Le persone sofferenti di dolore cronico sono moltissime nel mondo, 15 milioni solo in Italia. Si tratta di una patologia assai seria cui si rimedia in massima parte con i farmaci, che però, purtroppo, non sono del tutto efficaci, senza contare gli effetti collaterali che producono, i costi piuttosto elevati e l’abuso che spesso ne fa il malato.

Chi ne è affetto lo sa bene: il dolore si protrae oltre il normale decorso di una malattia qualunque o molto al di là del tempo di guarigione previsto, fino a non scomparire più.

A provocare il dolore cronico possono esserci diverse cause: diabete, sclerosi multipla, interventi chirurgici, ernie discali, dolenze facciali (come la nevralgia del trigemino), lombosciatalgie, emicranie, con la complicanza che, a differenza di quello acuto, il cronico è un dolore che non ha un’utilità, ossia non è un segnale d’allarme ma solo il perdurare di una sofferenza fisica che compromette seriamente la qualità della vita.

Soffrire di dolore cronico, infatti, porta inevitabilmente ad una serie di cambiamenti fisici e psicologici importanti, come l’immobilità (a volte talmente prolungata da procurare il decubito), la dipendenza dai medicinali, l’inabilità al lavoro, l’isolamento sociale, l’ansia, la paura, la depressione, la fragilità psicologica, tutti fattori che possono solo peggiorare una patologia che è già grave di per sé, così che alla fine il malato si lascia andare rinunciando a condurre una vita normale ed autonoma. 

Il 15 dicembre, cinquant'anni or sono usciva a Vienna su una rivista seria ma non di altissimo prestigio una pubblicazione, frutto di una combinazione di pazienza certosina, profonda conoscenza dell'anatomia umana e di utilizzo di tecniche analitiche allora all'avanguradia, . Autori erano due giovani nel Dipartimento di Farmacologia dell'Università di Vienna, uno dei quali aveva tenacemnte perseguito l'idea nata durante uno stage ad Oxford presso il prof Blaschko. Quel lavoro costitui' una delle pietre miliari piu' solide e rivoluzionarie della storie delle neuroscienze: Oleh Hornykiewicz ed il suo post doc Ehringer riportavano la pressochè totale assenza di dopamina nel caudato di 6 pazienti parkinsoniani.

Ascoltare la musica

21 Dic 2010 Scritto da

L’azione dell’ascolto non è una cosa banale, come invece si può pensare, soprattutto per quanto riguarda la musica, perché in verità ascoltare musica significa compiere un atto di civiltà. È proprio così, perché la musica porta un messaggio lontano (che pure è attuale), ed ascoltarla davvero significa entrare nella mente e nell’animo di un altro (nel caso, il compositore), e quindi accoglierlo, prestargli attenzione, volergli bene. E se poi quella musica ci muove delle emozioni, ci commuove, ci esalta, o anche solo ci piace, vuol dire che lui stesso ha comunicato con noi. Quindi ascoltare è comunicare.

Abstract

Un gruppo di ricercatori italiani, coordinato dalla Prof.ssa Maria Pia Abbracchio dell’Università degli Studi di Milano, ha recentemente individuato un possibile rimedio alla perdita cellulare conseguente a ictus cerebrale. La scoperta si basa sulla possibilità di sfruttare la capacità del cervello di autoripararsi reclutando cellule progenitrici immature ancora presenti nel cervello adulto, e “indirizzandole” a generare nuove cellule neurali.

Una ricerca internazionale di prossima pubblicazione su PLoS ONE  ha individuato alcuni fattori che impediscono la formazione di nuovi neuroni, ad opera di staminali cerebrali, dopo un episodio di ischemia cerebrale. Un modello matematico ha permesso di confermare il ruolo dei fattori di inibizione e di simulare l’attività di queste cellule durante la crisi, aprendo la strada anche a una sperimentazione più affidabile di nuovi farmaci che siano in grado di potenziare l’azione delle staminali ‘riparatrici’.
Durante un'ischemia cerebrale, quando il sangue non arriva più a una porzione del cervello, per esempio a causa dell'ostruzione di un vaso sanguigno, alcuni neuroni cominciano a morire per mancanza di ossigeno e altri elementi nutritivi necessari al metabolismo della cellula cerebrale. L’ischemia, nei casi più gravi, può portare all’ictus, una malattia che in Italia colpisce ogni anno 200 mila persone ed è la terza causa di morte. Ma possono nascere nuovi neuroni, al posto di quelli ‘morti’? In teoria sì, ma in pratica le cose sono molto più complesse. Infatti, nonostante l’intensa attività di ricerca degli ultimi dieci anni sulla possibilità di generare nuovi neuroni in un cervello adulto, restano ancora da capire molte cose in questo campo.

