I risultati dell’inchiesta gettano ancora più dubbi sull’operato dell’Italia, che da anni incentiva la sostituzione delle plastiche ricavate dagli idrocarburi con quelle compostabili, lasciando però inalterata la logica del monouso, i cui impatti ambientali risultano sempre più devastanti. A ciò si aggiungono le recenti deroghe ed esenzioni introdotte dal governo nel recepimento della Direttiva europea sulle plastiche monouso (SUP). Per i prodotti in plastica destinati a entrare in contatto con gli alimenti (ad esempio piatti e posate), la legge italiana consente infatti di aggirare il divieto europeo ricorrendo ad alternative in plastica compostabile. In base alla norma comunitaria, tuttavia, queste dovrebbero essere vietate al pari delle stoviglie realizzate con plastiche derivate da petrolio e gas fossile. Per queste ragioni il nostro Paese rischia seriamente di essere sottoposto a una procedura d’infrazione che Greenpeace, insieme ad altre ONG europee, aveva già avuto modo di denunciare alle autorità europee nei mesi scorsi.
“Considerato i problemi di trattamento delle plastiche compostabili, è incomprensibile che l’Italia continui a incentivare questi materiali. Siamo di fronte a un greenwashing di Stato, che si trasforma in una truffa nei confronti della collettività. Mentre il resto dell’Europa va verso soluzioni basate sulla dematerializzazione del packaging e sull’impiego di prodotti durevoli e riutilizzabili, in conformità con la gerarchia europea di gestione dei rifiuti, in Italia si incentiva il monouso in plastica compostabile. Come dimostra la letteratura scientifica internazionale, i maggiori benefici ambientali si ottengono abbandonando l’usa e getta, indipendentemente dalla tipologia di materiale”, commenta Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace.