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Riproduzione grafica (a) e immagine al microscopio ottico (b) del fotorivelatore grafene/silicio realizzato dall’Imm-Cnr in collaborazione con il Cambridge Graphene Centre

 

Un recente studio dell’Istituto per la microelettronica e microsistemi del Cnr, in collaborazione con il Graphene Centre dell’Università di Cambridge, ha trovato il modo di convertire la luce infrarossa in corrente integrando silicio e grafene, avvicinando così l’ipotesi di fabbricare fotorivelatori in silicio funzionanti nel vicino infrarosso. La ricerca è pubblicata su ACSNano

I fotorivelatori sono dispositivi in grado di convertire luce in corrente. Alle lunghezze d’onda del vicino infrarosso tale conversione viene in genere realizzata con materiali quali l’Arseniuro di Gallio e Indio, particolarmente costoso da lavorare, oppure il Germanio, difficilmente integrabile con una circuiteria microelettronica preesistente. Il più economico silicio, invece, sebbene sia ampiamento utilizzato per la conversione di luce a lunghezze d’onda del visibile (380-750nm), non può essere utilizzato nel vicino infrarosso (750-2500nm) a causa di alcuni limiti intrinseci del materiale. Un recente studio condotto da un team di ricercatori dell’Istituto per la microelettronica e microsistemi dell’unità di Napoli del Consiglio nazionale delle ricerche (Imm-Cnr), in collaborazione con il Graphene Centre dell’Università di Cambridge, ha trovato il modo di convertire la luce infrarossa in corrente, integrando il silicio - materiale ormai maturo come tecnologia di fabbricazione di dispositivi grazie agli investimenti messi in campo dalla microelettronica - con un materiale emergente come il grafene, consentendo così di avvicinare l’ipotesi di fabbricare fotorivelatori in silicio funzionanti nel vicino infrarosso. La ricerca è pubblicata sulla rivista ACSNano.

 Con il progetto JETSCREEN arriva una innovativa piattaforma di screening e ottimizzazione 

Il Politecnico di Milano è partner del progetto Horizon2020 JETSCREEN che propone una innovativa piattaforma di test per nuove miscele di combustibili rinnovabili destinati al trasporto aereo. La piattaforma di screening e ottimizzazione integrerà strumenti di progettazione e attività sperimentale per valutare rischi e benefici dei nuovi combustibili alternativi. Per i produttori di combustibili alternativi, le aziende di aeromobili e di componentistica sarà possibile valutare l’adeguatezza di nuovi prodotti da introdurre sul mercato. JETSCREEN (JET Fuel SCREENing and Optimization) risponde alla richiesta della Comunità Europea e del suo Obiettivo 2020 su “cambiamenti climatici e sostenibilità energetica”, di utilizzare, entro il 2020, il 10% di energia rinnovabile nei trasporti di tutti i Paesi della UE e di raggiungere il 40% di combustibile sostenibile a basso tenore di carbonio nel settore dell’aviazione entro il 2050. Per immettere sul mercato un nuovo combustile rinnovabile è previsto un lungo e costoso processo di approvazione denominato ASTM D4054. JETSCREEN viene prima della fase di approvazione, fornendo una piattaforma di screening che utilizza test sperimentali economici e modelli per prevedere l'impatto del nuovo combustibile sul motore e sulla componentistica del sistema di alimentazione dell’aeromobile. La fase di ottimizzazione permette di definire quale modifica della formulazione del combustibile sarà in grado di garantire un determinato obiettivo di performance e di riduzione delle emissioni.

 

Pheel (Physiology Emotion Experience Lab) è un nuovo laboratorio del Politecnico di Milano che unisce le competenze multidisciplinari dei Dipartimenti di Elettronica, Informazione e Bioingegneria (DEIB), Design e Ingegneria Gestionale. Il laboratorio muove dalla constatazione che gli aspetti razionali alla base delle decisioni degli individui, generalmente misurate con indagini demoscopiche e questionari di opinione, stanno diminuendo il loro peso nei processi decisionali, che diventano sempre più determinati da impatti viscerali, emotivi e di relazione sociale. Attraverso l’analisi biometrica e la valutazione esperta, Pheel misura e studia come gli individui reagiscono, valutano e filtrano stimoli di comunicazione, prodotti, servizi o esperienze di interazione con la marca. Nel laboratorio vengono infatti analizzati i segnali biologici e fisiologici degli individui e valutati i loro comportamenti in risposta a specifici stimoli (prodotti/servizi/esperienze, interfacce, messaggi pubblicitari, contenuti editoriali, messaggi di comunicazione non pubblicitaria, interazione sociale, ecc.). Le strumentazioni utilizzate nelle ricerche non sono invasive e sono state testate e verificate su diverse tipologie di soggetti, compresi bambini e persone in condizioni di fragilità.

