Le cellule staminali mesenchimali (MSC), ricavabili da tessuto adiposo e midollo osseo, possiedono notevoli proprietà immunomodulanti e antinfiammatorie, rendendole preziose sia in medicina umana che veterinaria. Tuttavia, la loro applicazione è spesso limitata dalla capacità proliferativa ridotta e dalla variabilità qualitativa legata all'età del donatore e al sito di prelievo. Per superare queste sfide, un metodo per produrre MSC utilizzando cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) sta guadagnando crescente interesse come via per garantire un approvvigionamento stabile di MSC omogenee. Le iPSC, infatti, vantano una capacità di proliferazione illimitata e la versatilità di differenziarsi in svariati tipi cellulari. Nonostante questo enorme potenziale, gli studi focalizzati sull'applicazione in medicina canina rimangono ancora limitati.


In un significativo passo avanti per migliorare la medicina veterinaria, un team di ricerca guidato dal Professor Shingo Hatoya e dal Dott. Masaya Tsukamoto presso la Graduate School of Veterinary Science dell'Università Metropolitana di Osaka ha generato con successo iPSC da quattro diversi tipi di cellule somatiche canine. Utilizzando queste cellule, è stato possibile indagare e definire il metodo ottimale per la produzione di MSC canine.

 

Uno studio pilota firmato Cnr, Università degli studi di Milano e Policlinico, pubblicato su Brain Stimulation, ha evidenziato come la stimolazione elettrica spinale non invasiva possa modulare i biomarcatori dello stress ossidativo e dell’infiammazione in pazienti affetti da sclerosi multipla, aprendo a nuove prospettive terapeutiche ad affiancamento dei trattamenti standard

Uno studio pilota appena pubblicato sulla rivista internazionale Brain Stimulation ha evidenziato come la stimolazione elettrica spinale non invasiva (tsDCS) possa modulare i biomarcatori dello stress ossidativo e dell’infiammazione in pazienti affetti da sclerosi multipla (SM), aprendo a nuove prospettive terapeutiche ad affiancamento dei trattamenti standard.

Il progetto pilota, finanziato dalla Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM), è frutto della collaborazione tra l’Università degli Studi di Milano, la Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, e l’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche, e ha coinvolto un gruppo multidisciplinare di ricercatori clinici e bioingegneri.



La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) resta una delle malattie neurodegenerative più temute e difficili da trattare, con una sopravvivenza media di circa quattro anni dalla diagnosi e nessuna cura definitiva all’orizzonte. In questo scenario, un gruppo di ricercatori dell’Università di Uppsala ha compiuto un passo rivoluzionario: grazie alla stampa 3D, sono riusciti a creare modelli di tessuto nervoso umano coltivabili a partire dalle cellule dei pazienti stessi. Questa innovazione apre nuove prospettive per la medicina di precisione, la ricerca farmacologica e la comprensione dei meccanismi alla base della SLA, integrando stampa 3D, organoidi nervosi, medicina rigenerativa, SLA, cellule staminali umane, neurodegenerazione, terapia personalizzata, bioink, bioprinting, modelli in vitro.

Dalla pelle al midollo spinale: come nasce un organoide nervoso

I ricercatori hanno utilizzato cellule staminali umane ottenute dalla pelle dei pazienti, riprogrammate per diventare progenitori dei motoneuroni, le cellule che controllano i muscoli e che nella SLA vengono progressivamente distrutte. Queste cellule sono state mescolate con un gel di gelatina e stampate strato su strato mediante una stampante 3D, ricreando così la struttura tridimensionale del tessuto nervoso.

Un elemento chiave dell’innovazione è stato l’uso di un bioink più morbido, che mantiene la forma ma permette la crescita delle fibre nervose (neuriti) anche all’interno dello scaffold, e non solo in superficie come nei precedenti tentativi. Inoltre, l’aggiunta di particelle di silice mesoporosa caricate con fattori di crescita ha favorito la maturazione cellulare e la formazione di reti neurali più complesse.

