Dall'Europa all'Africa: Il Viaggio Opaco dei Vestiti Usati e il Peso del Fast Fashion

Alessia Di Gioacchino 12 Nov 2025

 

Un'indagine congiunta di Greenpeace e Report svela il vero destino degli abiti dismessi.

Una recente e approfondita indagine, condotta dall'Unità Investigativa di Greenpeace Italia in collaborazione con la trasmissione Report di Rai 3, ha messo in luce la destinazione finale degli abiti usati gettati nei cassonetti o consegnati ai programmi di raccolta dei grandi marchi di moda (come H&M, Zara e Nike).Tra giugno 2024 e maggio 2025, i ricercatori hanno tracciato il percorso di 26 capi di abbigliamento usati (di cui 14 integri e 12 danneggiati) dotati di tracker GPS, consegnati ai servizi di raccolta in 11 città italiane.

Un Viaggio Lontano dal Riuso

I risultati del monitoraggio hanno rivelato una rete complessa, orientata al profitto e non di rado soggetta a illegalità, come evidenziato dal servizio di Report "Panni sporchi": solo due capi dei 26 tracciati hanno trovato una effettiva collocazione nel mercato del riuso. Il destino degli altri rimane in gran parte incerto o problematico: quattro capi sono finiti in Africa (2 in Tunisia, 1 in Sudafrica e 1 in Mali), in aree sprovviste delle strutture necessarie per il trattamento etico degli scarti tessili. Quattro capi hanno raggiunto l'India, di cui tre nell'area di Panipat, nota per l'inquinamento idrico causato dall'industria informale del riciclo e per l'aria irrespirabile dovuta all'incenerimento degli abiti non recuperabili. I capi rimanenti si sono fermati tra l'Italia e il resto dell'Europa.

L'Impronta di Carbonio dei Rifiuti Tessili

Con il supporto della startup Indaco2, l'indagine ha calcolato l'impatto ambientale di questi spostamenti. I capi tracciati hanno percorso in media 3.888 chilometri; il caso più estremo ha superato i 21.000 km. La distanza totale coperta dai 26 abiti è stata di oltre 100.000 km, equivalenti a 2,5 volte la circonferenza terrestre.Viaggi così lunghi e dispendiosi in termini di emissioni di gas serra sarebbero eticamente giustificabili solo se portassero tutti al riutilizzo effettivo. Invece, molti vestiti alimentano sistemi che sfuggono al controllo e aggravano l'inquinamento nei Paesi riceventi.

La Chiamata ad Agire sull'Origine del Problema

Il tracciamento dimostra una realtà nascosta: anche quando i nostri abiti vengono conferiti correttamente nei cassonetti, il loro destino è tutt'altro che trasparente," commenta Greenpeace Italia. La filiera è nota per essere opaca e a rischio di infiltrazioni criminali, come già segnalato da inchieste giornalistiche e indagini dell'Antimafia.

Greenpeace sottolinea come il problema sia amplificato dai volumi di consumo attuali: un cittadino europeo acquista in media 19 kg di vestiti all'anno e produce 16 kg di rifiuti tessili.

In Italia, nonostante la raccolta differenziata sia obbligatoria dal 2022, solo il 19% dei rifiuti tessili urbani (< 3 kg pro capite) finisce nei cassonetti.«L’inchiesta lancia un segnale inequivocabile: non solo la gestione dei rifiuti tessili richiede una urgente revisione, ma è fondamentale agire a monte del problema, **limitando immediatamente la produzione massiva e a basso costo tipica del fast fashion e dell'ultra fast fashion», conclude Greenpeace, indicando nella sovrapproduzione la radice dell'insostenibile flusso di scarti.

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