Il fungo "intelligente" che batte la carne: meno emissioni, stesso gusto

Claudia Gianvenuti 24 Nov 2025

Immaginate un alimento che sa di carne, ha la consistenza della carne, ma non proviene da un animale. Immaginate inoltre che per produrlo servano il 70% di terreno in meno rispetto al pollo e che riduca le emissioni di carbonio del 60%. Non è fantascienza. È il risultato di una ricerca pubblicata a novembre 2025 su Trends in Biotechnology da un team di scienziati cinesi che ha usato CRISPR per trasformare un fungo comune in una fonte proteica sostenibile e appetibile. La scoperta non è solo un'alternativa proteica in più sulla tavola. È un segnale che la tecnologia genetica, se ben orientata, può rispondere a una delle sfide più pressanti del nostro tempo: nutrire miliardi di persone senza distruggere il pianeta.


Come nasce l'esigenza di alternative proteiche
Per capire l'importanza di questa scoperta, occorre comprendere lo stato critico dell'allevamento globale. L'agricoltura animale è responsabile di circa il 14% delle emissioni di gas serra mondiali, una quota non banale se confrontata con quella dei trasporti. Ma il problema non si limita ai soli gas climalteranti. L'allevamento intensivo consuma enormi quantità di acqua dolce, richiede vastissime aree di terreno spesso strappate alle foreste, e genera inquinamento diffuso del suolo e delle falde acquifere. Con una popolazione mondiale in crescita e gli effetti del cambiamento climatico che riducono la produttività agricola, il sistema attuale non è sostenibile nel lungo termine.


Da decenni la ricerca cerca alternative credibili: proteine vegetali, carni coltivate, insetti, alghe, funghi. Tra questi, i funghi Fusarium venenatum—una forma di micoproteina già nota e persino commercializzata in alcuni paesi sotto marchi come Quorn—rappresentano un'opzione particolarmente interessante. La loro struttura fibrosa naturale e il profilo nutrizionale li rendono sorprendentemente simili alla carne, e in regioni come Regno Unito, Cina e Stati Uniti sono già stati approvati per il consumo umano. Tuttavia, anche questa soluzione aveva limiti significativi. Crescere rapidamente richiede ingenti quantità di zuccheri, i tempi di produzione sono lunghi, e la parete cellulare spessa del fungo rende la digestione umana faticosa e incompleta.

La soluzione genetica: modificare senza contaminare

Qui entra in gioco Xiao Liu e il suo team dell'Università Jiangnan di Wuxi. Il loro obiettivo era ambizioso ma preciso: migliorare l'efficienza di crescita del fungo, renderlo più digeribile per l'uomo, e abbassare l'impronta ambientale, il tutto senza introdurre DNA estraneo. La chiave è stata individuare gli elementi genetici davvero critici per il processo di produzione.
I ricercatori hanno utilizzato CRISPR, la tecnica di editing genetico rivoluzionaria degli ultimi anni, per eliminare due geni specifici del Fusarium venenatum: il primo codificava per l'enzima chitina sintasi, responsabile della costruzione della parete cellulare; il secondo era legato alla piruvato decarbossilasi, un enzima cruciale nel metabolismo centrale del fungo. Non si tratta di inserimenti o contaminazioni esterne. Semplicemente, hanno "spento" alcuni interruttori naturali del fungo per renderlo più efficiente nel suo compito naturale: crescere e accumulare proteine.


Il risultato è stato il ceppo FCPD (il nome tecnico del fungo modificato). E i numeri sono stati subito chiari: il nuovo ceppo utilizza il 44% di zucchero in meno per produrre la stessa quantità di proteine, e lo fa l'88% più rapidamente. Come spiega Xiaohui Wu, primo autore della ricerca, "molti pensavano che la micoproteina fosse già sostenibile, ma pochi avevano davvero considerato come ridurre l'impatto ambientale dell'intero processo di produzione, soprattutto in confronto ad altre proteine alternative".


Il bilancio ambientale: dalla teoria alla pratica
Ma quanto contano davvero questi miglioramenti sulla carta? Il team ha deciso di verificarlo attraverso un'analisi completa di ciclo di vita (LCA), il metodo scientifico più rigoroso per misurare l'impatto ambientale reale di un prodotto. Non hanno considerato solo il bioreattore, ma tutto: dalle spore iniziali alla trasformazione in prodotto proteico finito, simulando condizioni di produzione industriale in sei paesi diversi—dall'Inghilterra, che usa prevalentemente energia rinnovabile, alla Cina, dove il carbone rimane importante.
I dati sono stati unanimi: in ogni scenario, il nuovo fungo FCPD ha mostrato un impatto inferiore. L'emissione complessiva di gas serra su tutto il ciclo di vita è stata ridotta di ben il 60% rispetto al ceppo naturale. Per chi volesse confrontare: mettendo a fianco la produzione di FCPD con l'allevamento di polli in Cina, il nuovo fungo richiedeva il 70% di terreno in meno e riduceva il potenziale di inquinamento delle acque dolci del 78%. Non sono numeri di poco conto. Sono differenze di sistema.

