Individuati 13 fattori genetici che influenzano la risposta al COVID-19

Il team di ricerca dell’Università degli Studi di Milano e del Policlinico di Milano, parte del progetto globale COVID-19 Host Genomics Initiative, ha contribuito a identificare 13 posizioni nel genoma umano e altri fattori predittivi che influenzano la risposta al COVID-19. I risultati appena pubblicati su Nature.
Quali sono i fattori genetici che influiscono sulla risposta al COVID-19, per cui alcuni pazienti sviluppano malattie gravi e pericolose che richiedono il ricovero in ospedale, mentre altri se la cavano con sintomi lievi o addirittura senza alcun sintomo?
Nel marzo 2020, migliaia di scienziati di tutto il mondo hanno unito le forze per rispondere a questa domanda attraverso uno di uno dei più ampi studi di associazione genome-wide mai eseguiti: gli scienziati fanno parte del progetto globale COVID-19 Host Genetics Initiative (COVID-19 HGI) che rappresenta attualmente una delle più estese collaborazioni nel campo della genetica umana, con oltre 3.300 autori e 61 studi di 25 paesi, che è guidato da Andrea Ganna e Mark Daly, del Institute of Molecular Medicine of Finland (FIMM), Università di Helsinki. Del consorzio fa parte anche il gruppo di studio Fondazione COVID-19 Genomic Study (FOGS) presso la Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Università degli Studi di Milano, coordinato da Luca Valenti, docente di Medicina Interna alla Statale e medico del centro trasfusionale del Policlinico.
Medicina di precisione: i nuovi nano-trasportatori ingegnerizzati dalla Sapienza per colpire in modo mirato ed eliminare le cellule tumorali

Un gruppo di ricercatori della Sapienza Università di Roma ha sviluppato una nuova nanoparticella ibrida in grado di veicolare in maniera efficace e selettiva gli agenti chemioterapici. I risultati dello studio, che potranno essere applicati per la cura di diversi tipi di tumore, sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Nanobiotechnlogy
I nuovi strumenti terapeutici nella lotta contro il cancro, che sfruttano le possibilità derivanti dalle nanotecnologie, sono basati sul rilascio mirato all’interno delle cellule tumorali di piccoli frammenti di RNA, i cosiddetti microRNA. Nonostante però queste molecole possiedano un elevato potenziale per il trattamento del cancro, per garantirne l’efficacia è necessario indirizzarli selettivamente alle cellule neoplastiche.
In uno studio tutto italiano, i ricercatori dei dipartimenti di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli, di Scienze anatomiche istologiche medico legali e dell'apparato locomotore e di Chimica e tecnologia del farmaco della Sapienza hanno creato in laboratorio un nuovo sistema per il rilascio mirato di farmaci chemioterapici che utilizza specifiche molecole, i dendrimeri aminici, che agiscono come una sorta di spugna per i piccoli RNA.
Una nano-sonda per fare luce sul corpo umano

Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e Istituto italiano di tecnologia (Iit) hanno messo a punto una nuova tecnica non invasiva, che tramite la dispersione della luce fornisce accesso in situ a proprietà fondamentali dei tessuti, restituendo informazioni dall’interno del corpo umano. I risultati, pubblicati su Nature Communications, aprono importanti prospettive per nuovi sistemi di diagnosi precoce in vivo di alcune malattie neurodegenerative e tumori
E' stata testata una nuova tecnica non invasiva basata sulla luce, che utilizza in modo innovativo le nanosonde a tecnologia a DNA e ricava informazioni all’interno di un sistema complesso come gli organi e i tessuti del corpo umano senza bisogno di interventi chirurgici o procedure più delicate per il paziente.
La tecnica getta le basi per importanti sviluppi in ambito diagnostico, poichèsi può applicare in tutti i casi in cui il target da raggiungere a profondità tale per cui altri sistemi già esistenti, come i raggi X o la risonanza magnetica, non sono efficaci a causa della bassa risoluzione spaziale.
Ecco le piante “acchiappa plastica” a difesa delle coste

