La ricerca consiste in una valutazione dell’influenza delle caratteristiche biologiche, del contesto ambientale e delle azioni umane sul periodo trascorso a terra dai primati arboricoli. Lo studio ha rilevato come le specie che consumano meno frutta e vivono in grandi gruppi sociali siano più predisposte a scendere a terra e abbandonare lo stile di vita arboricolo. Si possono, quindi, definire queste condizioni come una sorta di “pre-adattamento” a quello che potrà essere la vita futura di questi animali. Lo studio ha inoltre mostrato come la temperatura, e la degradazione delle foreste, spingano i primati ad un uso maggiore dello strato terrestre. Di conseguenza, in un habitat frammentato, disturbato dall’uomo che offre scarse risorse alimentari, solo popolazioni di primati che hanno una dieta più diversificata e vivono in gruppi numerosi possono adattarsi più facilmente a uno stile di vita terrestre.
Lo studio ha anche rilevato che le popolazioni di primati più vicine alle infrastrutture umane hanno meno probabilità di scendere a terra: "I nostri risultati – dichiara Luca Santini della Sapienza - suggeriscono che la presenza umana, spesso una minaccia alla conservazione dei primati, possa interferire con la loro naturale adattabilità al cambiamento globale".
In passato situazioni di transizione da uno stile di vita arboricolo a quello di vita terreste si sono già presentate, non è una novità.
Le preoccupazioni che hanno portato gli studiosi ad avviare uno studio di questa portata nascono nella rapidità con cui avvengono i cambiamenti climatici e gli interventi dell’uomo. Questo richiederebbe per le specie meno adattabili, strategie di conservazione rapide ed efficaci per garantire la loro sopravvivenza.