Ottobre 2021

Una ricerca del team dell’Università di Trieste pubblicata sulla rivista scientifica Scientific Reports ha studiato gli effetti delle varianti circolanti di SARS-CoV-2 sull’interazione con degli anticorpi monoclonali utilizzati in terapia. Attraverso l’uso di tecniche di simulazione molecolare sono stati identificati i residui aminoacidici del virus che, una volta mutati, possono causare una drastica diminuzione dell’efficacia terapeutica di questi agenti.

Possibili applicazioni nella previsione dell’efficacia e nello sviluppo di nuove terapie antivirali.

Uno studio di un gruppo di ricercatori dell’Università di Trieste pubblicato sulla rivista Scientific Reports (Springer Nature) ha utilizzato un approccio computazionale per prevedere gli effetti delle varianti di SARS-CoV-2 sull’efficacia terapeutica di due anticorpi monoclonali, bamlanivimab e etesevimab. Gli anticorpi monoclonali sono derivati, tramite particolari procedure di laboratorio, da molecole che il nostro organismo produce naturalmente in risposta ad un’infezione o dopo la somministrazione di un vaccino. I due anticorpi somministrati insieme sono autorizzati dallo scorso febbraio per il trattamento di COVID-19 da lieve a moderato, sia negli Stati Uniti che in Europa.

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L’Azienda Ospedaliera dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” protagonista di una nuova pagina della Medicina.
La Clinica Oculistica dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli è il primo Centro in Europa per numero di pazienti pediatrici con una forma di malattia ereditaria della retina trattati con terapia genica.
Un trattamento una tantum (Luxturna – Voretigene neparvovec), che combina durabilità, efficacia e un profilo di sicurezza favorevole, indicato per pazienti con distrofia retinica ereditaria causata da mutazioni bialleliche del gene RPE65 e che abbiamo sufficienti cellule retiniche vitali.

Sono dieci i bambini, provenienti da diverse regioni del Centro e del Nord Italia, ad aver riacquistato la vista grazie alla prima terapia genica, voretigene neparvovec di Novartis, per distrofie retiniche ereditarie effettuata presso l’Azienda ospedaliera dell’Ateneo Vanvitelli di Napoli. Una terapia, approvata e rimborsata in Italia, per una rara forma di distrofia retinica ereditaria, quella legata a mutazioni in entrambe le copie del gene RPE65, che ha visto il suo esordio, circa 15 anni fa, con una sperimentazione di fase I realizzata grazie alla collaborazione tra l’Università Vanvitelli, la Fondazione Telethon e il Children Hospital di Philadelphia.

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Lo dimostra un nuovo studio, realizzato da ricercatori dell’Università di Bologna e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), che ha individuato per la prima volta, all’interno della Grande Nube di Magellano, un ammasso stellare che ha avuto origine in una galassia diversa.


Come fanno a crescere le galassie? “Mangiando” galassie più piccole. E questo non vale solo per le grandi galassie che inglobano le loro galassie satellite. Ma le stesse galassie satellite, a loro volta, sono in grado attirare e inglobare al loro interno galassie ancora più piccole che le orbitano attorno. A mostrarlo, per la prima volta, è uno studio pubblicato su Nature Astronomy e guidato da ricercatori dell’Università di Bologna e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). All'interno della Grande Nube di Magellano, la più grande galassia satellite della Via Lattea, gli studiosi hanno infatti individuato un ammasso stellare (un gruppo molto denso di miliardi di stelle) con caratteristiche chimiche molto diverse da quelle degli altri ammassi vicini. Tanto diverse da poter escludere che quelle stelle siano nate all’interno della galassia in cui si trovano oggi. Questo singolo ammasso stellare – chiamato NGC2005 – deve quindi aver avuto origine altrove, in una piccola galassia satellite, ed essere poi sopravvissuto dopo che questa è stata inglobata all'interno della Grande Nube di Magellano.

