Marzo 2019


I risultati, pubblicati sulla rivista Current Biology, hanno dimostrato come si regola lo sviluppo e il differenziamento delle cellule nei vegetali. Lo studio coordinato da Sabrina Sabatini del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin, in collaborazione con l'Università di Pisa, rappresenta un importante passo in avanti nella comprensione del meccanismo di crescita delle piante
È piuttosto intuitivo che l'attività cellulare debba avere una forma di coordinamento durante la crescita degli organi. Per i vegetali lo sviluppo si basa sull’attività dei meristemi; così sono chiamati in botanica i tessuti di cellule indifferenziate che dividendosi danno origine a nuove cellule.

Un nuovo studio coordinato da Sabrina Sabatini del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin, in collaborazione con l'Università di Pisa, ha dimostrato come si regola il meccanismo di sviluppo e differenziamento delle cellule nei vegetali.

I risultati, pubblicati su Current Biology, hanno rivelato l’esistenza di un unico meccanismo che influisce sull'intera attività: è sufficiente infatti regolare i livelli dell’ormone auxina per coordinare la divisione e il differenziamento di tutti i tessuti e avere così una crescita armonica e coordinata dell’organo.

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E’ quanto emerge da un articolo pubblicato sulla rivista Food Research International da un gruppo di ricercatori del dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Pisa


Giovani maschi e di buona cultura, ecco gli europei più propensi a consumare gli insetti come cibo. L’identikit emerge da un articolo pubblicato sulla rivista “Food Research International” da un team del dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Pisa guidato dalla professoressa Gisella Paci e composto dai dottori Simone Mancini, Roberta Moruzzo e Francesco Riccioli. I ricercatori hanno messo insieme e confrontato i dati provenienti da una quarantina di studi pubblicati dal 2012 ad oggi per capire quali categorie di persone più disponibili ad accettare gli insetti nel proprio piatto.
“Gli uomini fra i venti e i trenta anni sono i consumatori più interessati, soprattutto per una questione di curiosità – spiega Simone Mancini che sta svolgendo alcuni progetti di ricerca sul tema degli insetti edibili – e questo vale sia al livello italiano che europeo, come indicano le ricerche svolte sulle fasce di popolazione più giovani come ad esempio gli studenti universitari”.

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Lo studio internazionale condotto dal Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli ha individuato in uno specifico enzima la capacità di stimolare la proliferazione delle cellule tumorali legando molecole di RNA. Il risultato, pubblicato sulla rivista Nucleic Acids Research, supporta con nuove evidenze lo sviluppo di approcci terapeutici innovativi basati su inibitori a RNA
Un nuovo studio condotto dai ricercatori del Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli, in collaborazione con il Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin, l'Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibpm), il Centre for Genomic Regulation di Barcellona e l'Istituto catalano di oncologia di Girona, ha messo in luce il ruolo di una proteina, la Serina idrossimetil trasferasi (SHMT) nel sostenere l'elevata capacità proliferativa delle cellule tumorali.

I risultati della ricerca, finanziata dall’Associazione Italiana Ricerca sul Cancro (Airc), sono stati pubblicati sulla rivista Nucleic Acids Research.

Per comprendere i meccanismi alla base della propagazione delle cellule tumorali, soprattutto in tumori particolarmente aggressivi come quello al polmone, è importante capire come le cellule del tumore riprogrammino il loro metabolismo per far fronte alle elevate richieste nutrizionali. I ricercatori hanno osservato che uno specifico RNA è capace di legare l'enzima metabolico SHMT a livello del citoplasma cellulare, controllandone la funzione enzimatica e regolando al contempo l'espressione della forma dello stesso enzima che si trova nel mitocondrio, la centrale energetica della cellula.

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La ricerca coordinata dal Dipartimento di Sanità pubblica e malattie infettive della Sapienza, in collaborazione con il Cnr, l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Irccs San Raffaele Pisana, suggerisce l’herpes come fattore di rischio per l’insorgenza della malattia di Alzheimer. Lo studio, che apre la strada a nuove strategie terapeutiche e preventive, è pubblicato sulla rivista PLoS Pathogens
Le fastidiose vescicole provocate sulle labbra dal virus herpes simplex 1 (HSV-1), che di solito si presentano ripetutamente nel corso della vita, finora non erano mai state associate alla comparsa di patologie neurodegenerative. In particolare, poco o nulla si sapeva dei danni che le numerose recidive di tale infezione possono generare a carico del cervello.