La ricerca dell’Ateneo sul litorale da Viareggio a Calambrone nel Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli
C’è una barriera verde che protegge le coste. Piante come lo sparto pungente o la gramigna delle spiagge sono fra i migliori difensori contro l’invasione di plastica. La loro conformazione e le radici molto ramificate agiscono infatti come vere e proprie “trappole” per limitare la dispersione dei rifiuti. La conferma del ruolo fondamentale svolto dalla vegetazione dei sistemi dunali arriva da uno studio pubblicato su Marine Pollution Bulletin e condotto da un team dell’Università di Pisa sul litorale da Viareggio a Calambrone nel Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli.
Alessio Mo, Marco D’Antraccoli, Gianni Bedini e Daniela Ciccarelli sono partiti da un censimento dei rifiuti marini. Tre le spiagge che hanno preso in esame: Calambrone, Lecciona e Bufalina, la prima a sud della foce del fiume Arno e le ultime due a nord, siti in cui si depositano maggiormente i detriti a causa delle correnti.La maggior parte del materiale che hanno rilevato (85%) era costituita da plastiche di natura polimerica, quindi carta e cartone (3,6%) e legno lavorato (3,1%). In particolare, per quanto riguarda la plastica si trattava soprattutto di frammenti di piccole e medie dimensioni, resti di spugne domestiche, pacchetti di patatine, involucri di dolci e mozziconi e filtri di sigaretta, ma anche vasi in plastica e sacchetti per mangimi o fertilizzanti associati alle attività agricole.
Scoperto il meccanismo atomico di deformazione plastica dei vetri

Pubblicato su Physical Review Letters lo studio di un team di fisici guidati dall’Università Statale di Milano, in collaborazione con il US Army Research Laboratory e la Shanghai Jiao Tong University, ha importanti ricadute tecnologiche per l’ingegneria meccanica e dei materiali.
Combinando moderne tecniche di simulazioni molecolari al calcolatore con metodi della fisica matematica come la geometria differenziale e i suoi aspetti topologici, un team internazionale di ricercatori, guidati dal fisico Alessio Zaccone, dell’Università Statale di Milano, è riuscito a “mettere a fuoco” i difetti topologici che condizionano la tenuta di alcuni materiali, per esempio i vetri. Lo studio, pubblicato sulla rivista Physical Review Letters, ha importanti ricadute tecnologiche per l’ingegneria meccanica e dei materiali, oltreché per applicazioni in biofisica.
Greenpeace: Ogni anno 7 miliardi di bottiglie di plastica rischiano di essere disperse nell’ambiente, «Italia recepisca subito la direttiva Ue e promuova riutilizzo»

Più del 60 per cento degli 11 miliardi di bottiglie immesse al consumo in Italia ogni anno non vengono riciclate. È quanto emerge dal rapporto di Greenpeace “L’insostenibile peso delle bottiglie di plastica”, da cui si deduce che circa 7 miliardi di contenitori in PET (Polietilene Tereftalato, il tipo di plastica utilizzato per produrli) da 1,5 litri, usati per confezionare le acque minerali e le bevande, rischiano di essere dispersi nell’ambiente e nei mari, contribuendo in modo massiccio all’inquinamento del pianeta. A ciò si aggiungono le emissioni di gas serra generate dalla produzione delle bottiglie non riciclate, pari a 850 mila tonnellate di CO2 equivalenti, che aggravano la crisi climatica.
“L’Italia è uno dei maggiori consumatori globali di bottiglie di plastica per le acque minerali e le bevande. Ma nonostante i numeri impietosi del riciclo, le grandi aziende continuano a immetterne sempre di più sul mercato, facendo enormi profitti e non assumendosi alcuna responsabilità sul corretto riciclo e sul recupero a fine vita”, dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “Se vogliamo ridurre l’inquinamento da plastica nei nostri mari, le grandi aziende devono fare la loro parte e promuovere soluzioni a basso impatto ambientale come l’impiego di contenitori lavabili e riutilizzabili”.
Guardare il cellulare è contagioso, l’imitazione scatta entro 30 secondi

Lo studio degli etologi dell’Università di Pisa sulla mimica spontanea nell’uso degli smartphone sul Journal of Ethology
Gruppi di persone dove nessuno interagisce con gli altri ma tutti guardano il proprio cellulare. Quante volte abbiamo visto questa scena o ne siamo stati protagonisti, parrebbe un controsenso e invece no. Perché guardare lo smartphone è un gesto altamente contagioso che rientra nei “fenomeni di mimica spontanea”: l’imitazione del comportamento altrui si manifesta entro 30 secondi al di là delle differenze di genere, età o livello di familiarità delle persone (estranei, conoscenti o parenti). È questo quanto emerge da uno studio pubblicato sul Journal of Ethology e condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Pisa, il primo che abbia mai applicato un approccio etologico all’uso dei telefonini.
“La mimica spontanea, come il contagio dalla risata o dello sbadiglio, è un fenomeno biologico che accresce la familiarità tra i soggetti avendo un ruolo nello sviluppo delle relazioni sociali – spiega la Veronica Maglieri dottoranda dell’Università di Pisa – Ma in questo caso, la mimica sembra produrre un risultato opposto, poiché attivando la nostra necessità di usare il cellulare anche quando siamo in compagnia, ci allontaniamo dalla realtà che stiamo vivendo, e veniamo traghettati verso una realtà completamente virtuale anche se siamo circondati da persone fisiche”.
Bambino Gesù: seconda estate durante la pandemia, bel tempo e vaccini gli alleati migliori.

