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Uno studio appena pubblicato su Journal of Neurology da un gruppo di Università Statale di Milano e Ospedale San Paolo dimostra come le difficoltà respiratorie, oltre che all’infezione a livello polmonare, siano riferibili ad una alterazione dei circuiti nervosi deputati al controllo della respirazione.

Nel Covid19 l’infezione determina l’alterazione dei polmoni che non riescono più a far passare l’ossigeno dall’aria ambiente al sangue alterando quindi i così detti “scambi” respiratori. La ventilazione è quell’insieme di movimenti che porta l’aria nei polmoni dove poi avvengono gli scambi respiratori dei gas tra atmosfera e sangue. La funzione ventilatoria fondamentale per la respirazione è controllata da centri nervosi situati in una parte molto profonda del sistema nervoso centrale, nota come tronco encefalico. Fino ad oggi i sintomi respiratori dovuti al Covid19 erano riferiti all’alterazione degli scambi respiratori per effetto dell’infezione a livello polmonare. Uno studio del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Milano al Polo Universitario Ospedale San Paolo appena pubblicato su Journal of Neurology richiama l’attenzione sull’impatto del Covid sui centri nervosi che controllano la respirazione. Lo studio dimostra che nei pazienti affetti da Covid19 gravi, ricoverati in rianimazione e sottoposti a ventilazione meccanica, sono alterati i circuiti nervosi proprio nel tronco cerebrale dove si trovano anche i centri di controllo della respirazione.

Pubblicato in Medicina



Pubblicati su Nature Communications i risultati dello studio coordinato dall’Università di Firenze, in collaborazione con i ricercatori del Dipartimento della Protezione civile, delle Università di Palermo, di Pisa e di Torino e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Napoli

 Monitorando la deformazione del suolo dei vulcani è possibile capire in anticipo quando arriverà una violenta eruzione. Lo ha verificato sul vulcano Stromboli il team di ricercatori coordinati da Maurizio Ripepe, ricercatore dell’Università di Firenze, che ha sviluppato un sistema di allerta automatico in tempo reale. All’indagine, i cui risultati sono pubblicati sull’ultimo numero della rivista Nature communications, hanno collaborato i ricercatori del Dipartimento della Protezione civile, delleUniversità di Palermo, di Pisa e di Torino, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) di Napoli e dell’Università di Tohoku in Giappone.

Pubblicato in Geologia


Un nuovo studio coordinato dal Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza e dall’Università di Perugia, con il contributo di altri enti e atenei internazionali, ha dimostrato per la prima volta che durante il Pleistocene la specie più diffusa nel nostro continente era la lince pardina. Questo singolare felino, dalla coda corta ma dalla lunga storia, oggi popola solo la penisola iberica ed è ad alto rischio di scomparsa. I risultati del lavoro sono stati pubblicati su Quaternary Science Reviews
La lince pardina (Lynx pardinus), che per sotto molti aspetti ricorda i suoi simili europei dalla coda corta, si distingue da questi ultimi per i caratteristici pennacchi sulle orecchie, i ciuffi sotto il mento e le macchie ben definite che spiccano sul pelo bruno-giallastro. Questo felino oggi vive soltanto in ristrette aree della penisola iberica ed è oggetto di numerosi progetti di conservazione e salvaguardia.

Un team di studiosi e paleontologi della Sapienza e dell’Università di Perugia, con il contributo di altri enti e università internazionali, ha ricostruito la storia evolutiva di questo predatore in nuovo studio pubblicato sulla rivista Quaternary Science Reviews. I risultati del lavoro hanno dimostrato come le linci pardine abbiano avuto una storia evolutiva distinta rispetto a quelle eurasiatiche, diffuse nella penisola italiana solo in tempi molto più recenti.

Pubblicato in Paleontologia

 


Un team italiano coordinato dall’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare (Ibfm) del Consiglio nazionale delle ricerche di Segrate ha pubblicato due studi, su Patterns e iScience, che presentano un importante avanzamento nella comprensione dell’evoluzione del virus SARS-CoV-2 e dei meccanismi che portano alla generazione di nuove varianti virali.
Nella lotta al virus SARS-CoV-2, un fattore chiave consiste nell’identificare tempestivamente le varianti del virus: quando una persona è colpita dal Covid-19 viene, infatti, contagiata da un numero elevato di particelle virali che presentano piccole differenze nella propria sequenza genomica – le varianti – che influenzano la capacità del virus SARS-CoV-2 di adattarsi e diffondersi.
Identificare quante e quali varianti sono effettivamente presenti in ogni persona affetta da Covid-19 è possibile grazie ad esperimenti di sequenziamento, ma come fare a predire su larga scala come le varianti si generano e si diffondono nella popolazione?