“La nostra metodologia consente di costruire organoidi di motoneuroni direttamente dalle cellule cutanee del paziente, da cui possiamo ottenere modelli di midollo spinale utilizzabili per testare nuovi trattamenti,” spiega Elena Kozlova, autrice principale dello studio.


Spezia millenaria dal colore vivace e dal sapore distintivo, la curcuma è ben più di un semplice ingrediente culinario. Originaria del Sud-Est asiatico, in particolare dell'India, è da secoli un pilastro della medicina ayurvedica e della medicina tradizionale cinese, venerata per le sue straordinarie proprietà benefiche. Oggi, la scienza moderna sta confermando ciò che le antiche tradizioni sapevano da tempo, rendendo la curcuma una delle spezie più studiate e apprezzate nel campo del benessere.

Un Tesoro di Composti Bioattivi: La Curcumina
Il segreto delle virtù della curcuma risiede principalmente nella curcumina, il polifenolo responsabile del suo caratteristico colore giallo-arancione. La curcumina è il principale principio attivo e il più studiato tra i curcuminoidi, un gruppo di composti bioattivi presenti nella curcuma. È a questo composto che si attribuiscono la maggior parte delle proprietà salutistiche della spezia.




L’invecchiamento della popolazione mondiale rappresenta una delle principali sfide sanitarie del nostro tempo. In risposta, cresce l’interesse verso strategie nutrizionali e integratori naturali in grado di promuovere una longevità sana. Un recente studio guidato dal Professor Indraneel Mittra dell’Advanced Centre for Treatment, Research & Education in Cancer (ACTREC) di Mumbai apre nuove prospettive: la combinazione di resveratrolo e rame, due nutraceutici ampiamente disponibili, potrebbe offrire una soluzione sicura, economica ed efficace per rallentare i processi degenerativi legati all’età.

ROS e cfChPs, un nuovo paradigma
Il resveratrolo, noto antiossidante presente nella buccia di uva e frutti di bosco, e il rame, minerale essenziale ma potenzialmente tossico ad alte dosi, hanno mostrato risultati contrastanti se utilizzati singolarmente. Tuttavia, studi giapponesi hanno dimostrato che la loro combinazione genera specie reattive dell’ossigeno (ROS) in grado di degradare il DNA batterico in vitro.

Il gruppo di Mittra ha portato questa scoperta oltre, dimostrando che i ROS prodotti da R-Cu possono degradare le particelle di cromatina libera (cfChPs), frammenti di DNA e proteine rilasciati dalla morte cellulare. Queste cfChPs, secondo i ricercatori, sono in grado di penetrare nelle cellule sane e danneggiarne il DNA, contribuendo ai processi di invecchiamento e a numerose patologie.
“Il nostro lavoro suggerisce che eliminare le cfChPs con la combinazione di resveratrolo e rame possa rallentare i processi di invecchiamento e ridurre il rischio di malattie correlate all’età,” afferma il Prof. Indraneel Mittra.



Le emozioni che proviamo non sono mai isolate: il contesto in cui ci troviamo, anche quello visivo, può influenzare profondamente il nostro stato d’animo. Un nuovo studio condotto dall’Hebrew University of Jerusalem rivela che le persone con sintomi depressivi sono particolarmente sensibili all’influenza emotiva delle immagini negative che li circondano, arrivando a percepire come negativi anche contenuti neutri quando questi sono affiancati da stimoli visivi sfavorevoli. Questa scoperta apre nuove prospettive per la comprensione dei meccanismi della depressione e per lo sviluppo di strategie terapeutiche mirate.

Il peso del contesto nelle emozioni depressive.

Il team guidato dalla Prof.ssa Nilly Mor e dalla dottoranda Tamar Amishav ha coinvolto oltre 270 studenti universitari in una serie di esperimenti. I partecipanti hanno osservato immagini neutre o negative, presentate da sole o affiancate da altre immagini con contenuto emotivo neutro, negativo o positivo. I risultati sono stati chiari: chi presentava livelli più alti di sintomi depressivi tendeva a valutare come più negativi anche i contenuti neutri, se accompagnati da immagini periferiche negative. Questo effetto non si osservava con immagini periferiche positive o neutre.