Abstract
Understanding the molecular process at the basis of polymerization processes of neurotoxic beta-amyloid can give important contributions for designing new therapies for Alzhemier Disease. In this perspective, we have performed an in vitro study of the effects on B-amyloid fibrillogenesis of the natural pigment hypericin extracted from Hypericum perforatum (St. John’s worth). Our results show that, thanks to its structural characteristics and peculiar spectroscopic features, hypericin can be easily used to in vitro monitor the appearance of early aggregation states of B-amyloid peptides during the polymerization process and, more importantly, that hypericin can significantly affect and interfere with the early stages of polymerization process, playing the role of an effective aggregation inhibitor.

Abstract
La ricerca scientifica, da alcuni anni, si occupa della gestione della glicemia nei pazienti ricoverati in terapia intensiva. L’obiettivo è quello di controllare al meglio le variazioni del metabolismo glucidico e prevenire, o quanto meno limitare, i danni causati dalla cattiva regolazione del controllo glicemico. In particolare, nei pazienti neurochirurgici, la gestione della glicemia richiede maggiore attenzione considerando  la grande suscettibilità del cervello ai cambiamenti dei livelli di glucosio plasmatico. La terapia con insulina risulta di fondamentale importanza nel controllo della glicemia. Recenti acquisizioni hanno suggerito nuove strategie da adottare nell’impiego della terapia insulinica, e sempre più centri, in ogni parte del mondo, utilizzano un’infusione endovenosa continua di insulina per controllare la glicemia nei pazienti critici. Nei pazienti neurochirurgici è raccomandato valutare i possibili rischi e benefici della terapia insulinica intensiva.

E’ della metà di gennaio, pubblicata sull’ultimo numero di 'Proceedings of the National Academy of Sciences', la notizia che una ricerca made in italy, chiarisce l’origine dei danni alla memoria nel morbo di Alzheimer.
Nel mondo il 5% delle persone con più di 60 anni soffre di Alzheimer, una patologia che si manifesta con disorientamento spazio-temporale, amnesia, incapacità di riconoscere oggetti o di compiere azioni comuni come lavarsi i denti, cucinare, telefonare o scrivere. Questa malattia rende inermi e dipendenti dagli altri, incapaci di sopravvivere se lasciati da soli e spesso nell’impossibilità di riconoscere parenti e amici andando verso un progressivo e assoluto isolamento. Le origini di questa malattia non sono ancora state chiarite, mentre si sa molto di più sul funzionamento del processo di degenerazione: i neuroni cerebrali iniziano a produrre una proteina (beta-amiloide) che genera placche all'interno della cellula e dei grovigli neurofibrillari. Questa modificazione cellulare, da inizio ad una serie di eventi che portano prima ad una perdita della funzionalità sinaptica, che è probabilmente connessa con la proteina beta-amiloide la quale, in seguito, conduce alla morte del neurone.

Da oltre vent’anni all’Ospedale San Raffaele di Milano, Giampaolo Perna è responsabile del Centro per i Disturbi d’Ansia e del Day Hospital Psichiatrico. È uno dei ricercatori più conosciuti a livello internazionale per quanto concerne le tematiche dei disturbi d’ansia e ha pubblicato oltre 100 articoli su riviste internazionali e nazionali. Fra pochi giorni partirà con la spedizione Oltre, Beyond the Edge, alla volta del Polo Nord. Lo abbiamo raggiunto nel suo studio milanese, in tempo per la partenza.

Un gruppo di ricerca diretto da Julie Williams, professore di Genetica neuropsicologica dell’università’ di Cardiff in Gran Bretagna e da Philippe Amouyel dell’Istituto Pasteur di Lille in Francia, ha aggiunto un importante contributo al fine di trovare una cura per l’Alzheimer.
I risultati di questo studio, presentato sull'ultimo numero della autorevole rivista Nature Genetics,
sono dei primi di settembre e riguardano tre geni chiamati: ‘Clu’, ‘Picalm‘ e ‘Cr1‘ le cui variazioni potrebbero, insieme ad un altro gene, già conosciuto da qualche tempo, che controlla l’ APOE4, mostrare i meccanismi che conducono alla malattia.

 

Scienzaonline con sottotitolo Sciencenew  - Periodico
Autorizzazioni del Tribunale di Roma – diffusioni:
telematica quotidiana 229/2006 del 08/06/2006
mensile per mezzo stampa 293/2003 del 07/07/2003
Scienceonline, Autorizzazione del Tribunale di Roma 228/2006 del 29/05/06
Pubblicato a Roma – Via A. De Viti de Marco, 50 – Direttore Responsabile Guido Donati

Photo Gallery