Si parla da tempo di nanomedicina, ovvero dell'applicazione in ambiente clinico delle nanotecnologie. È un campo estremamente promettente. Tra
i vantaggi dell'uso di particelle di piccolissime dimensioni ci potrebbe essere la possibilità di amplificare e concentrare in maniera considerevole l’effetto terapeutico di una singola molecola, per esempio di un farmaco, riducendo drasticamente il quantitativo necessario per la terapia e di conseguenza i possibili effetti collaterali.
C'è però un grosso problema che ha impedito finora di raggiungere questo traguardo: i limiti delle attuali capacità di sintesi delle nanostrutture, che al momento non consentono di fabbricare nanoparticelle omogenee. "Nel mondo macroscopico, per garantirci omogeneità, in qualsiasi processo di produzione, dai biscotti alle palline da tennis, utilizziamo degli stampi", spiega Calvaresi. "Nel caso delle nanoparticelle questo approccio non è percorribile, poiché parliamo di oggetti con dimensioni dell’ordine dei miliardesimi di metro e non esistono stampini così piccoli". Per questo, quando gli scienziati provano a sintetizzare delle nanoparticelle, anche utilizzando le metodologie più accurate, producono miliardi di questi oggetti piccolissimi, ma con dimensioni e forme leggermente diverse tra loro.
Questo non significa però che sia impossibile costruire particelle nanometriche in maniera totalmente riproducibile, dato che ciò avviene comunemente in natura. Un esempio sono i virus: oggetti nanometrici per i quali l’assemblaggio, la forma e le dimensioni sono strettamente
determinati a livello genetico. Proprio da questa osservazione è nata l’idea degli scienziati: realizzare un sistema di sintesi di nanoparticelle con potenzialità terapeutiche, utilizzando un virus come elemento iniziale. "Siamo partiti da un particolare virus, il batteriofago M13, che infetta i batteri ed è innocuo per le piante, gli animali e gli esseri umani. Lo abbiamo utilizzato come stampo per la sintesi delle nanoparticelle”, dice Calvaresi. "A tale scopo abbiamo ‘decorato’ l'involucro virale, in gergo il capside, con delle molecole foto-attive, capaci di generare specie tossiche al contatto con la luce".