Cambiamento climatico e ungulati sulle Alpi

Sulla Marmolada l’inesorabile innalzamento delle temperature spinge gli stambecchi a cambiare i loro orari di pascolamento e a spostarsi verso quote altimetriche maggiori. Gli adattamenti comportamentali sviluppati da questa e altre popolazioni presenti sulle Dolomiti potrebbero non essere sufficienti di fronte al futuro incremento dello stress termico.
Il cambiamento climatico sull’arco alpino ha un impatto importante sugli spostamenti e sui ritmi di attività degli ungulati, ponendo interrogativi sulla loro futura capacità di adattamento alle crescenti temperature: è ciò che emerge dallo studio pubblicato su «Ecology Letters» - tra le più importanti riviste internazionali nel settore - dal titolo "Behavioural heat-stress compensation in a cold-adapted ungulate: Forage-mediated responses to warming Alpine summers" frutto della collaborazione tra il Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse naturali e Ambiente dell'Università di Padova (DAFNAE) e il Dipartimento Biodiversità e Ecologia molecolare del Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione Edmund Mach.
Lo studio
La ricerca, coordinata dal Professor Maurizio Ramanzin del Dipartimento DAFNAE dell’Università di Padova e dalla Dottoressa Francesca Cagnacci della Fondazione Edmund Mach, è stata condotta dal 2010 al 2017 nell’area dolomitica della Marmolada su 24 femmine di stambecco in età riproduttiva. Per la prima volta sono stati integrati i dati da sensori apposti sugli animali, per individuarne i movimenti e l’attività di foraggiamento e di riposo, dati da remote sensing, per descrivere la variazione spaziotemporale dell’abbondanza e della qualità della vegetazione, protocolli di osservazione diretta sul campo, per confermare la presenza del capretto al seguito delle femmine, e proiezioni climatologiche per quantificare le condizioni ambientali che lo stambecco si troverà a fronteggiare in futuro. I ricercatori hanno così potuto ottenere un quadro completo dell’ecologia e del comportamento di questa specie in dipendenza dai fattori ambientali, ma anche fornire una prospettiva di studio innovativa che possa essere applicata ad altre specie particolarmente soggette al cambiamento climatico.
Diabete di tipo 1 e trapianto di isole pancreatiche: per la prima volta in Italia Niguarda sperimenta il trapianto con capsule bio-ingegnerizzate, supportato da Fondazione Italiana Diabete

Al via un progetto di ricerca supportato dalla Fondazione Italiana Diabete Onlus e in collaborazione con l'Università di Perugia e il DRI di Miami. Capsule bio-ingegnerizzate come gusci protettivi per eliminare la terapia immuno-soppressiva e allargare la platea dei pazienti trapiantabili.
Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune che colpisce nel 50% dei casi nell’infanzia e nell’adolescenza, se non trattato porta alla morte e, se mal trattato, può causare molte complicazioni gravi, sia acute che croniche. Questo tipo di diabete, che rappresenta il 5% dei casi complessivi, richiede un trattamento insulinico immediato ed intensivo e un frequente monitoraggio dei valori glicemici.
Il trapianto di pancreas e quello, meno invasivo, di isole pancreatiche sono due procedure potenzialmente capaci di risolvere per molti anni il diabete di tipo 1, eliminando o riducendo l’insulino-dipendenza e allontanando o facendo regredire le complicanze. Purtroppo, però, a causa dell’utilizzo di farmaci immunosoppressori (antirigetto) e dei conseguenti effetti collaterali associati, il ricorso a questi trattamenti è limitato ai casi nei quali sono già presenti complicanze gravi o a quelli in cui la terapia insulinica non permette di controllare la malattia.
CITOMEGALOVIRUS: ECCO COME IL SISTEMA IMMUNITARIO PUO’ SCONFIGGERE L’INFEZIONE

Uno studio dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù insieme all’Università di Genova e alla University of Melbourne, apre importanti prospettive terapeutiche per le persone immunodepresse. La ricerca, sostenuta da AIRC, è stata pubblicata su Science Immunology.
Sembrano cellule sane e quindi si nascondono al sistema immunitario, invece sono infettate da un virus insidioso che può scatenare gravi infezioni nei pazienti immunodepressi. È il citomegalovirus, un patogeno molto diffuso contro il quale, però, l’organismo ha un’arma efficace: una particolare popolazione di linfociti T killer. Con speciali ‘sensori’, intercettano le cellule infette e le uccidono. Il meccanismo è stato scoperto dai ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù insieme all’Università di Genova e alla University of Melbourne. I risultati dello studio aprono nuove prospettive di cura per i pazienti con scarse difese immunitarie, con gravi infezioni virali (incluso il COVID-19) e anche con tumore. La ricerca, sostenuta da AIRC, è stata pubblicata sulla rivista scientifica Science Immunology.
Nuovo meccanismo molecolare contro la degenerazione muscolare