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Mercoledì, 20 Ottobre 2021 11:58

La zanzara coreana è arrivata in Lombardia


Uno studio guidato dall’Università degli Studi di Milano rivela la diffusione in Lombardia di una specie di zanzara in grado di resistere ai climi più freddi, originaria della Corea e di altre aree dell’estremo oriente. I risultati sono stati pubblicati su "Parasites & Vectors" .
Aedes koreicus, la zanzara coreana resistente al freddo, è sempre più diffusa in Lombardia: lo rivela una ricerca condotta dall’Università degli Studi di Milano e recentemente pubblicata su "Parasites & Vectors" L’introduzione involontaria da parte dell’uomo di specie aliene di animali e di piante, al di fuori del loro territorio d’origine, è un fenomeno in costante aumento, basti pensare alla ben nota zanzara tigre (Aedes albopictus), originaria dell’Asia e ora diffusa in tutta Europa. La capacità di dispersione di specie aliene di zanzare è favorita da diversi fattori, quali le condizioni climatiche, il continuo movimento di persone e di merci, la disponibilità di ambienti adatti allo sviluppo delle larve e di ospiti sui quali questi insetti possano compiere il pasto di sangue. Recenti studi hanno messo in evidenza come un’altra specie di zanzara, la zanzara coreana Aedes koreicus, sia stia diffondendo in maniera particolarmente rapida sul nostro territorio, in particolare nell’area pedemontana e di pianura del nord Italia.

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Lo studio pubblicato sulla rivista internazionale “FOODS“.


Dalla ricerca arrivano i lieviti del pane amici del nostro microbiota che aiutano l’assorbimento dei minerali come il ferro e lo zinco. Un gruppo di scienziati dell’area agro-alimentare e medica dell’Università di Pisa di cui fanno parte Monica Agnolucci, Giuseppe Conte e Manuela Giovannetti ha identificato per la prima volta nuovi ceppi di lieviti che mostrano attività antiinfiammatorie. Si tratta di lieviti capaci di produrre alti livelli di acido linoleico coniugato e di acido propionico, composti noti per le loro specifiche proprietà salutistiche, anticarcinogeniche e ipocolesterolemiche.

Pubblicato sulla rivista internazionale “Foods”, lo studio è stato svolto nell’ambito del progetto nazionale “Processing for healthy cereal foods”, finanziato dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca con l’Università di Pisa come capofila che ha coordinato il lavoro di scienziati appartenenti a sette università e a un Istituto del CNR.

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Un team di ricercatori coordinato dal Dipartimento di Psicologia di Sapienza, in collaborazione con l’Istituto di ricerca Santa Lucia IRCCS di Roma e con l’Università dell’Aquila, ha pubblicato sulla rivista JAMA Network Open uno studio che, per la prima volta in Italia, verifica gli effetti negativi sul personale infermieristico del lavoro a turni con rotazione antioraria, aprendo a prospettive potenzialmente innovative per l'organizzazione lavorativa nell’ambito ospedaliero e non solo.


Una nuova ricerca, pubblicata sulla rivista JAMA Network Open e coordinata dal Dipartimento di Psicologia di Sapienza, in collaborazione con il Santa Lucia IRCCS di Roma e con l'Università dell'Aquila, ha studiato per la prima volta in Italia gli effetti del lavoro a turni nel personale infermieristico italiano sulla base della rotazione oraria o antioraria dei turni. Lo studio ha coinvolto 144 infermieri provenienti da 5 ospedali del Centro e Sud Italia, seguiti da luglio 2017 a febbraio 2020.

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Mercoledì, 20 Ottobre 2021 11:04

 Il cervello non sceglie la via più breve



Uno studio dell’Istituto di informatica e telematica del Cnr di Pisa in collaborazione con il Mit di Boston e il Politecnico di Torino dimostra come i pedoni scelgano i percorsi senza calcolare quello più corto per raggiungere la destinazione. Lo studio ha utilizzato i dati della mobilità a piedi di 14mila persone. Il lavoro è pubblicato su Nature Computational Science

La distanza più breve fra due punti è una linea retta. Quando però camminiamo in una città, il percorso diretto verso la destinazione potrebbe non essere possibile. Come decidiamo la strada da prendere?
Uno nuovo studio dell’Istituto di informatica e telematica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iit) di Pisa in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology (Mit) e con il Politecnico di Torino, dimostra che il nostro cervello non è ottimizzato per calcolare il cosiddetto “cammino minimo” quando lo spostamento è pedonale. Il lavoro è stato pubblicato su Nature Computational Science.
Il team di ricerca ha analizzato un data set di oltre 550mila spostamenti a piedi di oltre 14mila persone di Boston e San Francisco e ha scoperto che i pedoni tendono a scegliere percorsi, detti “cammini direzionali”, che sembrano puntare direttamente verso la destinazione anche se potrebbero alla fine risultare più lunghi del “cammino minimo”.

