Lunedì, 07 Settembre 2020


La Provincia autonoma di Trento (PAT) ha comunicato in mattinata la nuova cattura di M49, avvenuta nell'area del Lagorai. Una vera e propria persecuzione verso Papillon, catturato per la terza volta in poco più di un anno.
M49 sarà a breve rinchiuso nell'area faunistica del Casteller, dove oggi sono già reclusi altri due orsi, DJ3 e M57, e dalla quale questo esemplare è già fuggito due volte negli scorsi mesi, mostrando da un lato la sua enorme voglia di libertà, e dall'altra la scarsa sicurezza e adeguatezza della struttura.

Il WWF, come già espresso nelle scorse settimane, ribadisce come M49 non può rientrare nelle categorie di "orso pericoloso" o "orso confidente", non avendo mai mostrato né comportamenti di abituazione né atteggiamenti aggressivi verso le persone. Papillon è un esemplare che si è reso protagonista in passato solo di alcuni danni al patrimonio zootecnico, in ogni caso molto inferiori al valore inestimabile che ha un orso per la biodiversità, e che per questi motivi va attentamente monitorato, ma non rinchiuso. Lo stesso Pacobace (Piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso sulle Alpi) prevede la possibilità di monitoraggio e traslocazione per gli orsi che mostrano comportamenti simili, forme di gestione diverse da quella che ancora oggi sembra l'unica prevista dalla PAT.

Pubblicato in Ambiente


Uno studio dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù con il Karolinska Institutet di Stoccolma fa luce sulla MISC, la grave malattia infiammatoria confusa inizialmente con la Kawasaki. Le due patologie hanno
manifestazioni simili, ma caratteristiche immunologiche differenti. La ricerca apre la strada a diagnosi precoci con test specifici e a trattamenti mirati. I risultati pubblicati su CELL.
Scoperto il meccanismo che scatena la grave risposta infiammatoria nei bambini con COVID-19. Inizialmente confusa con la malattia di Kawasaki, questa malattia infiammatoria sistemica causata nei bambini dall’infezione da SARS-Cov2 è denominata MIS-C (Multisystem Inflammatory Syndrome in Children). I ricercatori del Bambino Gesù sono riusciti ora a identificarne il profilo immunologico e a riconoscerne il funzionamento. La ricerca dell’Ospedale Pediatrico della Santa Sede realizzata in collaborazione con il Karolinska Institutet di Stoccolma, apre la strada a test specifici per la diagnosi precoce e a trattamenti mirati. I risultati sono stati appena pubblicati sulla rivista scientifica CELL.


LE PREMESSE DELLA RICERCA


All’inizio della pandemia da SARS-CoV2 i bambini sembravano essere quasi immuni dalle conseguenze del nuovo coronavirus. Andando avanti è diventato però evidente come anche loro, seppur in modo meno grave, potessero ammalarsi di COVID-19. In alcuni casi, purtroppo, i bambini possono persino sviluppare una grave forma di infiammazione sistemica, la MIS-C, una nuova patologia che può insorgere dopo aver contratto il coronavirus. I piccoli pazienti che ne sono affetti manifestano vasculite (infiammazione dei vasi sanguigni) problemi cardiaci, intestinali e un aumento sistemico dello stato infiammatorio. Si tratta di caratteristiche in parte in comune con un’altra vasculite - la malattia di Kawasaki - che avevano fatto pensare in un primo momento a un nesso di causalità proprio tra la Kawasaki e l’infezione da SARS-Cov2.


LO STUDIO


Lo studio “CACTUS - Immunological studies in children affected by COVID and acute diseases” è stato messo a punto da medici e ricercatori del Bambino Gesù nel corso dell’emergenza sanitaria per cercare di capire la malattia da SARS-CoV-2 nel bambino. Alla ricerca hanno collaborato il Centro COVID di Palidoro, il gruppo di Pediatria Generale che negli ultimi anni si è dedicato allo studio della malattia di Kawasaki e quello di Immunologia clinica e Vaccinologia del Dipartimento Pediatrico Universitario Ospedaliero. Sono stati coinvolti 101 bambini, di cui 13 con COVID che hanno sviluppato la forma multisistemica infiammatoria, 41 con COVID, 28 con patologia di Kawasaki insorta in epoca pre COVID e 19 sani.


I RISULTATI


In entrambe le malattie, Kawasaki e MIS-C, è stata rilevata un’alterazione dei livelli delle citochine (mediatori dell’infiammazione) coinvolte nella risposta immunitaria, ma con delle differenze: ad esempio l’interleuchina 17a (IL-17a) è risultata particolarmente aumentata nei bambini con malattia di Kawasaki ma non in quelli con COVID e MIS-C. Rispetto ai bambini con Kawasaki, nei pazienti affetti da COVID che sviluppano MIS-C è stata individuata un’elevata presenza di auto-anticorpi, cioè di anticorpi diretti contro particolari porzioni di tessuto cardiaco o sostanze propri dell'organismo stesso, che agiscono contro due specifiche proteine (endoglina e RPBJ). Questi auto-anticorpi possono determinare il danno vascolare e cardiaco tipico della MIS-C. Anche dal punto di vista cellulare sono emerse differenze sostanziali tra le due patologie. I bambini affetti da COVID, infatti, presentano un particolare tipo di linfociti T (sottotipo di globuli bianchi deputati alla difesa dell’organismo) con funzione immunitaria alterata rispetto ai bambini con malattia di Kawasaki. Questa alterazione è alla base dell’infiammazione e della produzione di autoanticorpi contro il cuore.