Un nuovo studio, condotto da un team di ricercatori italiani coordinato da Anna Teresa Palamara del Dipartimento di Sanità pubblica e malattie infettive della Sapienza, nei laboratori affiliati all’Istituto Pasteur Italia, in collaborazione con l’Istituto di Farmacologia traslazionale del Cnr di Roma (Giovanna De Chiara), l’Università Cattolica-Fondazione Policlinico A. Gemelli Irccs (Claudio Grassi) e l’Irccs San Raffaele Pisana, ha messo in luce sperimentalmente, per la prima volta, che il virus herpes simplex può contribuire all’insorgenza dell’Alzheimer. La ricerca, finanziata da fondi del Ministero dell’Università e della Ricerca (PRIN 2015) e pubblicata sulla rivista PLoS Pathogens, ha aggiunto un importante tassello al filone di ricerca che da anni punta a chiarire il ruolo degli agenti microbici nell’insorgenza delle malattie neurodegenerative.

Pubblicato in Medicina

Utilizzati in Pianura Padana e rinvenuti in alta quota alcuni pesticidi per l’agricoltura possono minacciare le larve di insetti dei torrenti glaciali alpini. È quanto sostiene lo studio dell’Università di Milano-Bicocca “Analisi spazio-temporale e caratterizzazione del rischio di pesticidi in acque di fusione dei ghiacciai alpini” (https://doi.org/10.1016/j.envpol.2019.02.067), pubblicato sulla rivista Enviromental Pollution.

La ricerca, volta a investigare la presenza nei ghiacciai Alpini di una selezione di pesticidi largamente usati in Pianura Padana, è stata realizzata dal gruppo di ecotossicologia di Milano-Bicocca, coordinato da Sara Villa, ricercatrice in ecologia, in collaborazione con il gruppo di glaciologia, guidato da Valter Maggi, docente di geografia fisica e geomorfologia del dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra dell’Ateneo.

Grazie all’analisi di una carota di ghiaccio prelevata dal ghiacciaio del Lys, nel massiccio del Monte Rosa, è stato possibile evidenziare una forte correlazione tra gli usi, dal 1996 a oggi, dell’insetticida chlorpyrifos e dell’erbicida terbutilazina nelle aree agricole italiane limitrofe alle Alpi e le quantità ritrovate nella massa glaciale. Il gruppo di ecotossicologia, inoltre, ha raccolto e analizzato campioni di acqua di fusione da sei ghiacciai alpini (Lys nel gruppo del Monte Rosa, Morteratsch nel Massiccio del Bernina, Forni nel gruppo dell’Ortles Cevedale, Presena nel gruppo della Presanella, Tuckett nel gruppo del Brenta e Giogo Alto nel gruppo del Palla Bianca-Similaun), nei quali lo scioglimento primaverile del manto nevoso determina il rilascio dei contaminanti immagazzinati.

Pubblicato in Ambiente

Le immagini satellitari raccolte dal team di ricerca del Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e del Consiglio nazionale delle ricerche hanno registrato l’esatta misurazione dei volumi di roccia mobilizzati durante il sisma di Amatrice - Norcia. Lo studio, pubblicato su Scientific Reports, potrebbe fornire nuove interpretazioni sulla dinamica dei terremoti

La sequenza sismica iniziata nel centro Italia il 24 agosto 2016 è legata all’estensione che coinvolge gli Appennini e viene misurata tramite la rete GPS. Grazie alle nuove tecnologie satellitari è stato possibile misurare come il terremoto abbia determinato l’abbassamento di un volume di crosta terrestre almeno 7 volte maggiore di quello sollevato. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports.

Da circa venti anni i satelliti per l’osservazione della Terra permettono di studiare gli eventi sismici. In particolare, quelli che equipaggiano un sensore RADAR, il SAR (Synthetic Aperture Radar), sono utilizzati per misurare con precisione le deformazioni della superficie terrestre indotte dai terremoti.

L’interferometria SAR – spiega Emanuela Valerio, ricercatrice della Sapienza – ha permesso di estrarre l’informazione circa la distanza che ciascun punto al suolo (il pixel delle immagini) ha rispetto al SAR, consentendo quindi la misura delle variazioni avvenute nell’area “fotografata” dal satellite a seguito del terremoto. È stato così possibile calcolare gli abbassamenti e sollevamenti del suolo e i relativi volumi di roccia mobilitati dagli eventi sismici avvenuti il 24

agosto 2016, di magnitudo 6, e il 30 ottobre 2016, di magnitudo 6.5”.

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Quattro dipartimenti della Sapienza hanno sperimentato per la prima volta l’applicazione del campo magnetico sui muscoli di pazienti affetti da Sclerosi laterale amiotrofica (SLA), evidenziando gli effetti positivi della stimolazione. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports

La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa fortemente invalidante che colpisce le cellule nervose preposte al controllo dei muscoli, compromettendo i movimenti della muscolatura volontaria. Il target principale degli studi pregressi sono stati i motoneuroni, la cui degenerazione porta all’atrofia muscolare.

