Impegnati come siamo a combattere una crisi sanitaria senza precedenti, abbiamo difficoltà a mettere a fuoco quella che sotto moltissimi aspetti è una gravissima minaccia ai sistemi naturali, quei sistemi che, proprio come le foreste, sono così cruciali per la nostra salute e il nostro futuro. Stiamo parlando degli incendi che silenziosamente divorano quello che con difficoltà abbiamo salvato dall’azione distruttiva dell’uomo. Dopo le foreste californiane, quelle dell’Alaska, l’Amazzonia e l’Australia, l’incendio in Tanzania non è da ritenersi un evento unico e casuale ma una delle drammatiche conseguenze di una crisi globale, quella climatica, che esacerba la diffusione, la portata e gli effetti degli incendi. Le fiamme sul Kilimangiaro, innescate dal comportamento di uno dei tanti gruppi di portatori che accompagna ogni anno i 50.000 visitatori che battono i suoi sentieri verso la vetta, hanno trovato una presa facile in un habitat provato dalle temperature in continuo aumento e dalla siccità che sta piegando molte regioni africane. Proprio poche settimane fa il WWF aveva pubblicato il report dove metteva in evidenza che dalla savana alla tundra, nessun ecosistema è immune alle fiamme.
Tra i volontari ci sono anche i colleghi del WWF Tanzania che, sul campo, stanno cercando con tutti i mezzi di creare una barriera all’avanzamento delle fiamme.
"La perdita anche di un solo metro quadrato degli straordinari habitat che fanno del monte Kilimangiaro un ecosistema unico e prezioso è una gravissima perdita per la Tanzania e per tutto il pianeta. Ad oggi purtroppo l’incendio ha già distrutto più di 50 chilometri quadrati, un vero disastro - ha dichiarato Isabella Pratesi, Direttore Conservazione WWF Italia - . Il mondo intero deve diventare più consapevole di quanto gli incendi siano una pericolosissima piaga, alimentata dai nostri comportamenti errati e dal cambiamento climatico. Dobbiamo creare un sistema di contrasto e di intervento globale che aiuti i paesi più in difficolta ma più ricchi di biodiversità a prevenire e combattere gli incendi. L’alternativa è assistere in pochi anni alla distruzione di ecosistemi e di luoghi straordinari ed iconici, proprio come il Kilimangiaro”.
IL PARCO. Il Parco nazionale del Kilimangiaro è molto ricco di specie: circa 2.500 le specie di piante, di cui 1.600 sui pendii meridionali e 900 all'interno della cintura forestale. 130 le specie di alberi con la maggiore diversità tra i 1.800 e i 2.000 metri. Ci sono anche 170 specie di arbusti, 140 specie di epifite, 100 liane e 140 pteridofite. Sono presenti 140 specie di mammiferi (87 forestali), tra cui 7 primati, 25 carnivori, 25 antilopi e 24 specie di pipistrelli e 179 di uccelli tra cui alcuni rari ed endemici. Occasionalmente presenti il gipeto e il rondone alpino.
Con i suoi 6.000 metri il Kilimangiaro in Tanzania è la vetta più alta dell'Africa, che svetta solitaria dalla savana africana. La bellezza dei luoghi e la ricchezza di fauna e di flora hanno fatto si che nel 1973 venne creato il Parco Nazionale del Kilimangiaro, dichiarato Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO nel 1987.
Composto da tre coni vulcanici - Kibo, Mawenzi e Shira - è una famosa meta alpinistica, ma è soprattutto uno dei luoghi più iconici del pianeta. Il cappello di neve e ghiacci che ne sovrasta la sommità, sullo sfondo delle savane africane, ha reso questa famosa montagna un paesaggio iconico in tutto il mondo.