Il gusto: non dimentichiamo il piacere

C'è però un aspetto che spesso viene trascurato dalle analisi puramente ambientali: il cibo deve piacere. Uno studio rigorosamente sostenibile ma immangiabile rimane una curiosità accademica, non una soluzione. Ecco perché è rilevante che il nuovo fungo modificato abbia anche un sapore e una consistenza ancora più simili alla carne rispetto al ceppo originale. Le modifiche geniche non hanno solo reso il fungo più efficiente metabolicamente. Hanno anche alterato il profilo di acidi grassi e aminoacidi, avvicinando ulteriormente le caratteristiche sensoriali a quelle della carne animale.


Inoltre, la parete cellulare più sottile rende il prodotto non solo più digeribile, ma anche più interessante dal punto di vista culinario: il fungo assorbe e rilascia i sapori in modo diverso, potenzialmente migliore. È una combinazione rara: efficienza produttiva, sostenibilità ambientale e qualità organolettica migliorate—il trifecta che potrebbe fare la differenza tra una nicchia di consumatori consapevoli e un'adozione mainstream.
Le domande che rimangono aperte


Naturalmente, una scoperta di laboratorio non è ancora il cambiamento del sistema alimentare globale. Rimangono ostacoli significativi. Il primo è la percezione pubblica. Nonostante FCPD non contenga DNA estraneo—solo modifiche precise del genoma del fungo stesso—la parola "OGM" continua a generare diffidenza in molte regioni, soprattutto in Europa. Le normative di etichettatura cambiano, e non è ancora chiaro come verranno classificati questi organismi nei prossimi anni. Una politica di trasparenza da parte dei produttori sarà essenziale per costruire fiducia.

Il secondo ostacolo è economico: anche se il ceppo FCPD è più efficiente, occorre investire in bioreattori su larga scala, in infrastrutture di fermentazione e in catene di distribuzione. Questo richiede capitale, regolamentazione favorevole e volume di mercato sufficiente per giustificare i costi iniziali. Non è impossibile, ma non è banale nemmeno.
Infine, c'è la questione della scalabilità globale. Anche se FCPD dimostrava vantaggi in sei paesi con profili energetici diversi, il vero test sarà portare questa tecnologia nelle regioni dove la domanda proteica è in crescita più rapida: parti dell'Africa, dell'Asia meridionale, dell'America Latina. Lì l'accesso a bioreattori sofisticati potrebbe essere limitato, e i costi potrebbero risultare proibitivi senza sussidi o investimenti pubblici.


Verso un futuro proteico più intelligente


Ciò detto, lo studio del team di Liu rappresenta un cambio di paradigma importante. Non è il primo fungo utilizzato per proteine, non è la prima applicazione di CRISPR in ambito alimentare, ma è uno dei più completi nel considerare il ciclo di vita intero e nel combinare efficienza metabolica con sostenibilità ambientale misurabile. Più importante ancora, dimostra che la tecnologia genetica, quando usata con intento e rigore scientifico, può essere parte della soluzione alla crisi alimentare e climatica globale—non un'alternativa astratta, ma un percorso concreto e già oggi parzialmente praticabile.
La domanda che rimane al lettore non è quindi se il fungo di domani sarà esattamente FCPD, ma se saremo disposti a ripensare il nostro rapporto con la tecnologia alimentare. Se continueremo a cercare il "naturale" puro, o se impareremo a riconoscere che la natura stessa, guidata dall'intelligenza umana, può diventare sostenibile proprio grazie all'ingegneria. Il fungo che sa di carne è solo il primo capitolo di questa storia.

Bibliografia:

- ScienceDaily, "This engineered fungus cuts emissions and tastes like meat", 21 novembre 2025,

- Liu, X.; Wu, X. et al., "Gene-edited Fusarium venenatum as sustainable alternative protein", Trends in Biotechnology, novembre 2025
- EurekAlert!, "Genetically engineered fungi are protein packed, sustainable, and meatlike", 18 novembre 2025

 

 

Ultima modifica il Lunedì, 24 Novembre 2025 09:11
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