cDalla situazione attuale al periodo 2041-2070, tutte e quattro le specie considerate andranno incontro a una modifica della distribuzione sulle Alpi, con un innalzamento della quota media di presenza, che potrà oltrepassare i 400 m nei casi più estremi. Con la parziale eccezione dello spioncello, queste specie subiranno anche una contrazione della superficie di aree idonee, compresa tra il 17% e il 59% a seconda delle specie e degli scenari climatici.c
In questo quadro poco incoraggiante, ma purtroppo in linea con quanto lecito attendersi per queste specie, emerge un risultato che fa sperare e, al tempo stesso, chiama all’azione: circa 15,000 km2 dic territorio alpino risultano idonei per queste specie nelle condizioni attuali e lo rimarranno anche in futuro, a prescindere dal modello climatico considerato. Si tratta quindi di siti di cruciale importanza per la conservazione degli ecosistemi alpini e della biodiversità di alta quota. Il 44% dicqueste aree è attualmente incluso in aree protette, ma anche il restante 56% dovrebbe essere tenuto in debita considerazione, considerata l’importanza di tali siti.
“Ipotizzare come la distribuzione delle specie d’alta quota cambierà, e quali aree continueranno a offrire condizioni idonee anche in un futuro caratterizzato da un clima più caldo, è di fondamentale importanza per la conservazione di questi organismi sensibili alle variazioni ambientali. Queste aree rappresentano dei “rifugi climatici” per la biodiversità alpina e devono essere salvaguardati, evitando alterazioni significative causate dalle attività umane e degrado degli habitat”, commenta Mattia Brambilla.
Il concetto di “rifugio climatico”, sempre più frequentemente utilizzato nella letteratura ecologica in relazione agli effetti del climate change, indica quelle aree che sono in grado di mantenere lec proprie caratteristiche fondamentali nonostante il cambiamento climatico, consentendo così la persistenza di organismi o risorse importanti da un punto di vista ecologico, fisico o socioculturale. “La conservazione di queste aree assume significato ancora più rilevante se pensiamo che le Alpi, grazie alla loro estensione ed elevazione, rappresentano di fatto la sola catena montuosa in Europa in grado di offrire una simile quantità di rifugi climatici per le specie minacciate dal riscaldamento globale”, continua Brambilla. “Questo studio dimostra, ancora una volta, il fondamentale contributo che la citizen science e i dati raccolti da volontari e appassionati birdwatcher possono fornire per lo studio della biodiversità e dei fenomeni ecologici su vasta scala geografica”, conclude Diego Rubolini, professore associato di Ecologia presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali e co-autore dell’articolo.