LE PROSPETTIVE
I differenti indicatori individuati tra le due patologie hanno permesso di chiarire i meccanismi immunologici responsabili del loro sviluppo e consentiranno in un futuro prossimo di mettere a punto specifici test di laboratorio per arrivare a una diagnosi certa e precoce. Monitorare i linfociti T e lo spettro degli anticorpi nei bambini affetti da COVID-19 permetterà di diagnosticare precocemente quei pazienti che sono a rischio di sviluppare una forma di MIS-C. «Questi risultati rappresentano un'importante scoperta anche per scegliere in maniera più accurata e basata su evidenze scientifiche i protocolli per la cura dell’infiammazione sistemica correlata all'infezione da SARSCoV2 e malattia di Kawasaki» spiega il dottor Paolo Palma, responsabile di Immunologia Clinica e Vaccinologia del Bambino Gesù e dello studio.


LE TERAPIE
Dai risultati della ricerca emerge l’indicazione di trattare con immunoglobuline ad alte dosi per limitare l’effetto degli autoanticorpi, con anakinra (un principio attivo immunosoppressivo che blocca i recettori dell’interleuchina-1) e con cortisone i bambini con MIS-C in una fase precoce per bloccare l’infiammazione secondaria a danno dei vasi. Al contrario, nei pazienti pediatrici viene sconsigliato l’utilizzo di tocilzumab (anti-IL6) e di farmaci bloccanti TNF-a. Per i pazienti con Kawasaki, i dati suggeriscono per la prima volta la potenziale efficacia di un farmaco che blocca l’IL-17 (secukinumab) per controllare l’infiammazione alla base di questa malattia.

Pubblicato in Medicina


Su Genome Biology una ricerca sulle regole che governano la forma del DNA nello spazio.


La struttura tridimensionale del DNA è determinata da una serie di regole spaziali basate sulla presenza di particolari sequenze proteiche e sul loro ordine: è il risultato di uno studio recentemente pubblicato su Genome Biology da Luca Nanni, dottorando in Computer Science and Engineering al Politecnico di Milano, congiuntamente ai Professori Stefano Ceri dello stesso Ateneo e Colin Logie dell'Università di Nijmegen.
“La maggior innovazione portata dal nostro studio risiede nell’aver per la prima volta identificato delle precise regole di disposizione di alcune particolari proteine chiamate CTCF. La bellezza e la semplicità della grammatica di CTCF ci dimostra come la natura e l’evoluzione producano regolarità e sistemi incredibilmente ingegnosi e funzionali” spiega Luca Nanni, primo autore dello studio. “La conoscenza di queste regole ci potrà permettere in futuro di ingegnerizzare le sequenze di CTCF in modo da ottenere la desiderata struttura tridimensionale del DNA, ad esempio per far interagire due geni che altrimenti non sarebbero in contatto.

Pubblicato in Genetica



Su Nature uno studio sulla funzione delle “trabecole”.

 

Uno studio appena pubblicato su Nature getta nuova luce sulla funzione delle trabecole del cuore, finora rimasta poco chiara. Una loro anomala costituzione appare infatti collegata al rischio di sviluppo di malattie cardiovascolari.


Ma cosa sono e a cosa servono questi elementi anatomici?

Le trabecole rivestono l’interno delle camere ventricolari del cuore umano adulto con una complessa rete di sottili strutture muscolari cilindriche. Gli anatomisti (tra i quali Leonardo) descrissero le trabecole cardiache sin dal XV secolo e ne ipotizzarono diverse funzioni, ma senza mai dimostrare la ragione della loro presenza o la loro funzione esatta. È noto che la formazione delle trabecole risale alle fasi dello sviluppo embriologico del cuore e si ritiene sia essenziale per la crescita del cuore fetale. Via via che il cuore matura la presenza delle trabecole diminuisce, senza scomparire del tutto. Esse infatti costituiscono una percentuale non trascurabile (12-17%) della massa cardiaca del cuore umano adulto. Perché?

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Un panel internazionale di esperti di diabete e metabolismo da tutto il mondo, fra cui Raffaella Buzzetti del Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza Università di Roma, ha provveduto alla stesura di un “consensus” sulla terapia del LADA pubblicato sulla rivista Diabetes dell’American Diabetes Association.
Il 10-15% circa di soggetti con diagnosi di diabete mellito tipo 2 è affetto in realtà da una forma di diabete a lenta evoluzione, definito LADA, acronimo dall’inglese di Latent Autoimmune Diabetes in Adults.

