“Una nostra survey sulle 269 Emodinamiche italiane che svolgono procedure di interventistica strutturale – annuncia Tarantini – ha confermato nei mesi di marzo e aprile 2020 una netta riduzione rispetto allo stesso periodo del 2019: per la sostituzione valvolare aortica transcatetere TAVI -72%, per la clip mitralica -80%, per la chiusura auricola sinistra -91% e per quella del forame ovale pervio PFO – 97%”.
“In tempo di Covid-19 – spiega Tarantini – sono state differite le operazioni non in emergenza, comprese quelle in persone, mediamente anziane, con una malattia del cuore cosiddetta strutturale. Se tale condizione, spesso associata a una comorbidità, può comportare un rischio maggiore di esiti avversi da Covid-19, un ritardo nell’intervento strutturale al cuore può essere davvero letale. Il crollo delle procedure transcatetere è stato causato dal differimento delle procedure elettive da parte degli ospedali ma anche dal rifiuto di ricovero da parte dei pazienti, spaventati da una possibile infezione ospedaliera da Covid-19 (46,1%). Eppure in tutti i centri di riferimento per il trattamento invasivo delle patologie cardiovascolari sono stati individuati protocolli di sicurezza e percorsi differenziati tra pazienti in cui vi è un sospetto o una confermata infezione da Covid-19 e pazienti non contagiati”.
“I dati del 2019 – riferisce Battistina Castiglioni, Membro dell’esecutivo del GISE e Responsabile dei dati di attività – confermano un incremento del numero di procedure in Italia sia in ambito coronarico che soprattutto strutturale. Lo scorso anno le emodinamiche italiane hanno garantito più di 160.000 angioplastiche coronariche, 38.116 in corso di infarto acuto e 55.776 in corso di sindrome coronarica acuta. 8.284 le procedure di sostituzione della valvolare aortica transcatetere (TAVI), 1.224 le riparazioni mitraliche percutanee, 1.146 chiusure percutanee dell’auricola sinistra. Una pratica clinica che evidenzia un sottodimensionamento rispetto al bisogno di salute della popolazione italiana. L’età media delle persone trattate con TAVI, 82 anni, riporta l’attenzione sulla necessità di riprendere in modo adeguato le procedure, ridotte in corso di emergenza, per garantire la terapia di pazienti ad alto rischio e fragili, ora che la disponibilità di letto in terapia intensiva non rappresenta più una criticità”.
“In Campania, una Regione che con 5,8 milioni di residenti rappresenta circa il 10% della popolazione italiana – annuncia Giovanni Esposito, Presidente eletto del GISE – abbiamo osservato un crollo delle angioplastiche del 32% con punte del 50%, per sindromi coronariche acute. Tra le possibili ragioni alla base di questa riduzione, la paura del contagio, la sottovalutazione del dolore toracico, ma anche la situazione unica di blocco del Paese, che ha portato alla riduzione di attività fisica quale fattore potenzialmente scatenante di infarto associata a un ridotto inquinamento atmosferico. La mancanza di rivascolarizzazione appropriata e tempestiva per i pazienti con SCA potrebbe avere altre importanti conseguenze cliniche, incluso un aumento del rischio di insufficienza cardiaca o morte cardiaca improvvisa. I risultati di questo studio dovrebbero suggerire campagne educazionali volte ad aumentare la consapevolezza dei sintomi ischemici, soprattutto in tempo di Covid-19”.
“Questa situazione – interviene Tarantini – ora che la prevalenza del virus è in netto calo, va tempestivamente corretta per evitare ulteriori ritardi nella diagnosi e nelle cure delle patologie cardiovascolari con drammatiche ripercussioni su mortalità e morbidità dei pazienti in lista di attesa. Secondo l’ultimo rapporto Nomisma, per un intervento programmato di angioplastica coronarica, per il quale l’attesa media nazionale si aggira intorno ai 20/25 giorni, si dovranno attendere quattro mesi. Serve un piano organico di ripartenza, per garantire percorsi di cura sicuri, incremento posti letto, attivazione acquisti di prestazione congrui, a tutti i pazienti elettivi che necessitano di cure cardiologiche ambulatoriali o in ricovero”.
“Vogliamo ripartire – conclude Tarantini – proprio dalla maggiore sicurezza ed efficacia dell’approccio percutaneo rispetto a interventi che richiedono intubazione e che presentano un rischio maggiore di infezione da Covid-19, per il paziente e per gli operatori. Con le procedure mini-invasive si ha invece una sedazione cosciente, spesso senza necessità di recupero in terapia intensiva e con dimissione ospedaliera il giorno successivo. Su questo dobbiamo lavorare con le Regioni per ridurre le implicazioni cliniche legate ai mancati interventi, ma anche la disomogeneità d’intervento. Mai come in questo periodo abbiamo potuto osservare l’evidente frammentazione della Sanità italiana, a livello regionale, con i suoi 20 sistemi sanitari diversi. Abbiamo messo in campo un piano che prevede la cooperazione delle amministrazioni nel definire i criteri e garantire l’operatività nella programmazione dell’attività sanitaria post Covid-19: ‘Ripartire dalle Regioni’, progetto presentato in corso di evento che prenderà il via già nei giorni successivi. Classificare come prioritari e non differibili gli interventi di trattamento delle patologie strutturali cardiache, quali la terapia interventistica della stenosi aortica severa e del rigurgito mitralico, e la chiusura di auricola sinistra. Le istituzioni e i decisori lavorino al fianco dei clinici per tornare a garantire ai pazienti le terapie interventistiche adeguate”.