Mostra a Palazzo Sciarra fino al 3 Febbraio
La Fondazione Roma sta dedicando alla figura di Akbar (1542-1605), il grande imperatore indiano che regnò nella seconda metà del 500, una singolare mostra curata dal Prof Calza, fruibile fino al 3 febbraio. Grazie ad un numero di ben 130 opere, divise tra 5 sezioni – vita a corte, governo e politica – città, urbanistica, ambiente – arti e artigianato – guerra, battaglia e caccia – religione e mito - si possono ammirare acquarelli, tappeti, amuleti, elementi d’arredo, armi e gioielli dal valore inestimabile.
Akbar, “il più grande”, un titolo che il mondo mussulmano riserva essenzialmente a Dio è divenuto anche il nome di regno con cui è passato alla storia il terzo imperatore indiano della dinastia Moghul. Fondata da una stirpe di conquistatori il cui capostipite fu Babur (1483-1530), tale discendenza raggiunse il massimo splendore con il regno del principe imperiale indiano Jalaluddin Muhammad, detto Akbar.
Un destino segnato fin da piccolo, il suo: è straordinario come, da parte dell’imperatore Humayun e della madre Hamida Banu, non ci fu mai pregiudizio per quel bimbo che non amava leggere e scrivere, a causa di un disturbo dislessico. Essi trovarono la via per consentire al fanciullo di svilupparsi secondo il suo sentire, superando il suo limite, proprio evitando di demonizzarlo. Percepirono in Akbar, infatti, un sentire alto e fuori dal comune, in un epoca storica in cui non esisteva ancora il benché minimo virgulto di psicanalisi, nata, invece, quasi quattro secoli dopo.
Abile stratega e guerriero, esperto ed amante della caccia, appassionato di pittura ed artigianato, pur restando analfabeta, favorì sotto il suo regno lo sviluppo delle arti e la fioritura della poesia, diventando poeta egli stesso. Salito al trono a soli tredici anni, nel 1556, riuscì, nell’arco di un cinquantennio, a raddoppiare i confini del suo regno, estendendo il controllo su quasi tutta lʼIndia. Assolutamente agli antipodi con l’immagine sanguinaria del conquistador, Akbar aveva doti innate di destrezza diplomatica. Era suo costume, infatti, lasciare gli incarichi amministrativi e governativi dei territori conquistati a coloro che vi regnavano già, elevandoli, perciò, al ruolo di ministri. Senza coercizioni ma nel rispetto dell’altro, ottenne risultati impensabili, dunque. Si serviva, ad esempio, delle battute di caccia a scopo di controllo nelle cosiddette zone calde del suo regno, così, senza essere cruento ma con un atteggiamento di estrema eleganza, teneva saldi e sicuri i domini conquistati.
“Elefanti”: acquarello oro su carta
Eppure, la sua naturale disposizione verso la tolleranza diviene ancor più tangibile sul piano religioso. Da imperatore islamico, infatti, abolì, nel 1563, la tassa inflitta ai sudditi hindu per recarsi in pellegrinaggio nei luoghi sacri delle loro fedi e, nel 1564, eliminò lʼimposta annuale per tutti i non islamici.
Ci sono testimonianze di civiltà ed eleganza di questo grande imperatore anche nell’abbigliamento, inoltre. Tutti gli esponenti della corte dovevano essere distinguibili a prima vista, già dall’abito. Si ricordano a tal proposito il jama, il pijama e il turbante. La mostra è ricca di raffinati esempi artistici di raro valore: tappeti su tela di cotone, lana o seta, gioielli tempestati di rubini “sangue di piccione”, oggi del tutto inesistenti perché esauriti, daghe con manici di smeraldo, pugnali moderni a spinta, decorati con rubini, smeraldi, turchesi e diamanti ed infine un’ampia collezione di acquarelli in oro e inchiostro su carta o cotone, realizzati con tecniche di chiara influenza persiana e cinese, che raccontano l’amore dell’imperatore per il naturalismo.
