“I dati ottenuti hanno dimostrato che il progressivo aumento dei parametri eritroidi (ovvero il numero dei globuli rossi e la massa di emoglobina) non è accompagnato dalla carenza di ferro”, spiega Stefania Recalcati, co-coordinatrice della ricerca. “Anche le condizioni estreme osservate negli abitanti di La Rinconada, che presentano, ad esempio, un ematocrito oltre 70% (dovuto ad un volume totale degli eritrociti raddoppiato rispetto al normale) non portano a carenza di ferro, come evidenziato da inalterata ferritina e saturazione della trasferrina. Solo l’ulteriore stress eritropoietico presente nei soggetti affetti da mal di montagna cronico ha provocato l’induzione dell’eritroferrone e la repressione dell’epcidina (due regolatori del metabolismo del ferro a livello sistemico), in modo da far fronte alle ancor più alte necessità delle cellule eritroidi”, conclude Stefania Recalcati. Presumibilmente, come dimostrato dal riscontro di più elevati livelli di ceruloplasmina, una proteina necessaria per l’assorbimento del ferro e indotta dalla mancanza di ossigeno, l’omeostasi del ferro raggiunge un equilibrio con l’aumentata eritropoiesi. In questo caso, infatti si favorisce un’efficiente mobilizzazione del ferro dal lume intestinale (assorbimento) fino al compartimento eritroide, grazie all’ottimizzazione di meccanismi di trasporto.
Questi risultati forniscono informazioni preziose sull’adattamento dell’omeostasi del ferro in risposta a una eritropoiesi cronicamente stimolata, come quella degli oltre 100 milioni di persone che vivono stabilmente sopra i 2.500 metri, o dei pazienti con patologie respiratorie che comportano grave ipossia cronica o con malattie ematologiche come la policitemia, caratterizzate da un forte aumento della quantità di globuli rossi nel sangue.