Un nuovo studio internazionale, coordinato da un team del Dipartimento di Fisica della Sapienza Università di Roma, ha realizzato sofisticate simulazioni numeriche per prevedere i tempi cosmici nei quali la nostra Galassia si scontrerà con Andromeda fino a fondersi in un’unica “supergalassia". I risultati del lavoro, che gettano nuova luce sul destino del nostro sistema stellare, sono stati pubblicati sulla rivista Astronomy and Astrophysics
La nostra galassia appartiene a un ammasso di galassie detto Gruppo Locale, composto da circa settanta sistemi stellari per la maggior parte di relativamente piccole dimensioni. Il centro di massa del Gruppo Locale si trova in un punto compreso fra la Via Lattea e la Galassia di Andromeda, che sono infatti, insieme alla galassia M 33, le sue componenti principali.


Phi-sat-1 utilizzerà una rete neurale per l'elaborazione delle immagini direttamente a bordo


Il 3 settembre 2020 alle ore 03:51 due nanosatelliti (denominati FSSCat) dell'Agenzia Spaziale Europea sono stati lanciati dallo spazioporto in Kourou, nella Guiana Francese, con il lanciatore VEGA. Uno dei satelliti contiene a bordo Phi-sat-1 la prima rete neurale a essere inviata nello spazio, con una Intelligenza Artificiale messa a punto dai ricercatori del Dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell'Università di Pisa.

Scopo della missione è raccogliere dati per l'osservazione della Terra, ad esempio per misurare lo spessore e l'estensione dei ghiacciai, i cambiamenti nella vegetazione e nella qualità dell'acqua o per rilevare le isole di calore urbane.


Immagine sperimentale della densità dei due superfluidi atomici separati da una parete isolante. La loro natura quantistica ondulatoria consente alle particelle di passare da un lato all'altro senza resistenza.


In un esperimento all’Istituto nazionale di ottica del Cnr è stata esplorata, per la prima volta in un gas atomico di fermioni ultrafreddi, la connessione fondamentale tra la supercorrente che attraversa una sottile barriera isolante per effetto tunnel quantistico e la fase della funzione d'onda di un superfluido. Le misure hanno permesso di svelare alcune delle proprietà fondamentali rimaste finora sconosciute a causa delle forti correlazioni quantistiche tra le particelle. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Science

Come insegna l’esperienza quotidiana, un fluido non può passare da un recipiente ad un altro attraversando la parete frapposta ai due. Sorprendentemente, tuttavia, la meccanica quantistica lo consente, a condizione però che la parete tra i due contenitori sia sufficientemente sottile. L'effetto tunnel quantistico permette infatti alle particelle di fluire tra due contenitori, persino in assenza di resistenza nel caso dei superfluidi, stati della materia capaci di scorrere senza dissipare energia.

Il fascio di luce incidente è convertito in un fascio interno di polaritoni che è deviato dalla curvatura geometrica nello spazio delle bande energetiche del sistema, prima di essere riemesso come fotoni. Questa deviazione è simile a quella causata dal campo magnetico su elettroni in movimento, pur avendo i polaritoni carica elettrica totale nulla. Cnr-Nanotec

 

I ricercatori del Cnr-Nanotec di Lecce hanno dimostrato in un lavoro pubblicato su Nature che un fotone devia lateralmente dalla sua traiettoria dovuta alla curvatura topologica della sua dispersione energetica, come se rotolando lungo un pendio sentisse il vento soffiare in direzioni opposte a seconda della sua polarizzazione

È noto che gli elettroni sono trascinati lungo la direzione di un campo elettrico che agisce sulla loro carica, mentre un campo magnetico li devia lateralmente rispetto alla loro traiettoria (effetto Hall). Nel caso per esempio dei cristalli, però, le proprietà geometriche e più precisamente topologiche delle bande energetiche (bande elettroniche, la gamma di energie e di velocità che un elettrone può assumere all’interno di un materiale) influiscono sul moto stesso degli elettroni, permettendo l’osservazione di effetti altrimenti inspiegabili come l’effetto Hall anomalo, in cui la traiettoria di un elettrone viene deviata lateralmente, come se ci fosse un “campo magnetico artificiale”.

