Attualmente, però, l’idrogeno e l’acqua ossigenata vengono prodotti attraverso processi industriali ad alta intensità energetica, che fanno largo uso di combustibili fossili. Per questo, utilizzare la luce solare per ottenere queste molecole – ispirandosi alla fotosintesi naturale – è una sfida scientifica di grande rilevanza. Questo approccio si basa sulla fotocatalisi, un processo in cui una sostanza assorbe la luce e sfrutta l’energia raccolta per innescare reazioni chimiche utili. In termini semplici, è un modo per trasformare la luce in energia chimica, ad esempio per ottenere idrogeno dall’acqua o acqua ossigenata dall’ossigeno dell’aria. Esistono già materiali fotocatalitici in grado di promuovere singolarmente uno di questi due processi, ma progettare un sistema capace di modulare il prodotto finale – passando selettivamente da idrogeno ad acqua ossigenata – semplicemente cambiando la condizioni, è una sfida ancora aperta.
Con questo obiettivo, un team di ricercatori del Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università di Padova ha progettato una molecola organica innovativa, capace di rispondere in modo “intelligente” alle condizioni ambientali, trasformandosi in nanostrutture differenti che attivano due processi fotocatalitici diversi: la produzione di idrogeno oppure di acqua ossigenata, semplicemente modificando il modo in cui le molecole si aggregano. Questa ricerca, recentemente pubblicata sulla rivista «Advanced Functional Materials», è stata condotta dalla dottoranda Marianna Barbieri e coordinata dal Prof. Luka Ðorđević. Lo studio mostra come una singola molecola a base di un colorante possa autoassemblarsi in due nanostrutture differenti, con comportamenti completamente differenti.
«Le nanostrutture fibrose generano idrogeno da acqua sotto luce solare, mentre le nanostrutture particellari attivano la produzione di acqua ossigenata a partire da aria e luce. Per ottenere questo comportamento bifunzionale, abbiamo sfruttato i principi della chimica supramolecolare, che permette di controllare finemente come le molecole organiche, in questo caso un colorante, si
organizzano nello spazio e comunicano tra loro. Questo controllo sull’autoassemblaggio si è rivelato cruciale per modulare l’attività fotocatalitica - afferma Marianna Barbieri -. Un altro aspetto cruciale è la sostenibilità: i materiali sviluppati sono completamente organici, non contengono metalli rari, sono riciclabili e riutilizzabili, contribuendo così a una chimica verde, più sicura e più economica. Questo lavoro conferma come la ricerca fondamentale, unita a una visione interdisciplinare, possa dare vita a tecnologie avanzate con un impatto reale sulla società e sull’ambiente».