Controllare il colesterolo per prevenire le malattie cardiovascolari

Che cos’è il colesterolo. Il colesterolo è un componente delle membrane delle cellule ed è il precursore degli ormoni steroidei (ad esempio, cortisone, ormoni sessuali), della vitamina D e degli acidi biliari. Nel sangue viene trasportato da proteine denominate lipoproteine: le LDL, trasportano il cosiddetto colesterolo aterogeno, vale a dire  quello che, se in eccesso, rappresenta uno dei principali fattori di rischio cardiovascolare in quanto va a depositarsi a livello delle arterie formando la placca aterosclerotica; al contrario, le HDL, trasportano il colesterolo cosiddetto buono, in quanto è quello che viene rimosso dalle arterie.

Non a caso le HDL vengono comunemente indicate come gli spazzini delle arterie. Pertanto, avere un colesterolo totale ed LDL elevato rappresenta un fattore di rischio cardiovascolare responsabile, a livello delle arterie del cuore, della cosiddetta malattia coronarica (angina pectoris, infarto del miocardio, morte improvvisa) e, a livello delle arterie cerebrali, dell’ictus trombotico. Invece, avere un colesterolo-HDL elevato rappresenta un fattore di  protezione cardiovascolare.

Cause di ipercolesterolemia. Elevati valori di colesterolo nel sangue possono essere causati da  una dieta ricca in grassi, da malattie renali comportanti insufficienza renale cronica, da ostruzione delle vie biliari, da malattie della tiroide comportanti ipotiroidismo, da malattie della corteccia surrenale comportanti un’iperfunzione (malattia di Cushing), dall’uso di alcuni farmaci (beta-bloccanti e diuretici ad alte dosi, cortisonici, androgeni, anabolizzanti). Talvolta, però, l’ipercolesterolemia è di carattere familiare, cioè è dovuta ad alterazioni genetiche trasmesse da uno o da entrambi i genitori (rispettivamente, ipercolesterolemia familare eterozigote e omozigote) che sono responsabili della presenza, a livello delle cellule epatiche, di un ridotto numero di recettori per le LDL, per cui si ha una minor rimozione del colesterolo-LDL dal sangue, colesterolo che pertanto va a depositarsi nelle arterie. E’ stato calcolato che in Italia e negli altri Paesi Europei la forma eterozigote colpisca una persona su 500, mentre la ben più grave forma omozigote (valori di colesterolemia totale superiori a 600 mg/dL) colpisce una persona su un milione. Entrambe le forme si manifestano già nell’infanzia.

Valori di colesterolo a rischio, concetto di rischio globale e di stratificazione del rischio. Studi su popolazione condotti sia in Italia che all’estero su centinaia di migliaia di soggetti hanno dimostrato che, nei soggetti sani,  avere  un colesterolo totale >240 mg/dL aumenta notevolmente il rischio di malattia coronarica. Ne consegue che viene considerato elevato proprio un valore di colesterolo totale >240 mg/dL e un rapporto colesterolo totale:HDL >5. Invece, quando sono presenti anche altri fattori di rischio cardiovascolare (ad esempio, ipertrigliceridemia, basso colesterolo-HDL, ipertensione arteriosa, fumo, diabete) o in presenza di malattia ischemica coronarica o cerebrale e, quindi in situazioni che già di per sé aumentano il rischio cardiovascolare, deve essere considerato elevato un colesterolo totale >200 mg/dL e un rapporto colesterolo totale:HDL >4. Questo rapporto va visto come una bilancia tra quanto colesterolo si deposita a livello delle arterie e quanto ne viene rimosso.

Valori della popolazione italiana. I dati più recenti indicano che la media del colesterolo della popolazione adulta italiana è di 211 mg/dL (con valori medi di 212 mg/dL per il Nord Italia, di 215 mg/dL per il Centro e di 206 mg/dL per il Sud). Inoltre, il 23% degli italiani presenta un valore >240 mg/dL e, quindi, come abbiamo visto, sicuramente elevato.