Tuttavia, la topologia è fondamentale non solo per la dinamica elettronica, ma anche per la propagazione della luce: in strutture fotoniche, molti effetti sono dovuti proprio alla topologia delle bande energetiche dei fotoni. Ad esempio, sono basati sulla topologia gli isolatori micro-ottici, dispositivi chiave per la realizzazione di circuiti fotonici integrati, e i laser topologici, la cui stabilità è garantita dalla “protezione topologica” dei cosiddetti “edge states”.


Sulla luna come in lockdown. Studiare l’isolamento sociale in ambiente lunare per capire gli impatti psicologici e le strategie che mettiamo in atto per sopravvivere in situazioni difficili. Lo studio ha lo scopo di aiutare a migliorare il benessere psicologico degli astronauti che intraprendono future missioni a lungo termine nello spazio e potrebbe servire per capire alcuni aspetti implicati in periodi di confinamento e isolamento come quelli osservati nella pandemia di Covid-19.

Questi gli obiettivi della ricerca di un team di ricercatori dell’Università del Surrey e di Milano-Bicocca, che partirà a settembre 2020 e si avvarrà della collaborazione di SAGA Space Architects. La ricerca fa parte del progetto LUNARK che mira a esplorare prima di tutto come possiamo sopravvivere sulla Luna, ma anche come potremmo viverci nel futuro, in vista della missione NASA nel 2024.


Una nuova luce sulla strada della ricerca della materia ultraleggera dell’Universo arriva dai buchi neri. È quanto suggerisce lo studio del Dipartimento di Fisica della Sapienza pubblicato sulla rivista Physical Review Letters. 


Le osservazioni sulla cosiddetta materia oscura del nostro Universo sono sempre più numerose e significative, ma sono ancora tante le incognite in questo affascinante campo della fisica moderna.La particella elementare massiccia più leggera conosciuta in natura è il neutrino, con una massa qualche milione di volte più piccola di quella di un elettrone. Alcuni modelli di materia oscura hanno però suggerito l’esistenza di particelle elementari anche molto più leggere, le cui masse che possono essere miliardi di volte più piccole di quella di un neutrino. Rilevare queste sfuggenti particelle è impossibile sulla Terra, a causa delle loro debolissime interazioni con la materia “conosciuta”, cosiddetta ordinaria.

I grafici mostrano il cambiamento della diffrazione di neutroni, via via che il materiale viene riscaldato da 130 a 220 K, e cambia struttura. Le figure schematiche in alto rappresentano la disposizione delle molecole di acqua nei tre differenti tipi di ghiaccio, che si ottiene dall'analisi di questi dati: ghiaccio XVII, ghiaccio Ic (cubico) e ghiaccio Ih (esagonale).

 

Ricercatori del Cnr-Ifac hanno prodotto per la prima volta ghiaccio con struttura cristallina a simmetria cubica praticamente perfetta, denominato ghiaccio Ic. La scoperta, ovviamente, non interessa i barman e i cocktail ma ha un grande rilievo scientifico e apre il campo a numerosi studi di base nell’ambito della fisica del ghiaccio. Lo studio, pubblicato su Nature Materials, è realizzato in collaborazione con laboratori internazionali per spettroscopia neutronica

Si fa presto a dire “un cubetto di ghiaccio”… In realtà, il ghiaccio desta da sempre un alto interesse in ambito scientifico-tecnologico, soprattutto per lo stretto legame con la biosfera ma anche per aspetti più strettamente fisici, inclusi quelli strutturali. Benché sia un materiale di esperienza comune, numerosi studi, fin dall'inizio del secolo scorso, hanno chiarito che esistono diverse forme ("fasi") di ghiaccio: ad oggi ne sono note 18, tra stabili e metastabili a differenti condizioni di pressione e temperatura, che si distinguono per la loro struttura cristallina.