Seconda estate con la pandemia di Covid-19. Il bel tempo e i vaccini sono gli alleati migliori che consentiranno di tornare a una maggiore socialità, soprattutto per quanto riguarda bambini e ragazzi. È importante però non abbassare eccessivamente la guardia e continuare a seguire le precauzioni che sono diventate parte della vita comune nell’ultimo anno. Nel nuovo numero di ‘A scuola di salute’, il magazine digitale a cura dell’Istituto per la Salute, diretto dal prof. Alberto G. Ugazio, gli esperti del Bambino Gesù spiegano le regole per vivere un’estate in sicurezza. «Abbiamo dovuto applicare importanti restrizioni sociali per prevenire la trasmissione di COVID 19 – spiega il dottor Alberto Tozzi, responsabile dell’area di ricerca di malattie multifattoriali e complesse del Bambino Gesù - e l’abbiamo fatto con discreto successo, ma il disagio dei bambini e dei ragazzi che per lungo tempo non hanno potuto più vivere fisicamente la comunità scolastica e in definitiva quella dei propri amici, è stato grande. Abbiamo subìto un repentino e profondo cambiamento».
I geni adattano. Anche quelli di SARS-CoV-2

Pubblicato un numero della rivista Journal of Evolutionary Biology sul tema della genomica dell’adattamento evolutivo, che indaga i processi biologici che regolano l’adattamento degli esseri viventi all’ambiente in cui vivono. Oggetto di indagine anche i coronavirus. Curato da ricercatori del Cnr-Irbim, dell’University of Konstanz e dell’University College Dublin, questo speciale racconta lo stato dell’attività di ricerca sul tema, che beneficia dei risultati nel campo della genomica e della bioinformatica
I progressi nelle tecniche di sequenziamento e analisi dell’intero genoma negli ultimi anni hanno coinvolto tra gli altri lo studio dell’adattamento evolutivo, cioè il processo con cui l’evoluzione produce organismi ben adattati, per esempio alle condizioni ambientali in cui vivono. Carmelo Fruciano dell’Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irbim), Paolo Franchini dell’University of Konstanz in Germania e Julia Jones dell’University College Dublin in Irlanda hanno curato come guest editor una edizione speciale della rivista Journal of Evolutionary Biology per fare il punto della situazione degli studi in questo settore.
“Nel nostro articolo abbiamo affrontato grandi domande in attesa di risposte come, per esempio, se geni raggruppati in porzioni relativamente ridotte del genoma facilitino l’adattamento o se, invece, i geni che sono responsabili dell’adattamento siano localizzati in tutto il genoma senza particolari raggruppamenti”, spiega Fruciano. “Oppure se nel processo di adattamento sia più importante l’evoluzione delle sequenze di DNA che codificano proteine o, viceversa, le sequenze di DNA che regolano l’espressione genica, cioè quella parte del DNA che definisce, in ultima analisi, quanta proteina venga prodotta a partire da una certa sequenza”.
Genetica olfattiva: scoperta una correlazione tra la percezione della cannella e il gradimento dei vini rossi

Il gruppo di ricerca: Giorgia Girotto, Paolo Gasparini, Maria Pina Concas, Anna Morgan
Uno studio guidato dall’Università di Trieste in collaborazione con l’IRCCS Burlo Garofolo, pubblicato su Food, Quality & Preference di Elsevier, ha scoperto per la prima volta la correlazione genetica tra la percezione della cannella e il gradimento dei vini rossi. Un passo in avanti per la comprensione di come gli esseri umani recepiscono gli odori, con potenziali sviluppi per la diagnosi delle malattie neurodegenerative.
Una ricerca condotta dall’Università di Trieste, in collaborazione con l’ospedale materno infantile Burlo Garofolo, ha scoperto per la prima volta la correlazione genetica tra un recettore dell’olfatto, la percezione della cannella e il senso di piacevolezza per i vini rossi che contengono cinnamaldeide, una sostanza che dà origine a sentori di cannella. Si tratta di un nuovo passo nel campo della genetica delle preferenze alimentari, al punto che è stato incluso da Elsevier, casa editrice della rivista Food, Quality & Preference che ha pubblicato lo studio e principale editore mondiale in ambito medico e scientifico, nella newsletter periodica che presenta gli studi più interessanti ai giornalisti di tutto il mondo.
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