“Le nostre esperienze emotive raramente sono determinate da un solo stimolo,” spiega la Prof.ssa Mor. “Le persone con tendenze depressive sono più vulnerabili al ‘contagio’ emotivo della negatività circostante, anche quando questa non è direttamente rilevante.”

Il ruolo dell’asimmetria: positività che non compensa

Un aspetto particolarmente interessante emerso dallo studio è che la presenza di immagini positive nel contesto non riusciva a mitigare l’effetto delle immagini negative. In altre parole, la tendenza a percepire il mondo attraverso una lente negativa non viene bilanciata dall’introduzione di stimoli positivi, confermando una tipica asimmetria nei processi emotivi depressivi.

“Questi risultati suggeriscono che i segnali negativi hanno un’influenza più forte sull’interpretazione emotiva rispetto a quelli positivi, soprattutto in chi soffre di depressione,” sottolinea Amishav. “Questo può spiegare perché le persone depresse percepiscono il mondo come più cupo, anche in situazioni apparentemente neutre.”

In conclusioni, questo studio sottolinea come la depressione non sia solo una questione di emozioni interne, ma anche di come il contesto esterno modula la nostra percezione emotiva. La maggiore vulnerabilità al “contagio” negativo può spiegare perché chi soffre di depressione fatica a trovare sollievo anche in ambienti neutri o positivi. Da un punto di vista clinico, questi risultati suggeriscono la necessità di terapie che aiutino i pazienti a riconoscere e gestire l’impatto del contesto, sia esso reale (social media, pubblicità, ambiente) o immaginato. Interventi mirati su questi bias potrebbero rappresentare una nuova frontiera nella prevenzione e nel trattamento della depressione.


Studi scientifici recenti correlati: - "Implicit Emotional Biases in Anxiety and Depression" Dickey, L., Granros, M., MacNamara, A., et al. (2024) Studio che evidenzia come individui con depressione mostrino una maggiore risposta cerebrale a stimoli tristi e una ridotta risposta a stimoli positivi, confermando il bias negativo nell’elaborazione emotiva. bioRxiv, 2024. - "Affective processing in individuals with depressive symptoms" MSc Thesis, University of Padua (2023) Utilizzando EEG, lo studio mostra che sintomi depressivi predicono una ridotta elaborazione emotiva di immagini piacevoli, suggerendo una difficoltà nell’elaborazione di stimoli positivi rispetto a quelli negativi. Università di Padova, 2023. - "The Impact of Affective Context on Autobiographical Recollection in Depression" Hitchcock, C., Golden, A.M., Werner-Seidler, A., Kuyken, W., Dalgleish, T. (2017) I soggetti depressi hanno difficoltà a sovrascrivere l’influenza del contesto emotivo negativo nei ricordi autobiografici, con implicazioni per la memoria e il funzionamento quotidiano. Clinical Psychological Science, 2017. Riferimenti bibliografici Dickey, L. et al., "Implicit Emotional Biases in Anxiety and Depression," bioRxiv, 2024. MSc Thesis, University of Padua, "Affective processing in individuals with depressive symptoms," 2023. Hitchcock, C. et al., "The Impact of Affective Context on Autobiographical Recollection in Depression," Clinical Psychological Science, 2017.


La ricerca sugli embrioni generati da cellule staminali (SCBEM, Stem Cell-Based Embryo Models) rappresenta una delle frontiere più promettenti e, al contempo, più controverse della biomedicina contemporanea. Questi modelli, capaci di imitare molte caratteristiche degli embrioni umani reali senza però essere veri e propri embrioni, stanno rivoluzionando lo studio dello sviluppo umano e delle patologie correlate. Tuttavia, sollevano interrogativi etici e normativi ancora irrisolti, che richiedono risposte condivise e innovative. Un recente studio internazionale, finanziato da enti asiatici, ha analizzato lo stato globale della regolamentazione di questi modelli e ha proposto soluzioni per un quadro etico comune e dinamico.