Terapia dell’ipercolesterolemia.
La dieta, e in particolare la “Dieta Mediterranea”, rappresenta sempre il primo trattamento dell’ipercolesterolemia. Tipici alimenti della Dieta Mediterranea sono i primi piatti semplici a base di pasta, riso o polenta, le parti magre delle carni, il pesce, i formaggi meno grassi (ricotta di mucca o pecora, i fiocchi), i legumi, la verdura, la frutta. Quindi, la Dieta Mediterranea non è altro che una alimentazione sana e corretta caratterizzata da alimenti poveri in grassi saturi e colesterolo, con un buon contenuto in grassi monoinsaturi (v. olio d’oliva, ma moderazione nel suo uso) e polinsaturi della serie omega-3 (v. pesce), ricca in fibre, vitamine, sali minerali e antiossidanti (v. legumi, verdura e frutta). Con opportuni aggiustamenti qualitativi, può essere la base per influenzare positivamente non solo l’ipercolesterolemia, ma anche gli principali  fattori di rischio cardiovascolare, quali l’ipertrigliceridemia, il diabete, l’obesità, l’ipertensione arteriosa o altre patologie, quali, ad esempio, l’osteoporosi. Ciò risulta importante soprattutto per le donne ipercolesterolemiche già in menopausa. In effetti, un buon contenuto in calcio può trovarsi non solo nei formaggi più grassi, ma anche nel latte scremato o parzialmente scremato e negli yoghurt magri (che, anzi, ne contengono qualche mg in più rispetto a quelli interi), nei formaggi meno grassi (fiocchi, ricotta di mucca e di pecora), in alcune verdure e ortaggi (rughetta, agretti, radicchio verde, broccoletti, indivia) e  in alcuni pesci e molluschi (alici, calamari, polpo, sugarello, cozze, marmora). Inoltre, un importante apporto di calcio può provenire dalle acque con un contenuto di calcio di almeno 150-200 mg/litro (valtutabile leggendo la composizione sull’etichetta delle acque imbottigliate). Quindi, integrando le raccomandazioni nutrizionali consolidate sull’ipercolesterolemia con quelle per l’osteoporosi e armonizzandole in maniera coerente, è possibile raggiungere una dieta equilibrata e, con essa, non solo migliorare la prognosi dei pazienti ipercolesterolemici, ma anche di quelli con segni di osteopenia o di franca osteoporosi.   

Negli individui ipercolesterolemici resistenti alla Dieta Mediterranea (ma anche nei bambini ipercolesterolemici o nelle donne ipercolesterolemiche ma ancora in età fertile, negli adulti ipercolesterolemici ma con un rischio globale moderato, negli anziani in trattamento polifarmacologico), i minidrink arricchiti in fitosteroli possono rappresentare un valido supporto non farmacologico in attesa o in aggiunta alla terapia d’elezione rappresentata, come vedremo, dalle statine. I fitosteroli sono sostanze vegetali che, avendo una struttura simile al colesterolo, sono in grado di inibirne l’assorbimento intestinale mediante un meccanismo di competizione e, conseguentemente, ai giusti dosaggi (vale a dire 2 grammi/die) di ridurre la colesterolemia. Tali sostanze vegetali sono presenti in alcuni alimenti (oli vegetali, cereali, legumi, verdure, frutta), ma, purtroppo, in quantità molto limitate (pochi milligrammi). Da qui la necessità di ricorrere a prodotti addizionati in fitosteroli come, ad esempio, i minidrink a base di latte arricchito in fitosteroli al dosaggio di 2 grammi/die. Questi prodotti sono in grado di ridurre la colesterolemia del 10-15% .

Quando, però, con la dieta o con i fitosteroli non si ottengono buoni risultati, è necessario ricorrere alle statine, farmaci che sono in grado di inibire la sintesi del colesterolo. Esse, che risultano in genere ben tollerati, hanno dimostrato, in studi condotti su decine di migliaia di pazienti sia in prevenzione primaria (soggetti che non hanno avuto un evento coronario) che in prevenzione secondaria (soggetti che hanno già avuto un evento coronarico), che la prolungata riduzione del colesterolo si accompagna, nel corso degli anni, a una riduzione di oltre il 30% del numero di attacchi di angina pectoris, di infarti del miocardio fatali e non fatali, di ictus  cerebrali e di interventi di angioplastica e di by-pass aorto-coronarici. Considerando che le statine hanno dimostrato di non interferire sulla mortalità non cardiovascolare, ne deriva una riduzione anche della mortalità totale. Va sottolineato che tali importanti risultati sono stati ottenuti in pazienti che già erano in trattamento con altri farmaci cardiologici (ad esempio, aspirina, beta-bloccanti, ACE-inibitori) o che erano già stati sottoposti a interventi di rivascolarizzazione, per cui le statine hanno dimostrato un beneficio aggiuntivo alla migliore terapia cardiologica già in atto. Per tali risultati le statine sono state giustamente definite come la classe di farmaci che, dopo gli antibiotici, ha prodotto i migliori benefici clinici. Tali benefici sono la conseguenza non solo della riduzione del colesterolo, ma anche e soprattutto di una serie di azioni esercitate da questi farmaci, quali: l’inibizione dell’ossidazione delle LDL (meccanismo attraverso il quale il colesterolo-LDL forma la placca aterosclerotica); il ripristino della normale funzione endoteliale di dilatare le arterie (grazie alla produzione di ossido nitrico) e di ostacolare la trombosi (in virtù anche di un’azione antiaggregante e di riduzione del fattore tissutale); la stabilizzazione della placca aterosclerotica (grazie a una riduzione del contenuto in colesterolo e macrofagi) che così meno facilmente va incontro a ulcerazione o rottura e, quindi, a trombosi e/o embolia.
Purtroppo, però, in Italia solo il 25% degli ipercolesterolemici a rischio è in trattamento e, spesso la terapia viene fatta in maniera non costante, con periodi di sospensione. Invece, la raccomandazione, al fine di ottenere i migliori risultati preventivi, è che, quando necessario, la terapia con statine va iniziata e va proseguita in maniera continuativa con l’unica precauzione di controllare, insieme all’efficacia, anche i parametri di sicurezza (che, per le statine, sono le transaminasi, la creatinkinasi, la creatinina e l’esame delle urine) e di non associarle con i fibrati.