Alcuni batteri geneticamente modificati e in grado di produrre proteorodopsina possono essere utilizzati come minuscoli propulsori in micromacchine invisibili all'occhio umano e la cui velocità di rotazione può essere finemente regolata illuminando con luce verde di intensità controllabile. Lo studio, condotto da un team di ricercatori di Nanotec-Cnr e dell'Università Sapienza di Roma, è stato pubblicato sulla rivista Nature Communication

Molti batteri, come Escherichia coli, sono fantastici ‘nuotatori’, capaci di percorrere più di dieci volte la loro lunghezza in un secondo: approssimativamente, in proporzione, la stessa velocità di un ghepardo. Per muoversi, usano il ‘motore flagellare’, ruotando sottili filamenti elicoidali, i flagelli, a più di cento giri al secondo. Il motore flagellare è una sorta di motore ‘elettrico’, alimentato da un flusso di cariche che la cellula accumula costantemente nello spazio periplasmatico che ne circonda la membrana interna e il meccanismo con il quale i batteri ‘ricaricano le batterie’ prende il nome di respirazione e di solito richiede l'ossigeno. Nel 2000 è stata scoperta mediante la sequenziazione genetica di batteri in campioni di plancton una nuova proteina, la proteorodopsina, che si inserisce nella membrana cellulare, dove utilizza energia proveniente dalla luce per accumulare carica nella ‘batteria’ anche in assenza di ossigeno.

Retogar Improving the autonomy and care of dependent people with acquired brain injury is the scientific and technological challenge of the Retogar project led by researchers from the University of Alicante Institute for Computer Engineering Research (IUII), Miguel Cazorla and José García. These experts started in January and will be focusing on the project through 2019, with virtual reality applications and 3D interfaces, as well as sensors to monitor the movements of this type of patients. Design of an intelligent environment with alerts and geolocation sensors to detect risk scenarios inside and outside the home such as orientation errors, motor difficulties or reduced visibility due to hemiplegia, among other situations. On the other hand, the project focusses on the development of a social robot to improve the interaction with the patient in their physical and cognitive rehabilitation, and even to bring objects closer and to recognise their mood by their facial expressions.

The impact of climate change in the Central Pyrenees has been greater since 1970, particularly in the spring and summer months. / Javier Sigró 

The Iberian Peninsula is undergoing climate change, with temperatures on the rise, and mountain ranges are not exempt from this trend. A team of scientists has analysed regional climate series from the Central Pyrenees for 1910 to 2013 (the most extensive climate records to date for the area), concluding that temperatures have risen at an increasing rate since 1970, particularly in spring and summer. In the past three decades, temperatures have risen by 2.5 °C in Spain, surpassing the European average of 0.95°C. Mountain ranges such as the Pyrenees are also subject to climate variations, however climate change does not affect all regions equally, hence the need for in-depth, long-term observation of these changes. In order to analyse this climate change in the Pyrenees, a team from Rovira i Virgili University's Centre for Climate Change collected hundreds of climate series from meteorological observatories on the southern side of the Central Pyrenees and analysed the most complete and representative series from the area for the period 1910-2013.

A research of Universidad Politécnica de Madrid (UPM) and Universitat Politècnica de València (UPV) has shown that the inclusion of agroindustrial by-products in pig feed can reduce the nitrous oxide emissions (N2O) of the slurry used as manures up to 65%. The aim of this study carried out by UPM researchers with the collaboration of Institute for Animal Science and Technology of UPV was to influence the ingredients of pig diet to modify the composition of slurry used as manures and to assess the possible variations on N2O emissions. According to the results, soils amended with slurries obtained from modified diets (with orange pulp and carob) decreased N2O emissions by 65 and 47%, respectively, compared with slurries obtained through a conventional pig diet. These results show the potential of alternative strategies of animal feeding to reduce the environmental issues associated with agriculture. Nitrogen fertilizers, organic or mineral, are responsible for most of the N2O emissions from agricultural activity. This gas has a heating potential 300 times higher than CO2, this is the reason why it is essential to develop mitigation strategies. N2O emissions are mainly caused by microbiological processes known as nitrification and denitrification. When a nitrogen fertilizer is added to the soil, it increases its microbiological activity by activating both processes that at the same time they depend on factors such as such as climatic, edaphic and field management.

