Il principio di questa tecnica è l’utilizzo dell’emissione acustica nelle frequenze degli ultrasuoni come indicatore dello stato di deterioramento di un mezzo solido. Ogni mezzo risponde in un certo modo ad una data sollecitazione non distruttiva. Il metodo con le AE verifica come la risposta del mezzo cambia con il suo invecchiamento. Due sono i procedimenti utilizzati: passivo ed attivo. Il primo misura le AE rilasciate dalla struttura individuandone lo stato di “fatica”. È un approccio non invasivo e l’unico requisito è la necessità di un contatto efficace tra struttura e sensore, quindi è inefficace nel caso di materiale sconnesso. Questa prassi è una osservazione passiva del come il materiale solido sta invecchiando e si avvicina al momento del suo collasso, anticipato da una riduzione della frequenza ultrasonora. Le osservazioni AE vengono trasmesse ad una sala operativa, utilizzando la normale rete telefonica, fornendo il dato richiesto per decidere, in tempo reale, la pianificazione di un intervento preventivo e conservativo del solido.
Invece il metodo attivo utilizza una sorgente artificiale di AE e ne misura il segnale dopo che ha attraversato la struttura da analizzare. Questo sistema richiede tempo e segnali di energia elevata, fattori questi che rendono il procedimento applicabile solo su segmenti particolari individuati preventivamente dal metodo passivo. Questa tomografia ad ultrasuoni può essere sostituita da altre tecniche tomografiche, come quella all’infrarosso; ma in qualsiasi caso la tomografia realizza una fotografia dello stato di fatto, ma non riconosce se quello stato è connaturato o i fieri, come invece riesce a fare il metodo passivo ad ultrasuoni, che controlla la dinamica degenerativa del difetto.
È molto importante distinguere diagnosi oggettivamente motivate da previsioni che dipendono dal preconcetto del ricercatore che vorrebbe darne un’interpretazione ipotizzata a priori, anziché un’altra.
Nel 2005 le Mura Aureliane di Roma sono diventate un “laboratorio” di ricerca per l’Istituto di acustica del Cnr, che ha messo a punto la metodologia di indagine diagnostica per studiare l’evoluzione dei materiali che compongono la struttura. Le Mura Aureliane sono un manufatto molto articolato, con una complessa storia di restauri, modifiche e rifacimenti, realizzati con materiali e tecniche di costruzione diversi. Questa varietà morfologica consente un’analisi circostanziata e precisa direttamente sul manufatto, come in un laboratorio e ha permesso di testare la metodologia per poterla poi applicare ad altre strutture dei nostri beni culturali.
I risultati hanno mostrato come con l’AE sia possibile evidenziare e tenere sotto controllo l’intensità delle AE causate da un’azione esterna ai materiali e la perdita di prestazioni delle strutture, dovuta a fatica ed invecchiamento. Infine è possibile distinguere diverse AE. Quelle causate da risposta della struttura ad una sollecitazione consente di prevedere il crollo o il collasso strutturale quelle di riassestamento interno della struttura, dopo il termine della sollecitazione; ciò consente una indicazione sulla riduzione del rischio di crollo.
Il sistema AE permette di avere informazioni sul raggiungimento delle soglie di rischio, che individuano il momento oltre il quale la struttura non è più sicura, senza però fornire previsioni del momento di crollo. Il metodo è uno strumento efficace che permette di verificare l’affaticamento delle invece al personale preposto valutare le operazioni da intraprendere per la messa in sicurezza del manufatto e delle persone eventualmente coinvolte.
Il sistema AE si presta anche per monitorare gli sforzi nella crosta terrestre a fini sismologici o vulcanologici. Ma questo non vuol dire che si fanno previsioni di eventi catastrofici, piuttosto che si fa diagnosi di fenomeni precursori. I servizi meteorologici si basano su migliaia di stazioni sparse su tutto il globo, su dati da satellite, e su consolidati modelli numerici. Disponendo soltanto di alcune stazioni AE non è certo possibile fare una diagnostica crostale molto precisa. La strada è sicuramente questa, ma il cammino è ancora molto lungo. La scienza attendibile si fa con osservazioni circostanziate e prolungate.
Figura 1 – Installazione dimostrativa su un pilastro nel basamento della sede dell’Istituto O. M. Corbino (Area di Ricerca di Roma Tor Vergata, Roma). Due trasduttori acustici vengono apposti su sbarre di vetro infisse nel pilastro di cemento (visibili in basso a sinistra, per le due frequenze 200 kHz e 25 kHz, rispettivamente). Ad ognuno di essi è applicato un preamplificatore ed il rispettivo segnale viene trasmesso ad un amplificatore. Nel pannello della strumentazione si vedono i due amplificatori ed il sistema di acquisizione dei dati. Le dimensioni dell’apparto possono venire molto ridotte (ed i costi relativi) con un’opportuna ingegnerizzazione.
Figura 2 – La parte superiore mostra il risultato di un esperimento di laboratorio. Un cubo di calcestruzzo, di 15 cm di spigolo, viene sottoposto a carico crescente, apponendovi in successione pesi di 50 kg (curva in rosso). La curva in blu è un indice che denota il progressivo invecchiamento della struttura, e come evolve prima del collassamento finale che avviene quando l’indice D si approssima ad 1 [da una tesi di dottorato di Salvatore Guarniere, Università di Messina, 2003]. La parte inferiore mostra il medesimo indice D di invecchiamento misurato sullo Stromboli alcuni mesi prima del noto parossismo della fine di dicembre 2002. Le misure di emissione acustica si interruppero il 23 settembre a causa di un’avaria alla strumentazione provocata da una scarica elettrica atmosferica. Durante i mesi antecedenti la crisi parossistica i fluidi caldi endogeni continuarono ad accrescere la loro pressione entro le strutture porose dell’edificio vulcanico. Queste furono dunque soggette ad un invecchiamento progressivo, con perdita di prestazione nel contenimento dei fluidi caldi. Quanto l’indice D si approssimò ad 1 (verosimilmente attorno alla fine di dicembre) avvenne il parossismo. Questo è l’unico precursore misurato di questo evento anomalo di Stromboli [da un lavoro di Gregori e Paparo, apparso nel 2006]. Il confronto di risultati analoghi ottenuti in laboratorio e sul campo è stato essenziale per il perfezionamento dell’interpretazione fisica e delle relative applicazioni.
Claudio Rafanelli, direttore dell'Idac-Cnr
Gabriele Paparo, ricercatore dell’Idac-Cnr
Maurizio Poscolieri, ricercatore dell’Idac-Cnr
Giovanni Gregori, ricercatore dell’Idac-Cnr