Attraverso lo spandimento sui campi degli effluenti zootecnici, grandi quantità di azoto e composti azotati finiscono sui terreni agricoli, da cui possono facilmente trasferirsi ai corpi idrici superficiali e alle falde acquifere, mettendo a rischio la qualità delle acque e aumentando la possibilità di esposizione umana a nitrati, che può essere causa di ripercussioni serie per la salute.
“Il problema sta nell’eccessivo numero di animali allevati, soprattutto a concentrazioni così elevate come in Pianura Padana. La soluzione non può essere una ulteriore deroga, serve invece una profonda revisione della PAC e dei criteri con cui vengono assegnati i sussidi pubblici. Dobbiamo smettere di finanziare i sistemi di produzione intensivi e di ambire all’aumento della produzione a ogni costo, occorre invece ridurre drasticamente produzione e consumi di carne e latticini e destinare i fondi pubblici per aiutare gli agricoltori ad una transizione degli allevamenti intensivi verso metodi di produzione ecologici” dichiara Federica Ferrario, responsabile Campagna Agricoltura di Greenpeace Italia.
Queste le richieste che Greenpeace ha presentato alla Commissione europea in occasione della recente pubblicazione della strategia Farm to Fork, puntando l’attenzione anche su una revisione della PAC che destini realmente l’enorme quantità di fondi disponibili verso produzioni sostenibili.
L’indagine “Fondi pubblici in pasto ai maiali” ha sovrapposto alla mappa dei carichi di azoto prodotta dalla Regione Lombardia quella dei fondi europei destinati agli allevamenti lombardi, elaborata con i dati ottenuti solo dopo una lunga serie di richieste di accesso agli atti agli organismi pagatori della PAC, andando appunto a rilevare come quasi la metà dei fondi finiscano proprio nei 168 comuni “fuorilegge”.
“Maggiore trasparenza nell’erogazione dei sussidi e maggiori controlli sulle pratiche agricole sono necessari, ma ciò che serve con urgenza è modificare radicalmente il sistema che sostiene i modelli di produzione intensiva e valorizzare invece le tante produzioni di qualità su piccola scala, per renderle ancora più sostenibili e resilienti anche a crisi come quella legata al Covid-19” conclude Ferrario.
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