Nella risoluzione approvata giovedì 16 febbraio, i deputati chiedono norme UE nel campo della robotica, un settore in rapida evoluzione, ad esempio per far rispettare standard etici o per stabilire la responsabilità civile in caso di incidenti che coinvolgono un’auto senza conducente. I deputati chiedono alla Commissione europea di proporre norme in materia di robotica e di intelligenza artificiale per sfruttarne appieno il potenziale economico e garantire un livello standard di sicurezza e protezione. Sottolineano che in diversi Paesi sono previsti standard normativi per i robot e sottolineano che spetta all’UE prendere l'iniziativa su come impostare questi standard, in modo da non essere costretti a seguire quelli eventualmente stabiliti da Paesi terzi.

Numero 14 - Anno 2
17 Marzo 2005

 

Verso la metà del prossimo mese l'astronauta italiano Roberto Vittori volerà nello spazio, nel quadro della missione ENEIDE Soyuz, portando con sè numerosi strumenti tra cui l'ultima versione del naso artificiale, sviluppato in collaborazione tra il CNR (Sezione di Roma dell'IMM), il Dipartimento di Ingegneria Elettronica di Tor Vergata, e l'ASI. Uno degli obiettivi di tale missione è la validazione tecnologica delle apparecchiature a bordo e, per quanto attiene il naso artificiale, ci si aspetta anche una raccolta di dati sugli odori.

Lo sforzo fatto da alcuni ricercatori in questo contesto consentirà di avere ricadute benefiche in una moltitudine di applicazioni terrestri di un certo rilievo. Cerchiamo di saperne di più dei meccanismi biologici dell'olfatto e delle narici artificiali. L'olfatto è il sistema più selettivo di cui ci abbia dotato madre natura per la valutazione dell'ambiente in cui si vive e delle sostanze di cui ci nutriamo.

Quotidianamente siamo sotto un influsso continuo di molecole che permeano l'ambiente in cui viviamo. Attraverso l'olfatto, queste molecole ci forniscono informazioni importanti di cui facciamo un uso continuo nella vita di tutti i giorni, talvolta anche inconsciamente. Queste molecole ci forniscono segnali piacevoli o di pericolo, e ci danno informazioni sulla presenza di qualcosa di cui siamo alla ricerca o che dobbiamo evitare.

I sistemi che codificano l'olfatto sono particolarmente sensibili ed in grado di riconoscere e distinguere stimoli presenti a concentrazioni estremamente basse.

Ricercatori dell'ICIB e dell'IFN  del CNR  sviluppano un ricevitore a nanofili disposti a pettine in grado di captare piogge di fotoni. Applicazioni  nelle trasmissioni criptate di dati sensibili, nelle futuribili comunicazioni interplanetarie e in proteomica.

Nella società della comunicazione, il flusso di informazioni è sempre più continuo e caotico. E i dati sensibili trasmessi, giocoforza, non sono sempre al riparo da 'occhi' indiscreti. Una soluzione, adottata dalla cosiddetta crittografia quantistica, è farli viaggiare 'a cavallo' di fotoni lungo le autostrade delle fibre ottiche. Ma non è semplice costruire un ricevitore in grado poi di raccoglierli tutti. Attualmente sono allo studio diversi dispositivi sia a semiconduttore che a superconduttore.
Molti problemi tecnici legati a questi ultimi sono stati superati dalla ricerca compiuta dagli studiosi dell'Istituto di Cibernetica “E. Caianiello” del Cnr (ICIB) di Napoli, che hanno realizzato un “pettine” di nanofili in una configurazione speciale che si è mostrato 25 volte più veloce dei rivelatori superconduttori finora sviluppati per la crittografia quantistica. Lo studio è stato pubblicato dalla rivista scientifica internazionale «Superconductors Science and Technology».

 

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