Verso la comprensione dei meccanismi legati alla gravità del COVID-19. Il ruolo degli anticorpi anti-interferoni

Università di Roma La Sapienza 27 Lug 2022


Due nuovi studi della Sapienza hanno scoperto che le infezioni severe causate dal nuovo Coronavirus sono associate all’elevata produzione di anticorpi in grado di neutralizzare alcuni modulatori del sistema immunitario. I risultati dei lavori sono stati pubblicati sulle riviste European Journal of Immunology e Clinical Immunology
È fondamentale riuscire a comprendere perché alcuni individui sviluppino una forma di malattia da Covid-19 molto più grave rispetto ad altri.

L’individuazione dei meccanismi che sono alla base dell’esito infausto dell’infezione, potrà infatti essere di ausilio per una migliore gestione clinica terapeutica dei pazienti.

Sul banco degli imputati nello sviluppo delle forme più gravi di Covid-19 sembrerebbe esserci l’elevata produzione di anticorpi in grado di neutralizzare alcuni modulatori del sistema immunitario, gli interferoni di tipo I (IFN- I), compromettendone l’attività biologica/antivirale.

A dimostrarlo sono due nuovi studi, condotti dal gruppo di ricerca di Guido Antonelli del Dipartimento di Medicina molecolare della Sapienza, in collaborazione con i Dipartimenti di Sanità pubblica e malattie infettive e Medicina sperimentale, l’Istituto superiore di sanità e la Johns Hopkins University, pubblicati recentemente sulle riviste European Journal of Immunology e Clinical Immunology.

I due lavori hanno rivelato che la funzionalità della risposta degli IFN-I, in particolare dei sottotipi di IFN-α e IFN-ω, è ridotta in maniera significativa nei pazienti che hanno sviluppato anticorpi neutralizzanti.

Si tratta prevalentemente di pazienti ospedalizzati per forme severe di COVID-19, di sesso maschile, ricoverati in terapia intensiva e con esito dell’infezione infausto. I ricercatori hanno scoperto che anche i pazienti malati di HIV-1 che sviluppano forme severe di COVID-19 presentano concentrazioni elevate di anticorpi neutralizzanti con un ampio spettro di specificità verso i sottotipi di IFN-α e IFN-ω.

È stato osservato poi che gli autoanticorpi anti-IFN-I sono associati a livelli più elevati di marcatori dell’infiammazione e di alcuni marcatori ematologici (come i neutrofili e le piastrine) e che possono essere rilevati non solo nei campioni di sangue ma anche in quelli respiratori.

“Un punto di forza delle nostre ricerche – spiega Guido Antonelli – è quello di aver svolto un'analisi della presenza di anticorpi neutralizzanti su un numero elevato di pazienti ospedalizzati per COVID-19. In tutti è stata eseguita una valutazione dettagliata della specificità anticorpale e dell'influenza di questi autoanticorpi sulla risposta mediata dagli interferoni e sui parametri biochimici ed ematologici associati ad un maggiore rischio di forme gravi di COVID-19”.

“Questi studi – dichiarano Carolina Scagnolari e Alessandra Pierangeli, coordinatrici delle ricerche con la John Hopkins di Baltimora – aggiungono nuovi elementi alla comprensione dei meccanismi immunopatogenetici associati all’infezione causata dal nuovo coronavirus. Infatti, la rilevazione di questi anticorpi nei soggetti infetti da SARS-CoV-2 – concludono le ricercatrici – potrebbe consentire una migliore gestione terapeutica dei pazienti”.

Ultima modifica il Mercoledì, 27 Luglio 2022 08:24
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