Immagini di immunofluorescenze di: un muscolo in rigenerazione (sinistra), di cellule adipose derivate dalle FAP in condizioni di controllo (centro) e di cellule muscolari derivate dalle FAP dopo inibizione di G9a/GLP (destra)
Uno studio dell’Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibpm) rivela come cambiare l’identità di una popolazione di cellule muscolari possa promuovere la rigenerazione dei muscoli distrofici. La ricerca, pubblicata su Science Advances, potrebbe portare a un approccio farmacologico per alcune patologie come la distrofia muscolare di Duchenne.
Le cellule oggetto dello studio condotto dall’Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibpm) sono le progenitrici fibro-adipogeniche, note con l’acronimo FAP, e rappresentano l’arma a doppio taglio del muscolo scheletrico. Queste cellule, infatti, in condizioni fisiologiche rilasciano dei fattori che aiutano le cellule staminali muscolari alla rigenerazione del muscolo. Nel corso della degenerazione che si verifica nei tessuti affetti da distrofia muscolare di Duchenne invece, le FAP danno origine all’infiltrato adiposo e fibrotico che rimpiazza progressivamente il tessuto muscolare, rendendolo meno funzionale. La ricerca portata avanti dal gruppo di Chiara Mozzetta insieme alle biologhe Beatrice Biferali e Valeria Bianconi, prime autrici del lavoro, è stato pubblicato su Science Advances e realizzata col sostegno del programma Scientific Independence of young Researchers (SIR) del Ministero dell’istruzione, università e ricerca (Miur) e dell’AFM-Telethon.
Per diagnosticare (e curare) un tumore potremmo cominciare ad “ascoltarlo”

Un gruppo di ricerca coordinato da studiosi dell’Università di Bologna ha messo a punto un sistema innovativo che, sfruttando l’effetto fotoacustico, potrebbe permettere non solo di identificare con maggiore precisione le cellule tumorali, ma anche di guidarne l’eliminazione.
Sfruttare l’effetto fotoacustico, che permette di trasformare l’energia luminosa in onde sonore, per identificare e colpire selettivamente le cellule tumorali. È la soluzione proposta da un gruppo di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Advanced Functional Materials, mostrano come si potrebbe utilizzare una particolare molecola a base di carbonio, chiamata “fullerene”, per creare uno strumento utile sia alla diagnosi sia alla terapia dei tumori. “Il fullerene è in grado di incrementare le potenzialità diagnostiche della microscopia fotoacustica, aumentandone in modo significativo la risoluzione spaziale, e questo sia che si stia guardando all’intero organo sia che l’osservazione riguardi un livello sub-cellulare”, spiega Matteo Calvaresi, professore al Dipartimento di Chimica “Giacomo Ciamican”, che ha coordinato la ricerca. “Questo studio apre quindi alla possibilità di un impiego dell'effetto fotoacustico nella diagnostica medica che permetta di rilevare singole cellule tumorali attraverso nuovi mezzi di contrasto”.
La NASA sceglie VERITAS: la Sapienza su Venere

La missione spaziale selezionata dalla Nasa per l’esplorazione di Venere vede coinvolto in maniera determinante il gruppo di ricerca della Sapienza guidato da Luciano Iess. VERITAS dovrà rispondere a molte domande sull’evoluzione di questo pianeta ancora misterioso che, da un passato molto simile a quello della Terra, è diventato uno dei luoghi più inospitali del sistema solare
La missione spaziale VERITAS (Venus Emissivity, Radio Science, INSAR, Topography and Spectroscopy) a cui la Sapienza partecipa con un contributo fondamentale, è risultata vincitrice nella selezione delle missioni planetarie della Nasa. Lo ha comunicato la Nasa stessa il 2 giugno scorso nell’ambito della selezione delle prossime missioni di classe Discovery da 500 milioni di dollari.
VERITAS sarà lanciata tra il 2026 e il 2028 e ospiterà a bordo una strumentazione molto sofisticata finanziata dall’Agenzia spaziale italiana (ASI) a cui ha contribuito il gruppo di ricerca guidato da Luciano Iess, composto da giovani ricercatori della Sapienza.
Il disgusto morale ha un “cattivo sapore”

