Macchie di Rorschach

Guido Donati 29 Giu 2010

Gli unici ma non irrilevanti riferimenti alle discipline scientifiche di questa raccolta di poesie sono nel titolo, nella poesia eponima e nella copertina, che rimandano all’utilizzo dei "disegni ambigui" per valutare la personalità di un individuo. Un'idea dalle radici antiche, era anche una sorta di gioco di società, ma che nel 1921 fu Hermann Rorschach  con il suo “test” il primo ad applicare come strumento di indagine psicometrica.
L’autore, Marco Ferrazzoli,  giornalista e capo ufficio stampa del CNR, ha preso in prestito - o a pretesto? - le ‘Macchie di Rorschach’ per un suo libro di poesie. Una scelta singolare ma giustificata. Intanto, perché lo stesso scienziato si era fatto ispirare da un libro di poesie e, soprattutto, perché anche le poesie, come le immagini apparentemente incoerenti usate dagli psicologi, assumono un senso in base alle percezioni che suscitano in chi le ha davanti. Anch’esse variano, proprio come le macchie di Rorschach, in modo imprevedibile per lo stesso autore.
Leggiamo infatti nella poesia che chiude la raccolta, oltre a intitolarla: “Come macchie di Rorschach/ in cui ciascuno vede ciò che vuole/ come fosfeni che coprono gli occhi/ per avere fissato troppo a lungo il Sole// Così sono le poesie” a cui “chiediamo di dirci chi siamo/ e poi, non si sa come, ci riconosciamo// Senza essere capaci di dircelo da soli”. La passione per i test di Rorschach dell’autore non è insomma da rimandare solo al suo master in Psicologia di consultazione.

Per il resto, i versi spaziano in un arco umano e culturale ampio, nel quale però si identificano alcuni temi nodali: la poesia stessa, l’amore, il gioco come metafora del destino e della vita, la politica, alcune descrizioni paesaggistiche. Senza mai, però, il tono saccente di chi vuole trasmettere il messaggio ma, anzi, sempre con una marcata autoironia:  “perché la poesia è lavoro / e mettersi in gioco, / è spogliare l’anima, / sfogliarla poco a poco / rischiando il ridicolo, / con un salto nel fuoco”.
In tale spettro tematico, a dire il vero, la scienza e la ricerca in senso lato tornano almeno un’altra volta, prepotentemente, in ‘Almagesto’. Una poesia dove però si vagheggia “un cosmo a misura d’uomo/ dove Copernico non abbia l’esclusiva”. Un “universo con il cuore al centro/ un nuovo, tolemaico sistema/ che ruoti intorno alla nostra pena/ nel quale l’anima rimanga sempre dentro”. Giacché “Queste galassie, come le conosciamo/ son troppo fredde e buie, e troppo grandi/ perché ci possa raggiungere un ‘ti amo’/ ci vogliono anni luce, e pure tanti”. Un “universo riprodotto in scala/ invece ci starebbe meglio addosso”.
Anche questa, in qualche modo, è ‘ricerca’. E proprio come talvolta accade nei laboratori, il risultato può essere raggiunto quasi casualmente, per serendipità, o al contrario essere ignorato anche quando ci si sbatta di fronte. Come accade alla “infermiera canterina” di ‘Misericordia corporale’: “Al piano superiore si sente / un vagito, è il reparto maternità/ nella rianimazione, solo un tintinnio/ cantilenante: l’infermiera non lo sa/ ma è la metafora dell’umanità”.

 


Il  libro è edito da Terre Sommerse (www.terresommerse.it, € 10,00 pagg. 73).

Ultima modifica il Martedì, 06 Marzo 2012 14:39
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