«Questo innalzamento avviene molto presto, nei giorni immediatamente successivi al ricovero», aggiunge Andrea Carrer, dirigente medico Ematologia al San Gerardo.
«Questa situazione non si verifica in altre condizioni patologiche, per esempio non avviene in pazienti affetti da polmonite COVID-19 negative, ed ha come unico precedente una malattia della gravidanza nota come “preeclampsia” in cui l’elevato rapporto sFlt1/PlGF determina trombosi sia a livello della placenta che in altri organi», aggiunge Valentina Giardini, dirigente medico Ostetrico della Fondazione Mamma e Bambino, sempre situata all’interno del San Gerardo.
Ma la conseguenza più importante è che questa alterazione chiama in causa la molecola che il virus utilizza per entrare nelle cellule, nota come ACE2. Il fatto che ACE2 venga soppresso dopo l’entrata del virus causa questo aumento di sFlt1 e quindi suggerisce che COVID-19 infetti direttamente le cellule endoteliali, almeno nei pazienti che sviluppano complicanze trombotiche.
Questo fatto, unitamente alla precocità di alterazione del rapporto sFlt1/PlGF, oltre a chiarire il meccanismo di azione del virus, offre una razionale per l’utilizzo precoce di farmaci anticoagulanti (come l’eparina), e di altri farmaci quali aspirina o sartanici, in grado di bloccare l’aumento di sFlt1.
«Questi risultati richiederanno conferma tramite studi prospettici - conclude il Professor Gambacorti-Passerini - ma la loro rapida diffusione potrà permettere un trattamento più razionale ed efficace di questa nuova malattia».
La ricerca è finanziata da AIRC.