Il ghiaccio comune, quello che si ottiene nel freezer a pressione ambiente, è denominato ghiaccio Ih, e possiede una struttura a simmetria esagonale (figura). In linea di principio, ne esiste anche una versione a simmetria cubica detta ghiaccio Ic (figura), ma fino ad oggi ghiaccio cubico strutturalmente puro non era mai stato prodotto. Questo materiale è stato ottenuto per la prima volta da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di fisica applicata Nello Carrara del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifac) di Sesto Fiorentino, coordinati da Lorenzo Ulivi. “La struttura cubica del ghiaccio è prevista teoricamente, ma in pratica avevamo solo delle realizzazioni approssimative. Fin dalla metà del secolo scorso – spiega Ulivi – i numerosi tentativi perseguiti con diverse strategie di sintesi, ad esempio la condensazione di ghiaccio da vapore o il congelamento di nano-gocce di acqua, hanno sempre portato a produrre ghiaccio cubico con consistenti difetti, denominato ghiaccio Isd (stacking-disordered), una via di mezzo tra ghiaccio cubico ed esagonale”.

Un team internazionale di ricercatori ha analizzato dati provenienti da 33 radio telescopi sparsi per il mondo, dimostrando che la sorgente di onde gravitazionali scoperta ad agosto 2017 ha lanciato un getto relativistico che ha bucato il materiale espulso nell'atto della fusione delle due stelle di neutroni. Un ulteriore tassello nella comprensione dei fenomeni.

Un risultato tutt'altro che scontato. Ci sono voluti trentatré radio telescopi distribuiti in cinque continenti, dall'Australia agli Stati Uniti passando per Asia, Europa e Sud-Africa, e trentasei astronomi di undici nazioni per misurare le dimensioni di GW170817, la prima sorgente di onde gravitazionali rivelate dagli interferometri LIGO e Virgo, osservata anche nella sua componente elettromagnetica da decine di telescopi, a più di un anno dalla sua scoperta. I risultati dello studio di un team internazionale coordinato da Giancarlo Ghirlanda, primo ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), e che ha visto la partecipazione di colleghi dell’INAF, ricercatori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Università di Milano-Bicocca, Gran Sasso Science Institute e Agenzia Spaziale Italiana (ASI), sono stati pubblicati sulla rivista Science.


Un team di ricerca internazionale, coordinato dal Dipartimento di Fisica della Sapienza, ha investigato e verificato sperimentalmente per la prima volta il fenomeno delle ricorrenze in fisica, dimostrando come la loro apparizione possa essere spiegata tramite equazioni matematiche esatte. I risultati dello studio sono pubblicati sulla rivista Physical Review X
Che cos’è un “déjà-vu”? Può la percezione che un preciso evento passato si stia ripresentando avere un fondamento reale?

Da un punto di vista fisico, un fenomeno analogo fu scoperto dagli scienziati Enrico Fermi, John Pasta e Stanislaw Ulam oltre sessant’anni fa ed è noto come ricorrenza di Fermi-Pasta-Ulam. Enrico Fermi, lavorando a quella prima macchina di calcolo che sarebbe diventato il moderno computer, trovò in modo del tutto inaspettato, che alcuni sistemi non lineari complessi (cioè con molti gradi di libertà interagenti tra loro) durante la loro naturale evoluzione potevano spontaneamente ritornare allo stato di partenza in modo ciclico, senza mai raggiungere un equilibrio finale.

Nello studio condotto dal Dipartimento di Fisica della Sapienza, con la collaborazione dell’Institute for Complex Systems del Consiglio nazionale delle ricerche - Cnr, della Shenzhen University, della Hebrew University of Jerusalem e del Landau Institute for Theoretical Physics, è stato dimostrato sperimentalmente e per la prima volta come la ricorrenza di Fermi-Pasta-Ulam abbia origine in un preciso moto collettivo del sistema e come questo possa essere predetto ottenendo, dalle equazioni modello, soluzioni matematiche esatte. I risultati dello studio sono pubblicati sulla rivista Physical Review X.

