"I risultati che abbiamo ottenuto pongono le basi per nuove importanti esplorazioni, su scale che fino ad ora erano inaccessibili”, dice Annalisa Bonafede, professoressa al Dipartimento di Fisica e Astronomia "Augusto Righi" dell'Università di Bologna, tra gli autori dello studio. "Riuscire ad approfondire i misteri del magnetismo ci può aiutare a comprendere meglio i suoi effetti sull'evoluzione della struttura a grande scala dell'Universo".
Formati da enormi quantità di galassie, di gas e di misteriosa materia oscura, gli ammassi di galassie sono gli elementi centrali che compongono la più grande struttura del nostro Universo: la ragnatela cosmica. Questi ammassi non sono però solo ancore gravitazionali attorno a cui si raccolgono grandi quantità di materia, ma anche spazi dinamici profondamente influenzati dal magnetismo. I campi magnetici che si trovano all'interno degli ammassi di galassie sono infatti cruciali per modellare l'evoluzione del gas contenuto in questi giganti cosmici: dirigono i flussi termici e di accrescimento e sono fondamentali sia per accelerare che per confinare le particelle cariche ad alta energia e i raggi cosmici.
Le grandi distanze a cui si trovano gli ammassi di galassie e le complesse interazioni tra flussi di gas che avvengono al loro interno rendono però estremamente difficile riuscire a mappare i campi magnetici su scale così vaste.
Per riuscirci, gli studiosi hanno applicato una tecnica innovativa - nota come "Synchroton Intensity Gradients (SIG)" - sviluppata dal gruppo di ricerca dell'Università del Wisconsin-Madsion, guidato dal prof. Alexandre Lazarian. In questo modo, grazie a osservazioni realizzate con i radiotelescopi Very Large Array (VLA) e MeerKAT, gli studiosi sono
riusciti a tracciare i campi magnetici rivelati dall'emissione radio proveniente da cinque ammassi di galassie, compreso El Gordo. "L'utilizzo di questo approccio innovativo ci offre un modo nuovo per osservare e comprendere la distribuzione del campo magnetico in regioni che erano inaccessibili ai metodi tradizionali", commenta Chiara Stuardi, ricercatrice dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) a Bologna, secondo nome dello studio. "Dopo questi risultati straordinari possiamo pensare di applicare il metodo SIG per analizzare strutture cosmiche ancora più grandi, come i filamenti che mettono in connessione gli ammassi di galassie. Queste enormi strutture potranno essere osservate solo con radiotelescopi di ultimissima generazione come lo Square Kilometre Array (SKA).