Il valore e la natura degli SCBEM
Gli SCBEM sfruttano la straordinaria plasticità delle cellule staminali pluripotenti, in grado di differenziarsi in molteplici tipi cellulari, per ricreare strutture simili a quelle embrionali. Questo consente di studiare le fasi precoci dello sviluppo umano, di investigare malattie genetiche e di testare nuove terapie, superando molti dei limiti etici e tecnici legati all’uso di embrioni umani veri e propri. Gli SCBEM possono essere ottenuti sia da cellule staminali embrionali sia da cellule somatiche riprogrammate (iPS cells), distinguendosi nettamente dalle cellule germinali (ovuli e spermatozoi).

 

La pandemia di COVID-19 ha scatenato un'intensa ricerca sulle origini del virus SARS-CoV-2. In questo contesto, una sequenza di 19 nucleotidi brevettata da Moderna nel 2016 ha attirato significative attenzioni per la sua parziale corrispondenza con una regione critica del genoma virale, il sito di clivaggio della furina (FCS - Furin Cleavage Site). Questo articolo esplora in dettaglio il brevetto di Moderna US9359392B2 (anche US9587003B2). la natura della sequenza in questione, le contestazioni e le teorie emerse, e presenta un'analisi approfondita delle probabilità statistiche di tale coincidenza. Valutiamo le basi molecolari e l'epidemiologia del SARS-CoV-2, confrontandole con le implicazioni di un'eventuale origine laboratoriale. Concludiamo che, sebbene la coincidenza sia un fatto interessante degno di analisi scientifica, l'evidenza genetica, statistica ed epidemiologica non supporta l'ipotesi di un'origine artificiale o di un coinvolgimento diretto di Moderna nella creazione del SARS-CoV-2. Comunque l'evento richiede ulteriori studi e approfondimenti.

 

Ethyl p-methoxycinnamate inhibiting cancer cell energy source: EMC, a main component of kencur ginger, has shown it can block tumor growth and prevent ATP development.

 

Cercare risposte nella natura a interrogativi complessi può portare a risultati inediti e sorprendenti, capaci persino di influenzare le cellule a livello molecolare. Le cellule umane, ad esempio, ossidano il glucosio per produrre ATP (adenosina trifosfato), una fonte di energia vitale. Le cellule tumorali, invece, producono ATP attraverso la glicolisi, un processo che non richiede ossigeno anche quando questo è presente, e convertono il glucosio in acido piruvico e acido lattico. Questo metodo di produzione di ATP, noto come effetto Warburg, è ritenuto inefficiente, sollevando interrogativi sul perché le cellule tumorali scelgano questa via energetica per alimentare la loro proliferazione e sopravvivenza.

 

 


Pubblicato su Nature Genetics lo studio internazionale che ha per la prima volta identificato nuove varianti genetiche associate al rischio di sviluppare la sindrome, nota per provocare stanchezza cronica, difficoltà cognitive e respiratorie, dolore muscolare. L’Italia ha contribuito con studiosi e studiose dell’Università degli Studi di Milano, dell’Università di Siena, e dell’Istituto di tecnologie biomediche del Cnr, grazie alla partecipazione degli studi Fondazione COVID-19 Genomic e GEN-COVID.


Un ampio studio genetico internazionale, pubblicato sulla rivista Nature Genetics, ha identificato nuove varianti genetiche associate al rischio di sviluppare il “long Covid”, una condizione debilitante che colpisce milioni di persone nel mondo anche mesi dopo la guarigione dall’infezione acuta da SARS-CoV-2, caratterizzata da sintomi come stanchezza cronica, difficoltà cognitive e respiratorie e dolore muscolare.

 

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