i “Principal Investigator” dell’intero progetto.
“Le proiezioni dei modelli fisico-matematici sul clima futuro nel Mediterraneo a seguito del riscaldamento globale sono caratterizzate da ampie incertezze soprattutto per quanto riguarda l’andamento delle precipitazioni, da cui dipende la disponibilità idrica di oltre 450 milioni di persone – spiega Zanchetta - Per comprendere meglio i possibili scenari futuri è quindi necessario indagare il clima passato e da questo punto di vista il lago Ohrid è uno scrigno ricco di informazioni preziosissime sull’evoluzione clima nel Mediterraneo nell’ultimo milione e mezzo di anni”.

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L’Amazzonia è ancora sotto scacco: da un lato la natura divorata dalle fiamme, dall’altro popolazioni che restano senza spazi per vivere e sostenersi. Per capire quali siano le ‘micce’ che hanno scatenato questo inferno e come si stia affrontando questa emergenza, il WWF ha raccolto la testimonianza di Jordi Surkin, direttore dell’Unità di Coordinamento Amazzonica del WWF Latino America che vive e lavora in una delle aree più colpite della foresta tropicale sudamericana, la foresta di Chikitana del territorio boliviano.


TRE ECOREGIONI COLPITE NEL CUORE


“Gli incendi stanno colpendo tre ecoregioni tra le più importanti per il pianeta, in una area compresa tra Bolivia, Brasile e Paraguay: la prima è l’Amazzonia, la foresta tropicale più estesa del pianeta, bacino idrico fondamentale che conserva il 20% dell’acqua globale e che riesce a stoccare il 25% del carbonio presente sulla terra. Questi incendi stanno liberando il carbonio nell’atmosfera aumentando così i danni dei cambiamenti climatici globali. L’Amazzonia custodisce il 10% delle specie globali con animali simbolo come il giaguaro. La seconda è il Pantanal, la zona umida più vasta del pianeta, incastonata tra Brasile, Bolivia e Paraguay. La terza area è la Chikitana forest, tra Bolivia e El Chaco. Il fuoco quindi sta minacciando aree di enorme importanza per la conservazione della biodiversità del pianeta, per la regolazione del clima e soprattutto fondamentali per la sopravvivenza di intere comunità che stanno perdendo le loro terre, la possibilità di avere cibo e ricavare guadagni, e in molti casi la loro casa. Il costo umano e sociale di questi incendi disastrosi è enorme, la gente deve saperlo. Alcuni scienziati considerano questi incendi un acceleratore del trend già in atto nella foresta verso il ‘tipping point’, ovvero, il punto di non ritorno per l’Amazzonia rispetto alla sua capacità di regolare il clima”.

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Lo rivela un fossile di 5 milioni di anni fa scoperto vicino a Grosseto dai paleontologi dell’Università di Pisa


Il beluga (Delphinapterus leucas) e il narvalo (Monodon monoceros) sono due affascinanti cetacei che vivono esclusivamente nelle gelide acque artiche, senza mai allontanarsene, e sono gli unici rappresentanti attuali della famiglia dei Monodontidi.
Oggi è impossibile vederli nelle calde acque del Mediterraneo e ancora più assurdo - almeno così si pensava - che potessero essere vissuti in questo mare all’inizio del Pliocene, quando il nostro clima era tropicale. Invece è successo. Ad Arcille, vicino a Grosseto, in una cava di sabbia è stato scoperto il cranio fossile di un monodontide di circa 5 milioni di anni fa. Gli è stato dato il nome di Casatia thermophila. ‘Casatia’ è un omaggio a Simone Casati, scopritore di molti importanti fossili della Toscana e in particolare della cava di Arcille, e ‘thermophila’ significa ‘amante del caldo’ per sottolineare che questo cetaceo viveva in acque tropicali.

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