Pubblicato in Medicina



New approach to treating Parkinson’s disease: Research team at the University of Konstanz demonstrates the role the protein FAT10 may play in the development of the disease

Parkinson’s disease is the second most common, age-related, neurodegenerative disease: In Germany alone, about 300,000 people are affected and experience sometimes major limitations to their quality of life. Although Parkinson’s is so widespread, there is still no treatment that targets the cause of the disease and can stop it in its tracks.

However, current research provides new hope: A research team at the University of Konstanz led by Professor Marcus Groettrup describes a new approach for developing future treatments for Parkinson’s. The biologists demonstrated that the ubiquitin-like protein FAT10 inhibits the molecular defence mechanisms protecting the brain from Parkinson’s disease. The biological mechanism is tricky: FAT10 causes processes in our own body that degrade the body’s molecular “guardians” against Parkinson’s disease (the enzyme Parkin). Instead of getting rid of damaged mitochondria in brain cells, Parkin is itself disposed of by the body. The research results were published in the scientific journal Cell Reports on 16 March 2021.

Pubblicato in Scienceonline
Lunedì, 22 Marzo 2021 11:15

Have vaccine passport, will travel



Vaccine passports raise questions of equity, security, privacy, argues Crispin Maslog.

China, where the COVID-19 pandemic began a long year ago, has now become the first country in the world to issue a vaccine passport to promote world economic recovery and facilitate cross-border travel. China’s foreign ministry has said the international health certificate is currently available only to its citizens. It is in digital and paper form. It comes just a week after the first anniversary of the date that the WHO declared COVID-19 as a pandemic on 11 March 2020. (1)

South-East Asian countries are also considering a common vaccine certificate to jump-start regional travel and have discussed the idea of relaxing border restrictions for travellers who have been vaccinated. Entry into China will be easier for foreigners inoculated with Chinese-made coronavirus vaccines. Chinese embassies, including those in India, the Philippines, the UK and US, have issued notices requiring immunisation with a Chinese-made COVID-19 vaccine.

A similar idea has been proposed by the EU for movement within the bloc. Under the planned digital certificate, travellers who have received vaccines approved by the European Medicines Agency will get an automatic waiver, while it is down to Member State discretion whether to accept other vaccines.

Obstacles to vaccine passport

The whole idea of a vaccine passport might, however, be premature and discriminates against poor countries which are currently struggling to even have a coherent vaccination programme. We have to be careful that we do not jump the gun on science. There are many obstacles to overcome before we can consider even starting to implement the scheme. To begin with, not even close to half of the world’s 7.7 billion population has been vaccinated. Not even in China, with its 1.4 billion people. If indeed the virus has been put under control in China, the reason for this is the authoritarian system in that country. We still have the problem of convincing people in Europe, the US and the rest of the West to follow the protocols for dealing with the pandemic — masks, hand washing and social distancing. Vocal minorities in these countries still insist on their individual freedoms, never mind the common good. In my mind, this is a problem not only for the democratic West but also for the rest of the world.

From the economic point of view, the issuance of a vaccine passport will speed up travel and population flow and benefit vaccine production and tourism. However, others warn about the possibilities of illegal trade of vaccine passports in the market due to lack of effective international policing. Scientifically speaking, vaccine passports might not even be feasible considering the continuous emergence of new coronavirus variants raising doubts about the efficacy of vaccines. WHO has also warned against use of these ‘vaccine passports’ because of ethical considerations that coronavirus vaccines are not easily available to all on an equitable basis. The WHO added that we still don’t know how long immunity lasts from the numerous licensed COVID-19 vaccines. (2)

Invasion of privacy

There are other concerns to fuel the controversy, particularly among human rights activists, data protection advocates, and countries with limited access to vaccines. These vaccine passports will contain sensitive medical data. How long will governments be allowed to keep the information, and who are they allowed to share it with? These questions need answering.
Activists warn that rushing into these electronic passports without properly considering the equity, privacy, and security risks is a mistake. Vaccine passports would be discriminatory, increase state power over our lives, and have no place in a democratic and free society. (3)

I believe we need to vaccinate at least half of the global population before considering a vaccine passport. We are still at least two billion vaccinations away from that goal in Asia.

We should first ramp up the vaccination effort, especially among the poor nations, before we can even think about a vaccine passport.

