Deformazioni di un Vulcano

Eugenio Sansosti 20 Apr 2010

Una nube di cenere che si innalza dalla cima del vulcano. È questa l’immagine che, mai come in questi ultimi giorni, viene immediatamente in mente quando si pensa all’attività vulcanica. Durante la recente eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajoekull, tv e giornali ci hanno mostrato numerose immagini della colonna di cenere emessa dal vulcano. Molte delle immagini sono state riprese da aereo, molte altre acquisite da dispositivi montati a bordo di satelliti. Grazie alla grandissima diffusione di strumenti come Google Earth, è oggi noto a molti che immagini della superficie terrestre sono continuamente acquisite dai satelliti che orbitano intorno alla Terra a svariate centinaia di chilometri di altezza. Questi satelliti sono provvisti di sensori ottici, non molto diversi, come principio di funzionamento, dalle comuni macchine fotografiche.

Forse è meno noto che esistono altri satelliti che osservano la Terra utilizzando, invece della “luce”, una radiazione elettromagnetica a microonde simile a quella utilizzata per i telefoni cellulari o per riscaldare e cuocere pietanze nei forni, detti appunto “a microonde”. Uno dei vantaggi di tali sistemi è la capacità di acquisire immagini sia di giorno sia di notte, anche quando il cielo è coperto da nuvole o, come nel caso islandese, dalla cenere emessa dallo stesso vulcano, visto che in entrambi i casi le microonde riescono ad attraversale.

 

Ma la caratteristica più importante di queste immagini è che permettono di misurare piccolissime deformazioni del suolo, anche dell’ordine del centimetro: un risultato sorprendente se si pensa che viene ottenuto con satelliti che si trovano ad alcune centinaia di km di altezza.

La misura delle deformazioni del suolo in aree vulcaniche è di estrema importanza perché queste sono spesso precursori di eruzioni, o comunque indice di un incremento dell’attività vulcanica. Sotto la spinta del magma presente al di sotto dei vulcani, infatti, l’edificio vulcanico tende a “gonfiarsi”, le sue pareti a deformarsi, fino a quando il magma non trova una via di uscita (fig. 1). Diversamente da ciò che si può immaginare, anche in concomitanza di fenomeni imponenti la deformazione può essere relativamente piccola, dell’ordine di alcuni centimetri o decine di centimetri. In Islanda, ad esempio, il vulcano si è deformato di circa 10 cm nei mesi immediatamente precedenti l’eruzione.

 

 

Ma come è possibile misurare deformazioni così piccole usando satelliti in orbita nello Spazio?

Il metodo si basa sull’utilizzo di immagini acquisite da un speciale “macchina fotografica” a microonde, chiamata Radar ad Apertura Sintetica (SAR), montata a bordo di diversi satelliti che orbitano intorno alla Terra. Grazie all’utilizzo di tecniche cosiddette interferometriche, si confrontano (si fanno “interferire”) due immagini acquisite dalla stessa posizione, ma in tempi diversi. Se qualcosa è cambiato, cioè se tra la prima e la seconda acquisizione c’è stata una deformazione del terreno, questa viene visualizzata mediante una serie di strisce colorate, le cosiddette frange di interferenza o interferogramma.

Le onde elettromagnetiche utilizzate sono caratterizzate da una alternanza di creste distanziate di circa 5 cm; questa distanza è la cosiddetta lunghezza d’onda (fig. 2). È proprio “contando” queste creste che il radar riesce a capire a quale distanza si trova l’oggetto che sta osservando. Non solo: se l’oggetto, che può trovarsi anche a centinaia di chilometri di distanza, si sposta di appena qualche centimetro il numero di creste che caratterizzano le onde elettromagnetiche cambierà, consentendo di rilevare e misurare lo spostamento con accuratezza, appunto, centimetrica.

 

 

Ma si può fare di più. Se si usa una serie di immagini (invece di due sole) acquisite nel corso del tempo, si può seguire l’evoluzione temporale della deformazione. Questo tipo di misura è reso possibile grazie all’utilizzo di una tecnica altamente innovativa, denominata SBAS (acronimo di Small BAeline Subset), sviluppata interamente presso l’IREA-CNR di Napoli.

E se si considera che i primi satelliti utilizzabili a tale scopo hanno raccolto dati fin dal 1992, è evidente la possibilità di analizzare con un dettaglio precedentemente impensabile la storia deformativa di un vulcano negli ultimi 19 anni. Tutto questo senza avere alcuna necessità di accedere al vulcano, un ulteriore vantaggio, in caso di crisi eruttiva, rispetto a tecniche più “tradizionali”.

Queste ultime prevedono una raccolta manuale di dati da effettuarsi mediante campagne di misura sul territorio, oppure l’istallazione, in postazioni fisse, di ricevitori GPS del tutto analoghi a quelli dei navigatori satellitari. In entrambi i casi, il numero di punti di misura risulta essere limitato.

Una mappa di deformazione satellitare, invece, permette di coprire aree molto vaste e con una densità di punti di misura molto elevata. A titolo di esempio, la fig. 3 rappresenta la mappa di velocità di deformazione del Golfo di Napoli, un’area che si estende da Pozzuoli a Sorrento e che include ben tre aree vulcaniche: Vesuvio, Campi Flegrei e l’isola di Ischia. In fig. 3 le aree verdi sono le zone stabili, quelle che non si muovono, mentre le aree rosse sono caratterizzate da un abbassamento (subsidenza) con velocità superiore ad 1 cm all’anno; questa deformazione è localizzata nel golfo di Pozzuoli è dovuta al ben noto fenomeno del bradisismo.

Per ognuno dei punti di misura è, inoltre, possibile analizzare l’andamento temporale della deformazione lungo tutto il periodo di tempo analizzato (che in questo caso va dal 1992 al 2008). In fig. 3 è mostrato, a titolo di esempio, quello relativo al punto indicato dalla freccia: si nota un generale fenomeno di subsidenza, interrotto da brevi episodi di risalita nel 2000 e nel 2005.

 

 

La possibilità di avere una copertura spaziale così fitta permette di tenere sotto controllo e analizzare fenomeni anche in zone dove non sono presenti sensori delle reti di sorveglianza perché non sono attesi effetti deformativi.

Inoltre, le moderne tecnologie informatiche permettono anche un accesso semplice, veloce ed intuitivo ai risultati di queste misure. A tale scopo, l’IREA-CNR di Napoli ha anche sviluppato una piattaforma web (http://webgis.irea.cnr.it) molto semplice da utilizzare perché utilizza una interfaccia derivata da Google Maps e quindi familiare anche ad un pubblico non specialistico. In questo modo, chiunque abbia una connessione internet può consultare risultati simili a quello mostrato in fig. 3, non solo relativi a vulcani, ma anche a svariati altri siti sparsi nel mondo.

 

Eugenio Sansosti

 

Ultima modifica il Mercoledì, 09 Settembre 2009 10:26
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