Il Glioblastoma multiforme (GBM) è tra i più comuni tumori cerebrali, con un’incidenza di più di 3-4 casi per 100.000 per anno. Con un’età di insorgenza media di 64 anni, è chiaramente un tumore dell’adulto, che mostra una leve prevalenza nei maschi (rapporto M/F di circa 1,5).Il GBM è un tumore inesorabilmente letale, con una prognosi che varia dai 5 ai 30 mesi dalla diagnosi, il che lo rende naturalmente uno dei tumori umani più mortali.
Fin dai primi anni 2000, la maggioranza della comunità scientifica si è trovata d’accordo nel definire le cosiddette “cellule staminali di glioblastoma” (anche chiamate “cellule iniziatrici del glioblastoma”) come cellule di origine di questa neoplasia. Questa loro proprietà si affianca alla resistenza alla chemio- ed alla radioterapia, e alla capacità di indurre angiogenesi tumorale, oltre che al loro ruolo fondamentale nell’induzione delle recidive e quindi nella prognosi inevitabilmente infausta della storia clinica del glioblastoma.
Malgrado i recenti avanzamenti nelle tecniche chirurgiche e in radioterapia, la terapia standard per il glioblastoma, che comprende la resezione chirurgica massima e sicura unita a chemioterapia con temozolomide (TMZ), e seguita poi da trattamento adiuvante con lo stesso TMZ, riesce ad ottenere solo minimi incrementi nella sopravvivenza media (14,6 mesi) e comunque un tempo di sopravvivenza a due anni di solo il 25,6%.
E’ ormai chiaro quindi che c’è un’estrema necessità di nuovi approcci terapeutici, mirati specificamente contro le GSC, per poter ottenere risultati terapeutici stabili contro la crescita e le recidive del glioblastoma.
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