Un dato su tutti che rende chiara la necessità di invertire la rotta: mentre gli investimenti militari continuano ad aumentare raggiungendo picchi storici, dal 2010 al 2019 la spesa per la sanità pubblica in Italia è stata ridotta di oltre 37 miliardi di euro mentre per quanto riguarda i fondi all’istruzione, nel 2017 l’Italia si è classificata ultima nella graduatoria dei Paesi europei.
Oltre che essere miope, pensare che la sicurezza si trovi nelle armi è anche improduttivo: in un momento in cui l’Italia ha bisogno di una grande spinta economica per ripartire, questo è un settore che non frutta né soldi né lavoro. Dei 14 miliardi di fatturato dichiarati nel 2019 da Leonardo S.p.A., azienda italiana che produce armi, solo 25 milioni sono entrati nelle casse dello Stato, che pure ne è l’azionista di maggioranza. Il resto finisce all’estero.
Al contrario, secondo la Global Commission on Adaptation (GCA), creata nel 2018 dall’ex segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon al fine di “prepararsi in modo proattivo, con urgenza, determinazione e lungimiranza agli effetti dirompenti del cambiamento climatico, se i 1.800 miliardi di dollari della spesa militare globale del 2018 venissero investiti in cinque settori chiave per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici, in dieci anni si genererebbe un ritorno economico netto di 7.100 miliardi.
“La ripartenza dopo il Covid può essere un’occasione storica. Il Governo italiano si trova di fronte a un bivio: ripristinare il vecchio sistema economico fondato su attività inquinanti e distruttive o ripartire facendo tutte quelle scelte per consegnare alle future generazioni un Paese più sicuro, verde e pacifico. Riteniamo queste ultime non solo necessarie ma impossibili da rimandare” conclude Chiara Campione.
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