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Iniezioni di plasma concentrato per favorire la gravidanza. Dalla cura delle ferite attraverso i sensori alla creazione di tessuti con dispositivi di ultima generazione: grandi innovazioni nella disciplina che studia le cellule staminali

 La medicina rigenerativa come rimedio all’infertilità femminile, grazie a microiniezioni di plasma e staminali. Il sangue viene prelevato dalla paziente, lavorato per ottenere un concentrato ricco di piastrine e cellule (tra cui appunto le staminali, fondamentali nel processo), e poi, attraverso delle microiniezioni, inserito nell’ovaio, con un aumento delle possibilità di concepimento. È questo uno dei temi di maggior interesse nell’ambito della medicina rigenerativa, su cui il 30 ottobre si terrà il primo Congresso Giovani SIMCRI (Società Italiana di Medicina e Chirurgia Rigenerativa Polispecialistica).

 “Ci sono evidenze scientifiche che, sfruttando le capacità rigenerative del sangue, si possano aiutare le donne ad avere figli – precisa il professor Eugenio Caradonna, presidente nazionale SIMCRI –. Si tratta di una grande opportunità per chi ha difficoltà a restare incinta, perché permette l’ispessimento dell’endometrio, che favorisce il concepimento. Questa tecnica presenta anche tanti altri ambiti di applicazione: per esempio, garantisce grandi risultati nella risoluzione dei disturbi causati dalla sindrome urogenitale tipica della menopausa”. Le cellule staminali rappresentano un’importante materia di studio: la loro individuazione nel sangue consente, infatti, di osservare l’evoluzione di malattie cardiovascolari e degenerative, di valutare l’efficacia dei farmaci e di misurare il livello di stress nei pazienti.

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Struttura della proteasi principale 3CLpro del coronavirus SARS-CoV-2, con in evidenza il sito attivo della proteina a cui può legarsi l'eugenolo


Una collaborazione tra l’Istituto di nanotecnologia del Cnr e le Università della Calabria e di Saragozza ha mostrato che la piccola molecola di questo composto naturale inibisce la proteina 3CLpro del virus SARS-CoV-2, fondamentale per la sua replicazione. Lo studio pubblicato su Pharmaceuticals apre nuove prospettive, da approfondire con ulteriori ricerche.

La campagna vaccinale contro il coronavirus SARS-CoV-2 procede in Italia e in tutto il mondo, ma occorre proteggere la ristretta frazione di popolazione che si ammala in modo sintomatico anche dopo la vaccinazione, assieme a quella parte più ampia che non è possibile immunizzare perché fragile o che per svariati motivi si sottrae alla somministrazione. L’attenzione della comunità scientifica è pertanto concentrata sulla ricerca di ulteriori molecole da utilizzare direttamente come antivirali contro il COVID-19, oppure da cui iniziare nuovi studi.

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Un team di ricerca italiano coordinato dalla Sapienza ha dimostrato l’azione di una combinazione farmacologica contro le cellule di neoplasie attivate dall’oncogene MYCN. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Oncogene, aprono a nuove prospettive terapeutiche per numerosi tumori, come il neuroblastoma e il medulloblastoma infantili
Diverse neoplasie maligne fra cui molte frequenti nell’età pediatrica, come il neuroblastoma, il rabdomiosarcoma e il medulloblastoma, possono derivare dall’attivazione dell’oncogene MYCN, un gene che potenzialmente favorisce lo sviluppo delle cellule in senso tumorale.

Questi tumori, accomunati da elevata aggressività e resistenza alle terapie antitumorali convenzionali, non sono a oggi aggredibili con terapie a bersaglio molecolare, per indisponibilità di farmaci specifici, ovvero quelli contro il fattore di trascrizione MYCN.

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