Pubblicato in Scienceonline



In psychology, “motherese”, “parentese” or infant-directed speech (IDS) are terms used to describe the way parents talk to their babies. This way of talking to young children has been the subject of multiple studies and it is known to have numerous benefits—fostering relationships and stimulating certain learning processes. This language, characterised by the use of a high-pitched voice, the repetition of words and a wide pitch range, also has a positive emotional component. Some animals are receptive to this way of speaking, which is known as pet-directed speech or PDS. In the case of primates and dogs, for example, humans are able to better catch and hold their attention when using PDS, and the animals often perform better while learning. As for horses, numerous studies have shown that they are very sensitive to human emotions. The INRAE and IFCE team had already demonstrated that they are capable of recognising expressions of human faces on photographs—acting nervously when faced with an angry expression and more relaxed when faced with a happy face. Still, PDS had never been studied in horses. A preliminary survey of 845 riders and horse owners on social media shows that 93% of them regularly talk to their horses using this type of language, but only 44% think that the animals are sensitive to it.

Pubblicato in Scienceonline

Nanoparticella: Schema dell'esperimento: impulsi di luce visibile (blu) eccitano una nanoparticella di argento; il trasferimento di elettroni all'ossido circostante è studiato tramite impulsi di raggi X, ultra-brevi ed intensi (giallo) generati dal laser a elettroni liberi (immagine di Stefano Pelli Cresi).

 


Uno studio condotto da Cnr, Università di Modena e Reggio Emilia, Università di Bologna e Elettra Sincrotrone Trieste ha chiarito i meccanismi ultraveloci di trasferimento di energia all'interno di materiali per la fotocatalisi. I risultati, pubblicati su Nano Letters, aiuteranno a sviluppare nuovi catalizzatori per applicazioni in ambito ambientale ed energetico


Nelle tecnologie verdi sono fondamentali i fotocatalizzatori, materiali che usano la luce solare per stimolare reazioni chimiche importanti per l’ambiente. I processi fisici alla base del loro funzionamento non sono ancora del tutto compresi. Ora una collaborazione tra l’Istituto nanoscienze (Cnr-Nano) e l’Istituto di struttura della materia (Cnr-Ism) del Consiglio nazionale delle ricerche, l’Università di Modena e Reggio Emilia, l’Università di Bologna ed Elettra Sincrotrone Trieste chiarisce i meccanismi ultraveloci di trasferimento di energia che avvengono in materiali fotocatalizzatori ibridi. I risultati ottenuti contribuiranno a migliorare l'efficienza di nuovi materiali per la fotocatalisi applicati all’energia e all'ambiente. Lo studio è pubblicato sulla rivista Nano Letters.

Pubblicato in Tecnologia


Un nuovo studio Sapienza, frutto della collaborazione tra due gruppi sperimentali del Dipartimento di Fisica, dimostra come, attraverso l’impiego di un nuovo tipo di emettitori di fotoni, i quantum dots, sia possibile garantire un ulteriore livello di sicurezza per i dati trasmessi in un canale di comunicazione, sia che si tratti di una conversazione telefonica che una transazione bancaria. La ricerca, pubblicata su Science Advances, ha previsto lo sviluppo sperimentale del primo canale di comunicazione quantistica tra due edifici all’interno del campus Sapienza
Comunicare a distanza è diventata la regola nella vita di tutti i giorni sia per contattare privatamente amici o conoscenti, che per inviare dati sensibili, come ad esempio nelle transazioni bancarie.

Diventa quindi di fondamentale importanza creare un apparato di protezione che renda sicuro lo scambio di dati, salvaguardandoli da potenziali intrusi. Infatti gli attuali mezzi di comunicazione sono intrinsecamente vulnerabili e il loro livello di sicurezza dipende esclusivamente dalle capacità tecnologiche dell’intruso.

Pubblicato in Fisica



Università degli studi di Trieste e Burlo Garofolo hanno partecipato al più grande studio genetico realizzato fino a oggi: analizzando il genoma di quasi 193.000 individui europei e 1600 asiatici, sono stati scoperti 50 nuovi geni che influenzano il colore degli occhi.

Un team internazionale di ricercatori, rappresentato in Italia da alcuni professionisti dell’Irccs Materno Infantile “Burlo Garofolo” e dell’Università degli studi di Trieste, ha scoperto 50 nuovi geni che determinano il colore degli occhi, in tutte le sue sfumature. Questo è quanto emerso da uno studio recentemente pubblicato sulla rivista “Science Advances” (https://doi.org/10.1126/sciadv.abd1239) che spiega come l’analisi del genoma di 192.986 individui europei provenienti da dieci popolazioni differenti, abbia permesso di identificare 61 diverse regioni genomiche, di cui 50 fino a ora sconosciute, che contribuiscono alla determinazione del colore degli occhi. Questo studio, grazie anche all’elevatissima numerosità campionaria che ne aumenta la solidità statistica, ha contribuito a superare definitivamente il pensiero “Mendeliano”, nonché precedenti studi, che ritenevano che la variazione del colore degli occhi fosse determinata da uno solo o da pochi geni che rendevano il colore marrone degli occhi “dominante” su quello azzurro.

Pubblicato in Genetica

Medicina

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