Certamente gli stilisti, protetti e guidati da collaborazioni imprescindibili con il regista, lo scenografo, il coreografo e la
personalità degli interpreti, in un clima così favorevole, non possono creare altro che capolavori. È il caso dei cinquecento metri di
taffetà bianco, argento e ghiaccio, usati da Roberto Capucci per realizzare i dodici costumi delle vestali, in un balletto dedicato alla
divina Callas, mentre canta l’aria più famosa della Norma di Bellini. foto 1
Sulle note di Casta Diva, infatti, all’Arena di Verona, nel 1986, solfeggiano i passi di danza di Carla Fracci e sfilano solennemente le
dodici vestali così abbigliate. Capucci, il più teatrale degli stilisti, è sempre a favore di immagini scultoree, ieratiche e ha bisogno di
artiste che siano innanzitutto Primedonne, al fine di veder tradotta al meglio la solennità del suo stile inconfondibile. Maestro a tutto
tondo, il couturier romano, definito da Dior “il più grande creatore della moda italiana”, studia il repertorio, il fondale e i movimenti
degli interpreti nei minimi dettagli, prima di lavorare alla realizzazione dei costumi.
Comunque, è negli anni 80, con l’intuizione delle sorelle Fendi e del loro direttore creativo Karl Lagerfeld, che si ha la prima
incursione teatrale della moda italiana – a parte la felice parentesi di Elsa Schiapparelli negli anni 30. Siamo nel 1980 ed è subito
Traviata, a Roma per la regia di Mauro Bolognini. Tante sono le sperimentazioni e ampia è la ricerca che la maison ha sempre operato in
direzione delle pellicce ma su tutte si erge la mantella in velluto chiffon color pesca, bordata e foderata di pelliccia di mongolia avorio
e realizzata per Raina Kabaivanska, che è Violetta nella Traviata andata in scena allo Sferisterio di Macerata, nel 1984.
Sempre nel 1980 anche Armani si affaccia alla ribalta del teatro, nonostante il suo amore sia maggiormente rivolto alla finzione
cinematografica. Doppiando la stessa operazione svolta molti anni prima per il film American gigolo, nel 1995, al Royal Opera House Covent
Garden di Londra, in un’edizione del Così fan tutte di Mozart, lo stilista piacentino inserisce gli abiti della collezione Emporio Armani P-
E 1995, dall’inconfondibile stile moderno ed essenziale. foto 2
Tuttavia, pur essendo partito con l’Opera, è nella danza e nel musical che lo stile Armani trova il suo terreno più fertile, come
dimostra la spettacolare Bata de cola a balze creata per il celebre ballerino di flamenco Joaquin Cortes, nel 2002.
Solo tre anni più tardi, accanto a Fendi ed Armani, ritroviamo il nome dei fratelli Missoni che disegnano ben 120 costumi per Lucia di
Lammermoor, andata in scena alla Scala di Milano, con la regia di Pier Luigi Pizzi. Nelle lane e nei disegni ritroviamo tutta la Scozia
della musica di Donizetti e la modernità del basco indossato da Edgardo-Pavarotti ha davvero fatto il giro del mondo.
Con Valentino, lo stilista italiano tanto amato da Audrey Hepburn, invece, torniamo indietro nel tempo, agli anni 1913-26, fase americana
del divo Rodolfo Valentino, ricordato nell’opera in due atti The Dream of Valentino e presentata al Kennedy Center di Washington nel 1994.
foto 3
Lo stilista italiano per i costumi di quest’opera s’ispira ai modelli maschili settecenteschi, giocando tra broccati di seta, crepe de
chine e velluti. Gli abiti femminili, d’altro canto, nati da un accurato lavoro di ricostruzione storica, sembrano far rivivere le signore
che popolavano il mitico Orient-Express, per l’eleganza delle linee e l’accuratezza nelle decorazioni.
Durante il cammino sempre più affascinante, man mano che ci avviciniamo ai nostri giorni l’elenco degli stilisti tributati al teatro
diventa sempre più lungo e la mostra offre ampio spazio a molti di loro ma è con la sala dedicata a Gianni Versace che si conclude il
percorso dell’esposizione romana. La sala più ampia, più sfarzosa, più incredibile! foto 4
Nel genio di Versace - l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine della sublime carrellata - si racchiudevano la grecità e il barocco. Con
intelligenza, il sarto meridionale va oltre la lezione di Roberto Capucci ed Elsa Schiapparelli, la filtra, la reinventa e la traduce nel
suo lavoro teatrale. I costumi realizzati durante il sodalizio artistico con il coreografo Maurice Bejart chiudono la mostra e non ci sono
parole per descriverli, tanto vale la pena almeno di vederli, non potendo purtroppo farli propri.
Margherita Lamesta