Rare sfere di metallo svelano i metodi antichi di colorazione del vetro

In epoca romana, il vetro veniva colorato con polveri di metalli. Questa tecnica, tramandata come tradizione orale dai vetrai, è oggi documentata da uno studio scientifico che ha analizzato due rari reperti metallici a forma sferica, rinvenuti incastonati in frammenti di vetro durante una ricognizione archeologica ad Aquileia.
Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Scientific Reports, è stato condotto da scienziate e scienziati del gruppo di ricerca del Centro per le Tecnologie per i Beni Culturali (CCHT@Ca’Foscari) dell’Istituto Italiano di Tecnologia - IIT in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Molecolari e Nanosistemi di Ca’ Foscari e il nodo INFN-CHNet di Bologna con l’Università di Bologna.
“Conoscere la tecnologia del vetro romano, scoprire nuovi dettagli riguardo le tecniche di colorazione e i processi produttivi non è solo una ricchezza dal punto di vista storico e archeologico” - sottolinea la direttrice del CCHT@Ca’Foscari dell’IIT, Arianna Traviglia. “Questi risultati possono essere d’ispirazione ed interesse anche per lo studio, la lavorazione e la produzione di vetro contemporaneo”.
Contro la malaria le zanzare geneticamente modificate si perfezionano con le proteine anti-crispr
Team di ricerca internazionale su «Nature Communications» scopre come trasmettere in toto nelle zanzare i geni che bloccano la trasmissione della malaria.
La malaria uccide 400.000 persone all’anno in Africa e finora nessuna delle strategie classiche di controllo (zanzariere, insetticidi, farmaci, candidati vaccini) ha funzionato in modo soddisfacente nei Paesi a basso reddito. Ispirandosi a questi meccanismi naturali, un team di ricercatori dell’Imperial College di Londra, della North Carolina State University, dell’Università tedesca di Würzburg e della britannica Keele University guidato dal prof. Andrea Crisanti, Direttore del Dipartimento di Medicina molecolare dell’Università di Padova, sta provando a vincere un’altra sfida plurimillenaria, quella tra uomo e malaria.
Lo studio sul controllo genetico delle zanzare vettrici della malattia A genetically encoded anti-CRISPR protein constrains gene drive spread and prevents population suppression, pubblicato su «Nature Communications» rappresenta l’ultimo progresso in questa direzione. I ricercatori avevano già messo a punto uno stratagemma per favorire la diffusione di geni utili a bloccare la trasmissione della malaria, causando sterilità nelle zanzare Anopheles gambiae o uno sbilanciamento tra i sessi tale da azzerare il loro tasso di riproduzione nel giro di qualche mese. «I meccanismi mendeliani che regolano l’ereditarietà rappresentano una pesante limitazione: ogni volta che una zanzara modificata si accoppia con una selvatica, infatti, la modificazione genetica verrà ereditata solo dalla metà dei suoi figli e si troverà diluita nella popolazione – spiega il prof Crisanti -. Se però il gene di interesse viene trainato da un drive genetico, ovvero da un elemento capace di auto-propagarsi, la caratteristica desiderata passerà all’intera progenie. Il metodo più efficace per far funzionare questo approccio è il copia-incolla eseguito con CRISPR/Cas9, che nei gene drive diventa una macchina di correzione perpetua del genoma, attiva generazione dopo generazione.
Figlio dona al padre metà del suo fegato e il trapianto si prepara con la stampa in 3D dell’organo

Il “clone in 3D” dell’organo del donatore, in scala 1:1 e con la fedele riproduzione dei vasi sanguigni e delle vie biliari, è stata ottenuto incrociando i dati della risonanza magnetica e della TC. Il modello ha guidato i chirurghi di Niguarda nell’esecuzione del trapianto da vivente con il figlio che ha donato al padre metà del suo fegato.
Prepararsi all’intervento e impostare in anticipo la strategia chirurgica migliore potendo guardare e toccare l’esatta ricostruzione anatomica in 3D del fegato che si andrà a trapiantare. E’ quello che è successo all’ospedale Niguarda di Milano, dove l’équipe dei trapianti, guidata da Luciano De Carlis, ha potuto portare a termine un trapianto di fegato unico nel suo genere.
Nello specifico si è trattato di un trapianto di fegato da donatore vivente che ha avuto come protagonisti il figlio in veste di donatore e il padre in veste di ricevente. Il modello tridimensionale del fegato del donatore è stato stampato con un gel biosimilare che mima la consistenza dei tessuti biologici, si tratta di un a ricostruzione in scala 1:1 con identico peso dell’organo e anatomia dei vasi e delle strutture fedele al 100%. Il “clone in 3D” è stato realizzato incrociando i dati della risonanza magnetica e della TC del fegato del donatore.
Una ricerca internazionale coordinata da UniTo svela come i pesticidi di nuova generazione siano dannosi per le api

