Condizioni abitative e disagio psico-fisico nel periodo di lockdown

Comunicato Università di Genova 29 Mag 2020


Che impatto ha la casa in cui viviamo sulla nostra salute mentale? Il lockdown imposto per contenere la diffusione della pandemia da Covid-19 ha trasformato le case di milioni di persone in postazioni di lavoro, sale riunioni o aule didattiche. Improvvisamente la nostra quotidianità è cambiata; molti hanno dovuto decidere dove trascorrere i successivi due mesi di vita, rimanendo negli appartamenti metropolitani o ritornando alle case familiari fuori città, condividendo ogni giorno gli spazi con coniugi, figli o familiari.
Alla vigilia della riapertura, dopo questa intenso periodo nelle nostre case, sicuramente molti desidererebbero avere una stanza in più, un terrazzo più grande o una vista migliore. E se queste non fossero solo preferenze personali ma, in qualche modo, influissero anche sulla qualità della nostra vita?

Diversi studi e indagini stanno evidenziando come la particolare situazione di incertezza economica, il cambio improvviso delle routine, la distanza da amici e colleghi e l’interruzione di attività sportive e di svago hanno impattato fortemente sul benessere psicofisico delle persone. Ma che impatto ha avuto la casa in cui abitiamo? Può l’ambiente indoor giocare un ruolo importante su ansia, depressione e insonnia? Esistono delle caratteristiche del nostro ambiente domestico che contribuiscono più di altre alla nostra salute mentale?


Lo studio del Politecnico di Milano e dell’Università di Genova


Il gruppo di ricerca Design&Health Lab del Dipartimento di Architettura, ingegneria delle costruzioni e ambiente costruito (ABC) – Politecnico di Milano coordinato dal Prof. Stefano Capolongo che da anni studia il rapporto tra ambiente costruito e salute, in collaborazione con il Dipartimento di neuroscienze, riabilitazione, oftalmologia, genetica e scienze materno-infantili (DINOGMI) – Università di Genova diretto dal Prof. Mario Amore, ha affrontato queste domande attraverso un’indagine innovativa. La raccolta dati quali-quantitativa sotto forma di survey online ha prodotto, tra il 12 e il 27 aprile, periodo di massima rigidità delle misure di lockdown, un campione di oltre 9200 risposte.

Il questionario digitale è articolato in diverse sezioni per raccogliere dati sociodemografici, domande quali-quantitative sull’ambiente abitativo, scale di valutazione per disturbi depressivi, ansiosi, del sonno e benessere psicofisico.

Lo studio rientra nell’area di indagine dell’Evidence Based Design con cui, dagli anni ’80, si cerca di valutare l’impatto dell’ambiente costruito sulla salute fisica e mentale. È la prima volta però che uno studio del genere viene condotto su un campione così ampio e in una condizione di permanenza così lunga all’interno delle abitazioni.

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Risultati preliminari


La grande adesione all’indagine ha portato ad alcune interessanti evidenze: una persona su quattro ha sofferto di sintomi ansiosi significativi durante il periodo di lockdown. Ma non è tutto, il 12% degli intervistati manifesta sintomi depressivi moderati o severi, e l’8% soffre di insonnia moderata-severa.

Le donne risultano colpite il doppio rispetto agli uomini: il 31% delle donne intervistate manifesta ansia moderata o severa mentre gli stessi sintomi sono rilevati nel 17% dei soggetti del campione maschile.

Analizzando più da vicino la popolazione con sintomi depressivi, alcune caratteristiche delle abitazioni sono più ricorrenti in chi presenta sintomatologia marcata rispetto a chi ha sintomi lievi o assenti. Ad esempio, abitare in una casa di superficie inferiore ai 60 mq è una condizione più frequente tra chi ha sintomi depressivi: il 14% contro l’8,5% di chi non li ha. Tuttavia, l’incidenza del numero e della tipologia di persone con cui si condivide lo spazio è in fase di studio.

Ulteriori analisi statistiche mostrano una forte relazione tra sintomi depressivi marcati e abitazioni con scarsa illuminazione naturale, basso comfort acustico e termo-igrometrico, locali diurni caratterizzati da un numero limitato di soft qualities (es. opere d’arte) o elementi verdi e che non garantiscono un’adeguata privacy durante i sempre più numerosi momenti di connessione telefonica e video. Queste condizioni abitative sono infatti più frequenti (34%) in chi ha sintomi depressivi rispetto a chi non ne presenta (13%). I risultati delle analisi condotte dimostrano inoltre che chi abita in case con queste qualità indoor scarse corre un rischio due volte maggiore di manifestare sintomi di depressione moderata/severa rispetto a chi ha case più luminose e di qualità. Balconi, terrazzi e logge giocano un ruolo importante: non poter accedere a un balcone abitabile, la cui profondità consenta di accogliere tavoli e sedute, correla in modo significativo con sintomatologia depressiva, aumentando il rischio di sviluppare sintomi severi. Chi ha sintomi non dispone infatti di tali spazi nel 37% dei casi. Anche la vista dalle nostre finestre ha un peso rilevante: risulta più sintomatico chi affaccia su spazi outdoor di scarsa qualità, sia verdi, quali terreni incolti o spazi di risulta, sia costruiti, come parcheggi, strade o capannoni (28% dei casi contro il 17% degli asintomatici). Chi può godere, dalla propria abitazione, di una vista di scarsa qualità ha infatti più probabilità di sviluppare sintomi depressivi rispetto a chi ha un affaccio, per esempio, su di un parco cittadino.

È stato anche chiesto agli intervistati come l’ambiente domestico abbia influito sulle loro performances di lavoro o di studio: il 31,2% dichiara che queste sono state sensibilmente peggiorate dal “nuovo” ambiente. L’analisi statistica conferma questo dato, mostrando che chi accusa un peggioramento delle prestazioni lavorative corre un rischio quattro volte maggiore di sviluppare anche sintomatologia depressiva moderata o severa rispetto a chi dichiara performances lavorative invariate o migliorate.


Come saranno le case del futuro?


La comunità scientifica illustra come all’aumentare della depressione aumentino anche l’ansia e l’insonnia e diminuisca la qualità della vita. I dati di questa indagine dimostrano come alcune caratteristiche delle nostre case possano influire significativamente sulle nostre condizioni di benessere psico-fisico e sulla salute mentale. Il tempo trascorso confinati nelle nostre abitazioni ci ha fatto scoprire tanti loro pregi e difetti; questi diventano rilevanti quando la casa torna a essere vissuta intensamente di giorno invece che solo la sera. Il Covid-19 lascerà un segno anche nel mercato immobiliare, accrescendo il valore di alcune abitazioni e svalutandone altre, considerando caratteristiche diverse da quelle che determinavano il valore dell’immobile pre-lockdown.

È evidente che i luoghi dell’abitare hanno un’influenza potente sulla nostra salute mentale e la avranno sempre di più in futuro. Le parole d’ordine per gli spazi residenziali saranno flessibilità, igiene e resilienza, per permettere possibili trasformazioni in spazi lavorativi accoglienti e funzionali e per assicurare il benessere psicofisico di chi li abita.

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