Un nuovo studio, pubblicato su Scientific Reports (Nature Publishing Group), è il risultato della collaborazione di un team interdisciplinare della Sapienza, composto da quattro Dipartimenti (afferenti agli ambiti della biologia molecolare di base, alla anatomia patologica, alla fisiologia, alla clinica) e ha adoperato un approccio traslazionale con metodi differenti, impiegando per la prima volta campi magnetici molto intensi per la stimolazione muscolare, con l’obiettivo di migliorare la funzionalità dei muscoli e rallentarne il declino.

Pubblicato in Medicina

 

DUE RICERCATRICI ISPRA STUDIANO CARBONIO E PLASTICHE IN AMBIENTI ESTREMI

 

Lungo la rotta seguita dalla nave, prelevati 75 campioni di acqua sia superficiale (61 stazioni) che a diverse profondità (14 campioni); su tutti, verranno effettuate analisi di carbonio organico e azoto particellati (POM), carbonio organico disciolto (DOC) e su alcuni di essi verrà analizzata la componente organica non direttamente utilizzabile dagli organismi viventi.

 Queste le attività condotte dalle due ricercatrici dell’SPRA, Cecilia Silvestri e Flavia Saccomandi, nella loro spedizione in Antartide con i partner inglesi del British Antartic Survey (BAS), iniziata il 27 dicembre 2018 e terminata lo scorso 17 febbraio.

Gli studi hanno come finalità un approfondimento sul carbonio sia legato al suo ciclo naturale nell’ambiente (ad esempio l’emissione di anidride carbonica in atmosfera a seguito dei processi di consumo come nutrimento per gli organismi), sia come trasportatore a lunga distanza di sostanze pericolose. I risultati ottenuti da questi studi, condotti in ambiente remoto, caratterizzato dall’assenza di interferenze dovuta alla presenza antropica, possono essere trasferiti in ambiente mediterraneo.

L’Oceano meridionale è considerato come “regione di riferimento” per tutti quei processi che coinvolgono lo scambio naturale di anidride carbonica tra l’atmosfera e l’acqua. Se si conosce il punto di partenza, cioè quello naturale, è possibile valutare gli incrementi dell’attività umana.

Saranno inoltre effettuati studi sulle plastiche; la loro analisi in area remota può consentire la quantificazione dei livelli di riferimento della contaminazione diffusa nei mari. Sia lo studio delle microplastiche che del carbonio saranno condotti con tecniche analitiche estremamente all’avanguardia.

Pubblicato in Ambiente

Con la rivoluzionaria tecnica della microscopia elettronica criogenica, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli della Sapienza e del laboratorio IIT@Sapienza, ha osservato che il meccanismo con cui le cellule incorporano il ferro è lo stesso che i virus usano per infettarle. I risultati, pubblicati su Nature Communications, aprono la strada allo sviluppo di farmaci di precisione contro virus e tumori

Il team di ricerca guidato da Beatrice Vallone e Alberto Boffi del Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli in collaborazione con il laboratorio IIT @Sapienza, ha osservato per la prima volta la struttura del complesso formato dalla proteina ferritina e il suo recettore cellulare (CD17). L’analisi della struttura del complesso ferritina-recettoreha rivelato un importante meccanismo biologico fino a oggi sconosciuto, ovvero il processo con cui il ferro entra nelle cellule. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Nature Communications, non solo ampliano lo scenario delle conoscenze scientifiche di base, ma hanno anche ricadute pratiche di rilievo.

Pubblicato in Medicina

Finanziato dal Miur il progetto ‘Pharaonic Rescission’ dell’Università di Pisa

 

Scrivere per la prima volta una storia sociale dall’Antico Egitto al di là dei fasti di faraoni e regine, mettendo piuttosto al centro il popolo e le classi meno agiate. E’ questa la sfida del progetto di ricerca di interesse nazionale (PRIN) ‘Pharaonic Rescission’ (PROCESS) dell’Università di Pisa che si è appena aggiudicato un finanziamento di oltre 200mila euro dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (Miur). A idearlo e proporlo è stato Gianluca Miniaci del dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, uno dei due ricercatori under 40 in tutta Italia che è riuscito ad ottenere i fondi ministeriali per un progetto nella categoria “giovani” per il settore SH6 “Studio del passato umano: archeologia, storia e memoria”. 
“Ad oggi conosciamo solo una storia, quella dei faraoni e dell'élite, che ci hanno lasciato iscrizioni, testimonianze di grandi gesta, templi e tombe monumentali, tesori archeologici, tutti frammenti dei loro “ricordi”. Non sappiamo quasi nulla della gente comune che non ha potuto lasciare tracce così evidenti nella storia – racconta Gianluca Miniaci - ora si tratta di scriverne una nuova, una che abbia come protagonista quella massa di popolazione invisibile fatta soprattutto di lavoratori, commercianti, agricoltori, ma anche persone benestanti e socialmente agiate, che non ricoprivano un ruolo politico rilevante”.

Pubblicato in Paleontologia

 

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