Tale tipo di diabete insorge dopo i 30 anni ma riconosce una patogenesi simile al diabete tipo 1 (a insorgenza giovanile), ovvero determinata dalla distruzione delle cellule pancreatiche che producono insulina da parte del proprio sistema immunitario, e per diagnosticarlo è necessario riscontrare la presenza degli autoanticorpi “colpevoli”.

Il LADA però ha una evoluzione più lenta rispetto al diabete tipo 1, tanto che i pazienti vengono indirizzati verso una terapia a base di insulina anche dopo anni dalla diagnosi.

Pubblicato in Medicina


Una ricerca condotta dall’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (Cnr-Istc), dall’Università Campus Bio-Medico di Roma e dall’Irccs Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed, utilizzando un modello d’Intelligenza Artificiale capace di simulare alcune funzioni del cervello umano, ha chiarito i meccanismi alla base dello sviluppo iniziale di questa forma di demenza. Lo studio è pubblicato su Journal of Alzheimer’s Disease

Un gruppo di ricercatori dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Istc), dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e dell’Irccs Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed è riuscito a chiarire, grazie all’impiego di un modello d’Intelligenza Artificiale in grado di simulare alcune funzioni del cervello umano, i meccanismi alla base dello sviluppo iniziale della malattia di Alzheimer, la più comune causa di demenza. Alcuni studi, condotti presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma, l’Irccs Fondazione S. Lucia di Roma e l’Università di Sheffield (UK), avevano recentemente mostrato come il malfunzionamento di una piccola area situata in profondità nel cervello, l’area tegmentale ventrale (VTA), potesse essere uno dei primissimi eventi associati alla malattia di Alzheimer.

Pubblicato in Medicina

 

I professionisti italiani riuniti nel CUP (Comitato Unitario Professioni) e nella RPT (Rete Professioni Tecniche) constatano con amarezza che Il Parlamento respinge emendamenti, proposti dalle professioni, veramente indirizzati a migliorare leggi esistenti e ad introdurre strutturali processi di semplificazione, e al tempo stesso approva un emendamento, finalizzato ad estendere senza alcun limite l'attività extraistituzionale dei professori e ricercatori universitari, che nulla ha a che fare con la semplificazione e che va nella direzione di aumentare il discrimine tra le diverse categorie di dipendenti pubblici e degli stessi professori universitari.

Si fa riferimento all'emendamento 19.15 al DL Semplificazione, presentato dalla opposizione e votato dalla maggioranza con il parere favorevole del Governo.

Pubblicato in Redazionale


Researchers at the University of Bonn discover unexpected interaction between the protein APC and heme.


The hemoglobin in the red blood cells ensures that our body cells receive sufficient oxygen. When the blood pigment is broken down, "heme" is produced, which in turn can influence the protein cocktail in the blood. Researchers at the University of Bonn have now discovered in complex detective work that the "activated protein C" (APC) can be commandeered by heme. At the same time, APC can also reduce the toxic effect of heme. Perspectively, the findings may provide the basis for better diagnostic and therapeutic approaches to blood diseases. The study has been published online in advance in the journal "Antioxidants & Redox Signaling". The print version will be published soon.


“Blood is a juice of very special kind," is what Johann Wolfgang von Goethe had his Mephistopheles say. The hemoglobin gives blood its red color and ensures that the erythrocytes (red blood cells) can bind oxygen for breathing. This is managed by the hemoglobin-bound molecule "heme", which is a complex composing of a central iron ion and a porphyrin molecule. "The breakdown of erythrocytes results in a pool of so-called labile, regulatory heme," explains Prof. Dr. Diana Imhof from the Pharmaceutical Institute of the University of Bonn. As it can exert toxic effects in high concentrations, the body tries to keep the amount of heme in check.

Pubblicato in Scienceonline



COVID-19 patients can suffer long-term lung and heart damage but, for many, this tends to improve over time, according to the first, prospective follow-up of patients infected with the coronavirus, presented at the European Respiratory Society International Congress.

Researchers in the COVID-19 ‘hot spot’ in the Tyrolean region of Austria recruited consecutive coronavirus patients to their study, who were hospitalised at the University Clinic of Internal Medicine in Innsbruck, the St Vinzenz Hospital in Zams or the cardio-pulmonary rehabilitation centre in Münster, Austria. In their presentation to the virtual congress today (Monday), they reported on the first 86 patients enrolled between 29 April and 9 June, although now they have over 150 patients participating.

The patients were scheduled to return for evaluation six, 12 and 24 weeks after their discharge from hospital. During these visits, clinical examinations, laboratory tests, analysis of the amounts of oxygen and carbon dioxide in arterial blood, lung function tests, computed tomography (CT) scans and echocardiograms were carried out.

At the time of their first visit, more than half of the patients had at least one persistent symptom, predominantly breathlessness and coughing, and CT scans still showed lung damage in 88% of patients. However, by the time of their next visit 12 weeks after discharge, the symptoms had improved and lung damage was reduced to 56%. At this stage, it is too early to have results from the evaluations at 24 weeks.

Pubblicato in Scienceonline

 

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