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Emergenza Covid-19: finanziamento alle imprese. La lentezza nell’erogazione di prestiti garantiti nell’attuale quadro normativo e la necessità di interventi a “fondo perduto”.

Associazione Professionale Cocconi & Cocconi, 18 Mag 2020

 

 

Con i Decreti Legge del 17 marzo 2020 n. 18 (c.d. “Cura Italia”) e, soprattutto, dell’8 aprile 2020 (c.d. “Decreto Liquidità”), il Governo ha istituito una serie di misure temporanee che dovrebbero essere volte a favorire la ripartenza del sistema produttivo italiano, messo duramente alla prova dall’emergenza sanitaria e dai provvedimenti adottati dal Governo (c.d. lockdown).

In particolare, tra le iniziative messe a punto, appare degna di nota, per quel chequi ci occupa, la concessione di finanziamenti garantiti - in misura diversa a seconda  delle fattispecie - dal Fondo Centrale di Garanzia, per quanto riguarda professionisti/lavoratori autonomi, imprese PMI e Midcap (imprese diverse dalle PMI, con numero di dipendenti non superiore a 499), e dalla SACE, con specifico riferimento alle PMI che hanno esaurito il proprio plafond presso il Fondo Centrale di Garanzia, nonché a qualsivoglia ulteriore tipologia di impresa.

Secondo i dati diffusi dal Ministero dello Sviluppo Economico e dal Mediocredito Centrale (MCC) alla data del 06.05.2020, solamente 3 imprese hanno perfezionato la procedura con garanzia SACE, mentre le domande pervenute al Fondo Centrale di Garanzia dal 17 marzo al 5 maggio sono state, a fronte di 4,7 milioni di potenziali richiedenti (dato fornito dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio in data 30.04.2020) circan 90.000.

In particolare, sul punto il Ministero ha dichiarato che “le domande arrivate erelative alle misure introdotte con i decreti ‘Cura Italia e ‘Liquidità’ sono 90.049, pari adun importo di circa 5,4 miliardi di euro. Di queste, oltre 70.000 sono riferite a finanziamenti fino a 25.000 euro, con percentuale di copertura al 100%, per un importofinanziato di circa 1,5 miliardi” (nota MISE del 06.05.2020). Orbene, anche alla luce  delle dichiarazioni della Commissione Europea, secondo le quali “la recessione questa volta sarà ben più grave di quella del 2008, e simile, perportata generale, a quelle del 1929 e del secondo dopoguerra”, viene naturale chiedersicome sia possibile che solamente tre imprese abbiano ad oggi beneficiato (o potuto beneficiare) della garanzia SACE e, soprattutto, perché così poche domande  siano pervenute al Fondo PMI.

Eppure il Governo, come confermato dalla richiamata nota del MISE del 06.05.2020, ha previsto che i prestiti fino ad Euro 25.000,00 “possono essere erogatisenza attendere l’esito definitivo dell’istruttoria da parte del Gestore”. Senza entrare, dunque, nel merito della scelta di affidare a soggetti privati, rispondenti a logiche commerciali e, quindi, di profitto, un intervento “sociale” di siffatta portata - ma la questione, probabilmente, trova origine in ben diversi e più antichi errori o decisioni - gli scriventi ritengono che uno degli impedimenti più rilevanti alla celerità dell’accesso al finanziamento, oltre alla innegabile “giungla” di documenti richiesti, e all’estrema burocratizzazione della procedura, è costituito dall’istruttoria in termini di merito creditizio che le banche, ordinariamente, espletano su tutte le domande, anche su quelle aventi ad oggetto prestiti fino ad Euro 25.000,00. Ed infatti, e con riferimento a tutti i finanziamenti, è proprio l’istruttoria, e quindi la verifica del “merito creditizio”, che, da un lato, impedisce (o quantomeno ostacola) la rapida erogazione dei finanziamenti e, dall’altro, conferisce alle banche un enorme potere decisionale sulle sorti delle singole imprese, in particolare su quelle più bisognose di immediata liquidità.

Difettano, inoltre, parametri chiari, precisi, ed automatici ai quali gli istituti di credito dovrebbero attenersi per l’erogazione del finanziamento, e proprio tale incontrollata discrezionalità può comportare una grave distorsione nel mercato imprenditoriale, anche in termini concorrenziali, ed essere utilizzata anche al fine di ottenere benefici “ulteriori”; ciò senza considerare, peraltro, che l’impresa finanziata è già, nella maggior parte dei casi, indebitata con il medesimo istituto finanziatore: ci riferiamo, ad esempio, alla possibile richiesta di utilizzare il finanziamento per la chiusura di precedenti esposizioni debitorie così traslando, in via di fatto, la garanzia dello Stato a copertura di pregresse esposizioni chirografarie. Riteniamo, tuttavia, che la necessità (e l’obbligo) della banca di effettuare l’istruttoria, ossia di verificare, anche per i prestiti fino ad Euro 25.000,00 la solvibilità dell’impresa, discende da un quadro normativo di più amplia portata, quali le norme penali in materia fallimentare. È, infatti, proprio in applicazione di tali disposizioni che chi dovesse erogare il finanziamento senza un’adeguata verifica del merito creditizio potrebbe essere condannato in sede penale, in concorso con l’imprenditore, per il reato di bancarotta preferenziale (ex art. 216 L.F.) o di bancarotta per “operazioni di grave imprudenza” o, ancora, per aver ritardato il fallimento (ex art. 217 L.F.) e/o per il reato di ricorso abusivo al credito (ex art. 218 L.F.); in tali casi, peraltro, nutriamo più di qualche dubbio in ordine all’operatività della garanzia da parte dello Stato il quale, in ultima istanza, potrebbe anche agire nei confronti del funzionario, e, dunque, della Banca, ex art. 2049 c.c., per il risarcimento del danno causato dal fatto illecito al quale ha concorso.

Appare opportuno ricordare, poi, che, da tempo, la giurisprudenza, anche civile, ha elaborato la fattispecie di illecito aquiliano per concessione abusiva del credito, riconoscendo legittimazione ad agire tanto in capo ai creditori che ai terzi che al Curatore (Cass. 13413/2010) dell’impresa finanziata, e poi fallita, per il risarcimento del danno.Mentre dubitiamo dell’azione del Curatore (ma il punto è troppo complesso per affrontarlo in questa sede) è pacifico, invece, che il terzo creditore abbia azione diretta nei confronti dell’istituto che continui a finanziare l’impresa insolvente, anziché avviarla al fallimento, in ragione del fatto che ‘la banca offre agli operatori di mercato una sensazione distorta, ingannandoli sulle reali situazioni dell’impresa finanziata ed inducendoli a continuare a trattare con essa, come se fosse un’impresa sana, con la conseguenza che il suo fallimento viene artificiosamente ritardato con grave pregiudizio per la posizione di tutti i creditori: di quelli anteriori al fallimento tardivo, perché dovranno concorrere con altri creditori e riusciranno a recuperare una somma inferiore a quella che avrebbero riscosso se il fallimento fosse stato dichiarato tempestivamente; dei creditori posteriori, perché essi a loro volta non avrebbero concesso credito, se il debitore fosse tempestivamente fallito” (Cass. 11695/2018).

Del resto, tutti coloro che a vario titolo permettono o facilitano la ritardata dichiarazione di fallimento possono essere in ipotesi suscettibili di responsabilità ex art. 2043, in quanto contribuiscono all’aggravamento del dissesto dell’impresa attraverso l’aumento delle passività e l’ulteriore dispersione dell’attivo, anche per effetto delle possibili prescrizioni delle azioni revocatorie. Il comportamento illecito della concessione abusiva del credito, peraltro, non è tipizzato, e così facendo, lo scrimen della liceità diventa quanto mai labile, restando ancorato ai principi generali della diligenza del bonus argentarius, della correttezza, della buona fede e della solidarietà sociale di cui all’art. 2 della Costituzione, nonché della sana e prudente gestione di cui all’art. 5 del TUB.

 

Tanto premesso, riteniamo che utilizzare il soggetto privato banca per le finalità di cui sopra, e con l’attuale quadro normativo e giurisprudenziale, sia quantomeno non decisivo e, comunque vada corretto al fine di realizzare lo scopo perseguito; non appaiono conciliabili, pertanto, le esigenze e gli interessi dell’istituto di credito con la necessità di pronta liquidità degli imprenditori colpiti dall’emergenza finanziaria. E’ evidente invece, a nostro sommesso avviso (ed in tale opinione siamo confortati dal fatto che, come anzidetto, ad oggi sono state presentate pochissime domande, a fronte del numero dei soggetti che necessiterebbero dei fondi) che le misure adottate siano inidonee e che, comunque, le procedure siano troppo lunghe e farraginose rispetto alle necessità contingenti. Ed in effetti, cosi come sono state improntate, solo chi è finanziariamente solido, e dunque meno bisognoso, potrebbe, in tempi più o meno lunghi, ottenere prestiti (che poi vanno comunque restituiti). Pertanto, delle due l’una: o si snelliscono le procedure, anche concedendo alle banche lo scudo penale, che pure è stato inutilmente ad ora richiesto, il che comunque non risolverebbe il problema poiché residuerebbero le azioni civili dei terzi interessati (v.sopra), ovvero si ricorre, per sostenere il mondo produttivo, ad altri strumenti (cfr. il nostro parere dell’8.05.2020 pubblicato sul nostro sito, www.cocconi.eu, nonché su altre riviste on-line, relativo al diritto dei soggetti danneggiati ad ottenere un equo indennizzo) e, cioè, si elargiscono tempestivamente dei fondi rilevanti a titolo di indennizzo. Ma quello che è certo è che con le misure ad oggi adottate, i “piccoli” che necessitano di finanziamenti perché in difficoltà a causa dell’emergenza COVID-19 e del c.d. “lockdown” non otterranno alcun effettivo, e comunque tempestivo, beneficio.

 


Avv. Giovanni M. Cocconi                                                                                                                                              Avv. Marco Saponara
Avv. Saverio Boldrini                                                                                                                                                     Dott. Federico Giovinale

Ultima modifica il Lunedì, 18 Maggio 2020 09:35
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