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Era convinta che sarebbe arrivata per prima. Quando Cinzia entrò nella stanza che presto avrebbe ospitato la riunione del pomeriggio, vide qualcosa che non si sarebbe mai aspettata di trovare. Posto nel centro esatto del tavolo, come una decorazione o un vaso di fiori. Un bambino. C’era qualcosa di insolito, bizzarro in lui. Dalla statura e dall’aspetto gli si sarebbero dati non più di cinque o sei anni. Un ragazzino robusto, colorito, all’apparenza in ottima salute. Eppure non correva, non saltellava, non si lamentava di trovarsi lì tutto solo. L’intrusione di Cinzia lo lasciò totalmente indifferente. Gli unici movimenti che compiva quasi meccanicamente erano quelli della mano e della testa, intenti rispettivamente a voltare e a leggere le pagine di un gran librone di fiabe pieno di vivaci e suggestive illustrazioni.
Cinzia si guardò intorno. Come era arrivato lì quel bambino? Doveva avercelo portato qualcuno che avesse le chiavi della stanza, un vecchio e squallido appartamento che una volta fungeva da ripostiglio. Un locale un tempo governato dalla polvere e abitato da oggetti inutili e dimenticati. Ora che da qualche anno era stato sgomberato e adibito a sala per le riunioni condominiali, aveva cambiato sia regime che sudditanza. Era sempre il posto più trascurato e angusto dell’intero palazzo, ma adesso senza alcun dubbio era anche il più odiato. Ora a regnare erano i conflitti e le meschinità, e a risiedervi saltuariamente le urla, le imprecazioni e gli insulti che costituivano il principale passatempo comune degli inquilini.

 

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