Martedì, 01 Settembre 2020



Una collaborazione tutta italiana - con il coinvolgimento dello Startup Panoxyvir - dimostra implicazioni importanti nella terapia di COVID-1.


La molecola 27-idrossicolesterolo (27OHC) è presente nel nostro corpo come fisiologico prodotto del metabolismo ossidativo del colesterolo. In colture cellulari infettate con il SARS-CoV-2, il virus responsabile di COVID-19, il 27OHC è risultato essere un forte inibitore della replicazione virale. La rilevanza di tale evidenza scientifica è ulteriormente sottolineata dalla contemporanea osservazione di un vistoso calo di questa molecola con proprietà antivirali nel sangue dei pazienti COVID-19.

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La ricerca dell’Università di Pisa e dell’Azienda ospedaliera universitaria pisana pubblicata sulla rivista “Diabetes Care”.


L’iperglicemia, a prescindere da una condizione di diabete conclamato, si associa ad una prognosi più grave nei pazienti affetti da Covid-19. La scoperta arriva da uno studio condotto all’Università di Pisa e all’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (AOUP) pubblicato sulla rivista “Diabetes Care” dal Dr. Alberto Coppelli della UO di Malattie del Metabolismo e Diabetologia a nome del Pisa Covid-19 Study Group. La ricerca ha valutato 271 pazienti ricoverati nell’ospedale di Cisanello a Pisa nella fase più acuta dell’epidemia, dal 20 marzo-30 aprile.


“Abbiamo dimostrato come un valore della glicemia al momento del ricovero maggiore di 140 mg/dl, indipendentemente da una diagnosi nota di diabete, rappresenti un importante campanello d’allarme per identificare soggetti a rischio per i quali è necessario un approccio terapeutico ancora più mirato”, spiega Stefano Del Prato, Professore di Endocrinologia del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Ateneo pisano e direttore dell’Unità Operativa di Malattie Metaboliche e Diabetologia dell’AOUP e coordinatore dello studio.

Pubblicato in Medicina


Pubblicato su PNAS lo studio di un team internazionale, a cui ha preso parte Vincenzo Stagno del Dipartimento di Scienze della Terra, che fornisce informazioni uniche riguardo la composizione chimica e mineralogica degli strati profondi della Terra, partendo da una microscopica sequenza di minerali scoperta all’interno di un diamante.


Decenni di studi sperimentali in ambito petrologico e mineralogico hanno portato alla scoperta di importanti minerali costituiti per lo più da magnesio, ferro, silicio e ossigeno (wadsleyite, ringwoodite, bridgmanite e ferropericlasio) e considerati essere rappresentativi della composizione mineralogica del pianeta a profondità maggiori di 400 km.

Attraverso simulazioni in laboratorio delle condizioni primordiali di pressione (mediamente sino a 250000 atmosfere) e temperatura (1600-2200 °C) è stato dimostrato che questi minerali furono tra i primi a formarsi man mano che il nucleo terrestre – una lega di ferro e nichel – solidificava a seguito del raffreddamento della palla di magma che costituiva il nostro pianeta più di 4.5 miliardi di anni fa. Eppure, la composizione chimica dell’interno della Terra risulta ancora poco nota, a causa delle scarse e complesse “osservazioni” dirette dei minerali intrappolati in quella che oggi risulta la materia proveniente dalle maggiori profondita’ della Terra, il diamante.

Pubblicato in Geologia

 

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