Secondo quanto emerge dal rapporto dell’associazione ambientalista, che si basa sui dati raccolti dall’Istituto brasiliano di ricerche spaziali (INPE), nel 2019, anno in cui Bolsonaro entrò in carica, il tasso annuo di deforestazione in Amazzonia era di 7.536 km2. Tre anni dopo, l’INPE ha annunciato che, tra agosto 2020 e luglio 2021, sono stati distrutti 13.235 km2 di Amazzonia: un aumento del tasso di deforestazione di oltre il 75 per cento rispetto al 2018. Un inesorabile peggioramento che si presagiva già durante il primo anno di governo, in cui la deforestazione in Amazzonia era aumentata del 34% rispetto al 2018, passando da 7.536 km2 a 10.129 km2 di foresta distrutta.
L’impunità che ha accompagnato l’aumento della deforestazione si è tradotta anche in un drammatico aumento degli incendi, spesso appiccati illegalmente per favorire l’espansione dell’agricoltura industriale e del settore estrattivo attraverso il cosiddetto “cambio di uso del suolo”, cioè l’eliminazione della vegetazione autoctona per fare spazio principalmente a piantagioni e pascoli, ma anche a infrastrutture e miniere. I dati triennali diffusi dall’INPE mostrano, per esempio, un incremento del 15 per cento di incendi nel Cerrado, la savana più ricca di biodiversità del pianeta, e del 218 per cento nel Pantanal, la zona umida più grande del mondo.
Gli incendi hanno anche un impatto negativo sul clima perché causano il rilascio di grandi quantità di gas a effetto serra. I dati raccolti dal Greenhouse Gas Emissions and Removals Estimating System, un progetto sviluppato dall’Osservatorio sul clima brasiliano, costituito da una rete di oltre 50 organizzazioni non governative, mostrano che le emissioni di gas serra in Brasile sono aumentate del 9,5% dall’entrata in carica di Bolsonaro. Durante l’anno successivo, cioè il 2020, il Brasile ha emesso 2,16 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, la quantità più elevata dal 2006.
Non da ultimo, è stato registrato anche un considerevole aumento dei conflitti per la proprietà delle terre e delle violazioni dei diritti umani. I dati diffusi dalla Commissione Pastorale per la Terra mostrano che i primi due anni del governo Bolsonaro sono stati caratterizzati da un aumento di circa il 40 per cento del numero di conflitti per le terre, che in molti casi sono sfociati nella morte di coloro che si sono spesi per difenderle. Nel 2020 erano infatti in corso circa 1.576 controversie riguardanti la proprietà dei terreni (poco meno della metà riguardano Popoli Indigeni), il numero più alto dal 1985.
“Se l’Unione europea vuole davvero proteggere foreste e biodiversità, deve fermare l’accordo Ue-Mercosur una volta per tutte e adottare politiche che portino alla diminuzione dei consumi ed evitino l’immissione sul mercato comunitario di prodotti e materie prime legati alla distruzione di ecosistemi preziosi per la salute del pianeta e alla violazione dei diritti umani, a partire dalla carne”, conclude Borghi.
Le prossime elezioni presidenziali in Brasile si terranno nell’ottobre del 2022. Negli ultimi due anni l’indice di gradimento di Bolsonaro è stato trascinato verso il basso da una serie di scandali e accuse di corruzione che hanno riguardato lui e il suo entourage politico. Basti pensare alle dimissioni dell’ex ministro dell’Ambiente Ricardo Salles, indagato dalla Corte suprema per aver interferito nelle indagini sulle esportazioni illegali di legname.