“Tali soluzioni ricorrenti esatte – spiega Davide Pierangeli, autore corrispondente dello studio – prevedono infiniti “déjà-vu” e sono state teorizzate recentemente da Grinevich e Santini nel contesto di sistemi non lineari ottici e idrodinamici, ma la possibilità di osservarle direttamente non era così scontata”. Con un’innovativa strategia sperimentale, che utilizza un cristallo reso altamente fotosensibile da campi elettromagnetici esterni (cristallo non lineare), il team ha osservato per la prima volta come specifiche onde ottiche possano ripresentarsi durante la propagazione della luce laser.

 

Tiangong-1 è stata la prima stazione spaziale cinese, lanciata il 29 settembre 2011 su un’orbita approssimativamente circolare, a circa 350 km di altezza e inclinata di poco meno di 43 gradi rispetto all’equatore terrestre. Nel novembre dello stesso anno è stata raggiunta e agganciata dalla navicella Shenzhou-8 senza equipaggio, mentre i primi tre astronauti vi sono saliti a bordo, trasportati da Shenzhou-9, nel giugno 2012, trascorrendovi 9 giorni e mezzo. Il secondo e ultimo equipaggio di tre astronauti si è agganciato alla stazione, con Shenzhou-10, nel giugno 2013, trascorrendovi 11 giorni e mezzo.

Da allora Tiangong-1 ha continuato a essere utilizzata, disabitata, per condurre una serie di test tecnologici, con l’obiettivo di de-orbitarla, a fine missione, con un rientro guidato nella cosiddetta South Pacific Ocean Unpopulated Area (SPOUA), una specie di cimitero dei satelliti in una zona pressoché deserta dell’Oceano Pacifico meridionale. Purtroppo, però, il 16 marzo 2016, il centro di controllo a terra ha perso la capacità, pare in maniera irreversibile, di comunicare e impartire comandi al veicolo spaziale.

Nei due anni trascorsi da allora, Tiangong-1 ha perciò perduto progressivamente quota, perché il continuo impatto con le molecole di atmosfera residua presenti anche a quelle altezze le ha sottratto incessantemente energia. Ed è questo processo completamente naturale che farà alla fine precipitare la stazione spaziale sulla terra senza controllo, non potendo essere più programmata un’accensione dei motori per un rientro guidato.

Come è fatta e quanto è grande?

Tiangong-1 consiste approssimativamente di due moduli cilindrici montati uno sull’altro: quello di servizio, con un diametro di 2,5 m, e quello abitabile, con un diametro di 3,4 m. La lunghezza complessiva è di 10,5 m. Su lati opposti del modulo di servizio sono anche attaccati, perpendicolarmente all’asse di simmetria dei cilindri, due pannelli solari rettangolari, larghi 3 m e lunghi 7 m.

Che massa ha?

Quando è stata lanciata, Tiangong-1 aveva una massa di 8506 kg, di cui circa una tonnellata di propellente per le manovre. Nel corso della missione la massa è però diminuita, principalmente per due motivi: 1) una parte significativa del propellente è stata consumata per le manovre orbitali e per contrastare la progressiva sottrazione di energia meccanica da parte dell’atmosfera residua; 2) i due equipaggi, durante le loro permanenze sulla stazione, hanno consumato buona parte delle scorte di cibo, acqua e ossigeno stivate a bordo. Cercando di calcolare questi consumi, abbiamo stimato che la massa attuale di Tiangong-1 dovrebbe aggirarsi sui 7500-7550 kg. Non sarebbe quindi molto diversa da quella della nave cargo russa Progress-M 27M, di cui abbiamo seguito il rientro incontrollato nel 2015.

Si tratta di un evento eccezionale?

Assolutamente no. Di rientri senza controllo di stadi o satelliti con una massa superiore alle 5 tonnellate ne avvengono, in media, 1 o 2 all’anno, quindi sono relativamente frequenti. Per esempio, il 27 gennaio scorso, uno stadio russo-ucraino di circa 8500 kg, quindi con una massa superiore a quella di Tiangong-1, è rientrato sul Perù e dei componenti sono precipitati nell’estremità meridionale del paese, nella regione del lago Titicaca. Il 10 marzo, uno stadio del lanciatore cinese Lunga Marcia 3B è invece rientrato sul Paraguay e un serbatoio è stato recuperato nei pressi della città di Canindeyú, vicino al confine con il Brasile.

 

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