In uno studio appena pubblicato su Communications biology, una rivista del gruppo Nature, un team di ricercatori coordinato dal Prof. Simone Tosi dell’Università di Torino, ha svolto un ampio esperimento internazionale su più sottospecie di api per valutare gli effetti a breve e lungo termine di un pesticida di nuova generazione, il flupyradifurone. La ricerca dimostra come questo pesticida, definito "sicuro per le api", comprometta la sopravvivenza e il comportamento delle api anche a livelli di contaminazione bassi.
L'aumento dell'uso di pesticidi è una delle principali cause della riduzione della salute delle api, della biodiversità degli insetti e minaccia l'impollinazione negli ecosistemi naturali e agricoli. Per affrontare questo problema, un team di ricerca internazionale ha quindi valutato gli effetti a lungo termine di un nuovo pesticida, il flupyradifurone, che viene commercializzato come relativamente "sicuro per le api".
Ritrovati nuovi fossili di Neanderthal in Israele: l’Oriente era così “vicino” anche per i nostri antenati?

Il recente ritrovamento di resti fossili nel sito israeliano di Nesher Ramla, riconducibili a un possibile antenato dei Neanderthal, porta alla luce il ruolo di popolazioni del Vicino Oriente nell’evoluzione di questa forma umana estinta. Lo studio, che ha visto la partecipazione di ricercatori del Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza Università di Roma e del Museo di Storia Naturale dell'Università di Firenze, è stato pubblicato sulla rivista Science, che gli ha anche dedicato la copertina.
I Neanderthal sono la specie umana estinta che conosciamo meglio. Si è sempre pensato che la loro evoluzione fosse del tutto endogena, avvenuta interamente in Europa a partire da popolazioni del Pleistocene Medio, e che solo in seguito abbia previsto ondate di diffusione verso l'Asia.Oggi un nuovo studio internazionale, che ha visto la collaborazione anche di ricercatori del Laboratorio di Paleoantropologia e bioarcheologia del Dipartimento di Biologia ambientale, mostra come le cose potrebbero essere state, in realtà, molto più complesse.
Di quanto aumenterà la temperatura in Europa? Dipenderà dall'indebolimenti delle correnti atlantiche

Lo studio “Future climate change shaped by inter-model differences in Atlantic Meridional Overturning Circulation response” condotto da Politecnico di Torino e CNR ha comparato le previsioni di 30 modelli climatici differenti individuandone il punto debole nella discordanza delle previsioni. Fondamentale affinare tali modelli con le campagne di osservazione nel Nord Atlantico.
Quello delle previsioni e delle conseguenze dei cambiamenti climatici è ormai un argomento cruciale non solo per scienziati e meteorologi, ma coinvolge da vicino ed interessa direttamente anche il pubblico dei non addetti ai lavori, che ne avverte come tutti noi gli effetti quotidianamente.
Uno studio condotto da ricercatori dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima, Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ISAC), e dal Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture (DIATI) del Politecnico di Torino dal titolo “Future climate change shaped by inter-model differences in Atlantic Meridional Overturning Circulation response” ha messo a confronto le previsioni fornite da 30 modelli climatici di ultima generazione che includono nel loro codice numerico tutto ciò che si sa riguardo al sistema climatico.
Salpa nel Mediterraneo la Blue panda del WWF

La prima tappa sarà italiana: dal 27 giugno al 7 luglio si parte dall’Area Marina Protetta di Portofino.
Una settimana di eventi con il supporto del Comune di Santa Margherita Ligure
Dopo un anno di pausa forzata a causa della pandemia, la Blue Panda, barca a vela ambasciatrice del WWF, è pronta a salpare per un viaggio che per 5 mesi la porterà ad attraversare 6 delle più iconiche Aree Marine Protette (AMP) del Mediterraneo: da giugno a novembre la missione è quella di promuovere i loro tesori e liberarle dagli attrezzi fantasma depositati sui fondali, un pericolo per la biodiversità marina, grazie al lavoro congiunto con pescatori, subacquei e gestori delle AMP.
Con l’avvio della stagione estiva, insieme ai cittadini e i turisti locali, la Blue Panda esplorerà il valore naturale, sociale e culturale di questi siti unici e accompagnerà le persone in un vero e proprio tour per scoprire aree sulle quali incombe spesso la minaccia del turismo di massa, della pesca non sostenibile e altre attività umane non gestite. Qui la pagina del sito dedicata a Blue Panda >>
Donatella Bianchi, Presidente del WWF Italia: “Il Mediterraneo deve diventare un incubatore di modelli virtuosi in grado di rispondere alle minacce che mettono in pericolo il nostro mare e la grande biodiversità che custodisce. Ricordiamo che il Mare Nostrum rappresenta appena l’1% di superficie degli oceani ma ospita il 10% di tutte le specie marine conosciute. Il progetto Blu Panda ha il compito, da un lato di mettere in evidenza queste minacce, anche attraverso attività di ricerca durante la navigazione, dall’altro di sensibilizzare persone, comunità ed istituzioni sulla necessità di una protezione sempre più estesa ed efficace del nostro Capitale Blu. La missione è raggiungere l’obiettivo del 30% di Mediterraneo efficacemente protetto previsto dalla nuova Strategia sulla Biodiversità europea”.
Il cervello a riposo? Ottimizza le proprie prestazioni future

Ricercatori italiani ipotizzano che il cervello a riposo, in assenza di particolari compiti da svolgere, funzioni come una classe di algoritmi computazionali chiamati 'modelli generativi' e che l’attività spontanea che genera sia necessaria per ottimizzarne l'apprendimento e la preparazione a svolgere compiti futuri. Lo studio, che coinvolge Cnr, Università di Padova, Irccs Ospedale San Camillo Venezia, Padova Neuroscience Center e Veneto Institute of Molecular Medicine, è pubblicato su Trends in Cognitive Sciences
Quando siamo a riposo, ossia nel sonno o in assenza di compiti particolari, il nostro cervello produce attività spontanea che somiglia a quella registrata durante il comportamento attivo, ma il cui ruolo rimane ancora dibattuto. Una possibile descrizione di questa attività arriva da uno studio teorico pubblicato sulla rivista Trends in Cognitive Sciences a firma di Giovanni Pezzulo dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Istc) di Roma, di Marco Zorzi del Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova e Irccs Ospedale San Camillo Venezia, e di Maurizio Corbetta del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova, Padova Neuroscience Center (PNC) e Veneto Institute of Molecular Medicine (VIMM).
DNA: IL RUOLO DELLA QUADRUPLA ELICA NELL’ESPRESSIONE DEI GENI

Team di ricercatori su «Nature Communications» dimostra che le strutture G-quadruplex sono presenti nei geni coinvolti nella formazione dei tumori Ricercatori dell’Università di Padova coordinati dalla prof.ssa Sara Richter, in collaborazione con i colleghi dell’Università Ludwig Maximilian di Monaco coordinati dal prof. Gunnar Schotta, hanno dimostrato l’importanza di strutture non canoniche del DNA nel mantenere l’identità della cellula.
Tutti conosciamo il DNA nella sua caratteristica rappresentazione a doppia elica, quella individuata nel 1953 da Watson e Crick. Meno noto è invece che in alcune occasioni il DNA può assumere delle configurazioni alternative. Una di queste è il ripiegamento a quadrupla elica, detto G-quadruplex.
«Nonostante le cellule di un organismo condividano lo stesso materiale genetico, l’espressione di alcuni geni piuttosto che altri fa in modo che le cellule possano svolgere funzioni diverse, ad esempio le cellule del sangue e le cellule della pelle – spiega la prof.ssa Richter del Dip. Di Medicina Molecolare dell’Università di Padova -. L’attivazione dei geni specifici di ogni tipo cellulare è mediata da proteine chiamate fattori di trascrizione, i quali si legano al DNA in corrispondenza di regioni regolatorie dette promotori. Ma in che modo determinati fattori di trascrizione vengono reclutati
sul promotore del gene che deve essere attivato, quindi al posto giusto e al momento giusto? A questo dà una risposta il nostro studio.»
Scoperta una possibile diagnosi precoce per due malattie neurodegenerative

Una ricerca dell’IRCCS Istituto Auxologico Italiano - Università degli Studi di Milano, Centro “Dino Ferrari” e dell’Università di Ulm in Germania ha evidenziato come la proteina denominata “neurofilamento a catena leggera” può essere un dato biologico comune utile a indicare la presenza di una malattia neurodegenerativa. La ricerca è stata pubblicata su Frontiers in Neuroscience.
Esiste un dato biologico, cioè un biomarcatore, rilevabile attraverso le analisi, che possa indicarci la presenza di una malattia neurodegenerativa? La ricerca di un biomarcatore per le malattie neurodegenerative rappresenta un obiettivo molto importante e la proteina definita “neurofilamento a catena leggera” (NFL) è un possibile candidato, almeno per quanto riguarda la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) e la Demenza Frontotemporale (FTD), due malattie accomunate in una unica base patogenetica.
Il NFL è stato studiato originariamente nel liquido cerebrospinale, ma le moderne tecnologie ci stanno aiutando a rilevarlo anche nel sangue, rappresentando un utile indizio di malattia, di gravità e di eventuale risposta alla terapia. I contributi degli ultimi anni sono sapientemente riassunti in una esaustiva pubblicazione apparsa su Frontiers in Neuroscience a firma Federico Verde, Markus Otto e Vincenzo Silani dell’IRCCS Istituto Auxologico Italiano - Università degli Studi di Milano, Centro “Dino Ferrari” in collaborazione con l’Università di Ulm in Germania.
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Studio pubblicato su «Nature Cell Biology» da Padova e Torino...
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