Vermocane, Greenpeace: la diffusione è colpa della crisi climatica, per prevenire i danni servono più aree marine protette

Greenpeace 15 Giu 2024



La notizia del moltiplicarsi di esemplari di vermocane nei mari del Sud Italia sta suscitando preoccupazione per i potenziali danni che la specie può arrecare alle persone e alla fauna marina. Gli impatti della crisi climatica sul Mediterraneo, del resto, sono molteplici e l’espansione di specie termofile come il vermocane ne è un indicatore chiaro. D’altra parte, le evidenze scientifiche ci dicono anche che laddove gli ecosistemi sono protetti, e quindi in migliore salute, le specie termofile hanno impatti inferiori.

«Il Mediterraneo sta pagando un prezzo elevato per l’effetto dei cambiamenti climatici: diventa sempre più povero con grandi stravolgimenti della sua biodiversità», dichiara Valentina di Miccoli, campagna Mare di Greenpeace Italia. «Come dimostra il nostro progetto Mare Caldo, laddove esistono misure efficaci di tutela delle nostre acque queste resistono meglio agli impatti della crisi climatica, di cui la diffusione di specie come il vermocane è una delle prove più evidenti. Per questo abbiamo bisogno di aumentare la rete di aree marine protette in Italia».

Il vermocane (Hermodice carunculata) è una specie nativa termofila, che predilige cioè temperature calde, e la sua maggiore presenza è un indicatore del cambiamento climatico. Questo anellide è un predatore generalista molto vorace che si alimenta di coralli, gorgonie, stelle marine e altre specie tipiche dei nostri mari. È lungo tra i 15-30 cm e presenta delle setole urticanti che possono provocare irritazione e sensazione di bruciore sulla pelle. Tipico delle coste ioniche, si è ormai diffuso nel Mar Mediterraneo Centrale, con diversi avvistamenti lungo il Mar Tirreno e l’Adriatico. Questa invasione è coerente con il consistente aumento delle temperature del Mar Mediterraneo.

Il progetto Mare Caldo, nato nel 2019 grazie a una collaborazione tra Greenpeace Italia e il DISTAV di Genova, monitora la temperatura e la presenza di diverse specie termofile in alcune Aree Marine Protette (AMP) italiane: ciò che emerge dai dati raccolti negli anni è che il cambiamento climatico sta avendo importanti effetti, oltre che sulla biodiversità, anche sull’assetto biogeografico del Mediterraneo. L’aumento della temperatura media annua e la riduzione della variabilità annuale conseguente la mitigazione delle temperature invernali hanno profondamente inciso sulla distribuzione e la dispersione di diverse specie. Ad esempio nel primo anno di progetto (2019 – 2020) nell’AMP del Plemmirio vicino Siracusa si è riscontrata una crescita esponenziale del vermocane, divenuta particolarmente abbondante negli strati più superficiali ma presente fino ai 40 metri di profondità. Nel secondo anno di progetto (2020 -2021) nell’AMP di Capo Carbonara a sud-est della Sardegna, i dati raccolti confrontati con quelli degli anni precedenti hanno rilevato che i maggiori cambiamenti nel tempo possono essere attribuiti prevalentemente all’arrivo delle specie termofile, tra cui in particolare il vermocane.

«Seguire l’espansione di questa specie e di altre specie termofile è fondamentale per capire gli impatti sulle comunità bentoniche rocciose costiere e i conseguenti effetti negativi sulla biodiversità, sulla salute pubblica e sulla pesca commerciale», sottolinea di Miccoli. «I dati raccolti in questi anni anni col progetto Mare Caldo hanno evidenziato come aree protette gestite con misure efficaci sono più resilienti agli effetti del riscaldamento globale. Il nostro governo ha l’opportunità di creare una rete efficace di aree marine protette ratificando quanto prima il Trattato globale per la protezione degli oceani e lavorando alacremente per raggiungere l’obiettivo ambizioso di proteggere il 30% dei nostri mari entro il 2030».

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