Assistere a una violazione delle norme morali condivise inibisce i neuroniche controllano la lingua, in modo simile a quanto accade quando entriamo in contatto con un gusto spiacevole. Lo rivela una ricerca guidata da studiosi dell’Università di Bologna e dell’Università degli Studi di Messina, premiata con il “Best Paper Prize 2021” durante la XII International Scientific Conference on Neuroethics
Quando assistiamo ad un comportamento che ci indigna perché viola norme morali condivise il nostro cervello inibisce i neuroni che controllano il movimento della lingua, proprio come accade quando entriamo in contatto con un cattivo sapore. Lo ha scoperto un gruppo internazionale di ricerca guidato da studiosi dell’Università di Bologna e dell’Università degli Studi di Messina: pubblicato sulla rivista Social, Cognitive and Affective Neuroscience, lo studio è stato premiato con il “Best Paper Prize 2021” alla XII International Scientific Conference on Neuroethics.
5 e 6 giugno, tornano le giornate delle Oasi

Sabato e domenica, 5 e 6 giugno torna la Festa delle Oasi WWF, quest’anno dedicata all’attesissimo ritorno alla natura: adulti, ragazzi, bambini e famiglie potranno visitare le aree protette dal WWF
Link alla pagina dedicata alla Festa delle Oasi>>
Assistere alla liberazione di animali guariti dopo essere stati costretti a lunghi ricoveri è una emozione indimenticabile. Questi eventi sono possibili grazie all’attività dei Centri di Recupero per Animali Selvatici (CRAS), veri e propri ospedali della biodiversità, che si trovano all'interno o in prossimità delle Oasi WWF. Proprio alle 100 aree protette gestite dal WWF in Italia saranno dedicate le giornate di sabato 5 (Giornata Mondiale dell'Ambiente) e domenica 6 giugno 2021, durante le quali cittadini, famiglie, ragazzi e bambini sono invitati a godere della bellezza e del fascino degli spazi naturali protetti dal WWF in una giornata di riconquistata libertà.
Brevettato un kit molecolare per rilevare fungo patogeno di colture come fragola, melone o girasole

Il dispositivo consente diagnosi veloci per difendere i raccolti e diminuire l’uso di prodotti chimici
E’ semplice, veloce e conveniente il nuovo kit brevettato al Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa per rilevare presenza di Macrophomina phaseolina, un fungo patogeno delle piante.
La diagnosi precoce di questo fungo è vantaggiosa sia dal punto di vista economico che ambientale per difendere i raccolti e ridurre l’uso di prodotti chimici. Macrophomina phaseolina è infatti diffusa in tutto il mondo, attacca oltre 500 specie vegetali e può causare perdite di produzione fino al 90% nel girasole, 30-60% nella fragola, 50% nella soia e 70% nel mais. Il patogeno predilige climi caldi tropicali e sub-tropicali e a seguito dei cambiamenti climatici in atto, è stato previsto un aumento della sua aggressività anche in zone del mondo in cui attualmente è presente ma non provoca molti danni.
Il mondo potrebbe toccare +1,5°C in uno dei prossimi 5 anni

Necessario prendere misure urgenti per ridurre le emissioni
La temperatura media globale ha circa il 40% di possibilità di raggiungere temporaneamente un innalzamento di 1,5°C in almeno uno dei prossimi cinque anni, secondo un nuovo report sul clima pubblicato dall'Organizzazione meteorologica mondiale (WMO).
Almeno un anno tra il 2021-2025 ha una probabilità del 90% di diventare il più caldo in assoluto, il che scalzerebbe il 2016 dalla prima posizione, secondo il Met Office del Regno Unito, principale centro WMO per tali previsioni.
Nel 2020 - uno dei tre anni più caldi di sempre - la temperatura media globale è stata di +1,2 °C sopra la soglia del periodo pre-industriale. Si è anche evidenziata l'accelerazione degli indicatori del cambiamento climatico come l'aumento del livello del mare, lo scioglimento dei ghiacci marini e eventi metereologici estremi, così come il peggioramento degli impatti sullo sviluppo socio-economico.
Medicina
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