Come accennavamo, i risultati degli importanti studi condotti con le statine  hanno dimostrato come la riduzione del colesterolo produca una significativa riduzione degli eventi cardiovascolari. Tuttavia, tale riduzione, pur raggiungendo risultati molto importanti (dell’ordine del -30, -35%), appare incompleta. In effetti, sebbene il ruolo della riduzione del colesterolo mantenga una posizione centrale nella prevenzione  cardiovascolare, altri fattori di rischio debbono essere considerati (e trattati) al fine di ottenere una maggiore efficacia delle nostre strategie volte alla prevenzione delle malattie  cardiovascolari. Nel campo delle dislipidemie, ad esempio, il trattamento dell’ipertrigliceridemia e dei bassi livelli di colesterolo-HDL costituisce un importante obiettivo terapeutico. Va aggiunto che tali alterazioni metaboliche rappresentano  una problematica molto comune nella pratica clinica, riscontrandosi, ad esempio, nell’iperlipemia combinata, nella sindrome da insulino-resistenza, nel diabete, nell’obesità, tutte patologie gravate da un’alta incidenza di eventi cardiovascolari. Partendo da queste premesse, è d’obbligo non sottovalutare il ruolo dei fibrati, confortati in ciò da importanti studi clinici e angiografici che hanno evidenziato una riduzione degli eventi cardiovascolari e una ritardata progressione dell’arteriosclerosi coronarica. I fibrati sono principalmente considerati come dei potenti farmaci ipotrigliceridemizzanti. Tuttavia,  tale classe di farmaci produce anche un netto e significativo incremento dei livelli di colesterolo-HDL che risulta tanto maggiore quanto più bassi sono i livelli basali di colesterolo-HDL.


Roberto Volpe
Ricercatore CNR, Roma



Principali fattori di rischio cardiovascolare

Caratteristiche personali (non modificabili):

  • uomini >45 anni
  • donne in postmenopausa
  • storia personale di malattie cardiovascolari
  • storia familiare di malattie cardiovascolari in età prematura (prima dei 55 anni negli uomini, prima dei 65 anni nelle donne)


Caratteristiche biochimiche e fisiologiche (modificabili):

  • ipercolesterolemia
  • basso colesterolo-HDL (<35 mg/dL negli uomini, <40 mg/dL nelle donne)
  • alto rapporto colesterolo totale/colesterolo HDL (>5 in prevenzione primaria e >4 in prevenzione secondaria)
  • ipertrigliceridemia (>200 mg/dL)
  • iperglicemia (glicemia >110-125 mg/dL) / diabete (glicemia >126 mg/dL)
  • ipertensione arteriosa (pressione arteriosa sistolica >140 mmHg e diastolica >90 mmHg)
  • obesità (IMC >30)
  • alti valori di fibrinogeno (>300 mg/dL)


Stile di vita:

  • dieta ricca in grassi saturi, colesterolo e calorie
  • eccessivo consumo di alcolici
  • fumo
  • vita sedentaria
  • carattere competitivo, aggressivo, irascibile



Fattori protettivi della malattia cardiovascolare:

  • dieta Mediterranea
  • moderato consumo di alcolici (2-4 unità/die)
  • costante attività fisica aerobica  (almeno 30 minuti/die)
  • alto colesterolo-HDL (>60 mg/dL)

 

 

Ultima modifica il Mercoledì, 09 Settembre 2009 10:26
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