“Arghan Dev porta la cassa delle armi”: acquarello oro su cotone
Rigogliosa è, infatti, la testimonianza di soggetti animali o di scene mitologiche e di immagini bucoliche, sia per quanto riguarda gli acquarelli che i tappeti, fino agli intarsi d’avorio o madreperla che impreziosiscono tavoli, scrigni e mobiletti di vario genere. Se si considera che la politica di Akbar lo induceva a spostarsi frequentemente, rispondendo all’antico bisogno di chi discende da un popolo nomade, comprendiamo che gli elementi d’arredo e gli oggetti non potevano essere poi tanti. Ragion per cui questi pochi esempi rimasti sono davvero pezzi unici – come il tappeto con uccelli che potrete ammirare in mostra, il quale ha solo altri quattro esemplari in tutto il mondo. Un altro oggetto assolutamente degno di nota è la coppetta esagonale, realizzata in cristallo di smeraldo ed intarsiata in oro. Si tratta di un porta-fortuna su cui è incisa la scritta: “che Dio mi protegga e che ci sia sempre una spina nell’occhio del mio nemico”.
Per assecondare la sua inesauribile sete di sapere, infine, egli istituì, a partire dal 1575, i giovedì di Akbar, durante i quali s’incontravano, nella Casa del culto (Ibadat Khana), shiiti, sunniti, hindu, jain, sikh, gesuiti, zoroastriani, dervisci, atei, gesuiti, filosofi e letterati, per parlare di Dio e di un più moderno senso di religiosità. Egli auspicava, infatti, una “religione delle religioni”, un qualcosa che le contenesse tutte nel rispetto rituale ed ideologico di ognuna, al fine di tendere piuttosto ad un senso di religiosità più alto. L’imperatore favorì, a tal riprova, i matrimoni interreligiosi ed interetnici. Egli stesso sposò una principessa rajput, Jodha Bai, lasciando che professasse il suo culto, senza imporle una conversione all’islamismo. Bellissimo è un acquarello, presente in mostra, che ritrae il re mentre poggia delicatamente un amuleto sulla moglie addormentata. Ci sono acquarelli che presentano chiaramente il gusto di Akbar per una popolazione multirazziale ed il suo benvolere verso la conoscenza delle altre religioni: si possono ammirare, nelle sale di Palazzo Sciarra, una Sacra Famiglia, una Deposizione, una Crocifissione, e molto altro, di chiaro influsso gesuita (Claudio Acquaviva), presentando a volte bizzarre rivisitazioni della storia del Cristo.
Un esempio di tolleranza, quello di Akbar che trova riscontro, in occidente, con trecento anni di anticipo, solo nella figura del grande Federico II di Svevia, passato alla storia con l’appellativo non casuale di stupor mundi. È pur vero che, a parte questo illustre antesignano, ad Akbar speculare, in un certo senso – Akbar era un imperatore mussulmano illuminato come Federico fu un imperatore cristiano illuminato – gli elementi di modernità e lungimiranza di questo straordinario regnante potrebbero essere un esempio ancor più urgente ed attuale, ai giorni nostri. Si sente, infatti, il bisogno di riscoprire il valore della bellezza e dell’arte per elevare gli animi, affinché conquistino naturalmente quella tolleranza - nemica acerrima dell’ignoranza e figlia diretta della conoscenza - senza la quale nessuna civiltà ha il diritto di definirsi tale.
Se desiderate, dunque, toccare con mano le testimonianze di tutto il magico impero Moghul di Akbar, guidati da queste brevi considerazioni, non vi resta che inoltrarvi nelle sale di Palazzo Sciarra, dove, ancora per un mese, questo mondo incantato sarà a disposizione di chi vorrà.
Margherita Lamesta
Immagine copertina: “Coppia di ornamenti per orecchi”: oro, rubini, smeraldi, diamanti, perle