Lunedì, 22 Novembre 2021

 


Lo studio dei ricercatori del Centro di Ricerca Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi dell'Università Statale di Milano e dell'Ospedale Sacco di Milano, in collaborazione con la divisione di Nefrologia del Boston Children’s Hospital, il Transplant Research Center del Brigham and Women’s Hospital e Harvard Medical School, suggerisce che l’uso di un anticorpo che blocca una proteina inibitoria del sistema immunitario potrebbe correggere le disfunzioni immunitarie presenti nei pazienti con COVID-19 anche dopo diversi mesi dalla guarigione. Il lavoro è stato pubblicato su JCI Insight.

Una ricerca condotta da un team di ricercatori del Centro di Ricerca Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi dell'Università Statale di Milano e da medici dell’ospedale Luigi Sacco, frutto di una collaborazione con gruppi di ricerca del Boston Children’s Hospital, Harvard Medical School e Brigham and Women’s Hospital, e che vede Cristian Loretelli come primo co-autore, ha dimostrato che in molti pazienti precedentemente affetti da COVID-19 sono presenti disfunzioni a carico del sistema immunitario che permangono anche diversi mesi dopo il superamento dalla fase acuta della malattia, e che accompagnano i disturbi clinici associati all’ormai nota sindrome “Long COVID”. Nei loro studi, effettuati su pazienti guariti dal COVID-19, il team di ricercatori ha inoltre dimostrato come l’utilizzo di un anticorpo monoclonale che blocca PD-1, una proteina che regola la risposta immunitaria, sia in grado di correggere tali alterazioni, ripristinando una normale risposta immunitaria contro il virus e altri patogeni.

I risultati sono stati pubblicati su JCI Insight. Come spiega Paolo Fiorina, Professore Ordinario di Endocrinologia, Direttore del Centro Internazionale per il Diabete Tipo 1 (T1D) presso il Centro di Ricerca Pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi e Direttore della Unità di Endocrinologia della ASST Fatebenefratelli-Sacco, “Questo studio rivela che le alterazioni del sistema immunitario riscontrate durante il COVID-19 non sono circoscritte solo alla fase acuta della malattia, ma possono permanere anche per mesi dopo la guarigione, proprio come i sintomi che caratterizzano il Long COVID, compromettendo la capacità di risposta del sistema immunitario ad agenti patogeni esterni, ed esponendo potenzialmente i pazienti a nuove infezioni da SARS-CoV-2 o da altri patogeni”.

Pubblicato in Medicina
Lunedì, 22 Novembre 2021 08:10

Dai diamanti nasce il metano?

 

Ricreando in laboratorio livelli di pressione e temperatura simili a quelli presenti nel mantello superiore terrestre, un gruppo di ricerca internazionale è riuscito a far reagire idrogeno e diamanti, generando metano: un risultato che potrebbe aiutarci a conoscere meglio il ciclo profondo del carbonio, fondamentale per la presenza di vita sul nostro pianeta.
Trasformare una delle gemme più rare e preziose al mondo – il diamante – in uno dei più dannosi gas serra – il metano – non sembra un’idea brillante. Eppure ci è riuscito un gruppo di studiosi dell'Università di Bologna, dell'Università di Edimburgo (Regno Unito), del Centre National de la Recherche Scientifique (Francia) e dello HPSTAR (Cina). E non è stato un errore maldestro: il risultato – pubblicato su Nature Communications – potrebbe aiutarci a conoscere meglio il ciclo profondo del carbonio e la formazione di idrocarburi tramite processi abiotici (cioè non legati ad attività biologica) nelle profondità della Terra.
Nonostante rappresenti almeno il 90% del totale del ciclo del carbonio, la sua parte profonda – che avviene cioè al di sotto della superficie terrestre – è oggi quella meno conosciuta. Questo fenomeno è però fondamentale per la presenza di vita sul nostro pianeta, perché permette al carbonio presente nelle profondità del pianeta di tornare nell’atmosfera.

Pubblicato in Fisica


Una nuova area di età arcaica appartenente a una comunità di tradizione pre-agricola è stata scoperta nella penisola di Samanà, a nord-est della Repubblica Dominicana. Il rinvenimento è avvenuto nell’ambito della Missione Archeologica e Antropologica Sapienza nell’Arcipelago Caraibico coordinata dal Dipartimento di Storia, antropologia, religioni, arte e spettacolo della Sapienza, con il contributo del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MEACI) ed il supporto dell’Ambasciata della Repubblica Dominicana di Roma
Le informazioni archeologiche relative al primo popolamento delle isole del Centro America sono piuttosto scarse. Gli unici dati che abbiamo risalgono all’incirca a cinquant’anni fa e sono stati ottenuti a seguito di ricerche sporadiche condotte in maniera non totalmente scientifica e pubblicate non sistematicamente. Inoltre l’insediamento successivo di gruppi agriculturalisti che hanno popolato l’Isola Hispaniola ha contributo a cancellare le tracce del popolamento più antico, soprattutto nelle isole maggiori.

Pubblicato in Paleontologia

 

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