Metabolismo:scoperto nuovo meccanismo della funzione anti-diabetica e termogenica del tessuto adiposo bruno

La ricerca riguarda il tessuto adiposo bruno, che svolge una funzione anti-diabetica e termogenica, “bruciando” grassi, e che è poco attivo in individui obesi e/o affetti da diabete di tipo 2. Lo studio internazionale è coordinato da ricercatori dell’Università di Roma “Tor Vergata”, in collaborazione con colleghi del Consiglio Nazionale delle Ricerche, e pubblicato oggi su “Cell Metabolism” (Issue 4, Volume 34).
Il “tessuto adiposo bruno” è presente in grande quantità nel neonato, dove ha un ruolo essenziale nel mantenimento della temperatura corporea. È ricco infatti di “mitocondri”, organelli responsabili della produzione di calore, che viene generato attraverso l’azione di una proteina specializzata chiamata “termogenina”. Tale tessuto perde le sue caratteristiche con l’età, pur mantenendo una residua attività termogenica, che rimane molto importante nel preservare la salute metabolica. Per funzionare, infatti, il tessuto adiposo bruno utilizza le riserve di grassi immagazzinati all’interno degli adipociti o cellule adipose brune, il glucosio e altri lipidi che provengono dal flusso sanguigno, “bruciandoli” all’interno dei mitocondri per produrre calore. La sua attività porta quindi ad una dissipazione energetica e all’abbassamento dei livelli di glucosio e grassi nel sangue.
IL CUORE CHE SI "EMOZIONA" E GUIDA IL NOSTRO CERVELLO

Lo studio dell’Università di Pisa in collaborazione con l’Università di Padova e l'University of California Irvine pubblicato nei “Proceedings of the National Academy of Science of the USA”.
Le emozioni nascono nel cuore, e non nel cervello, dicevano i poeti. Ora la ricerca scientifica conferma le fondamenta di questo topos letterario. Uno studio dei bioingegneri dell’Università di Pisa in collaborazione con l’Università di Padova e l'University of California Irvine e pubblicato sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Science of the USA” analizza il meccanismo che ci porta a provare una specifica emozione a fronte di determinati stimoli e trova nel cuore la radice delle emozioni.
"Che il corpo giochi un ruolo fondamentale nel definire gli stati emotivi è ormai ampiamente riconosciuto dalla comunità scientifica – spiega Gaetano Valenza, docente di bioingegneria al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Pisa e ricercatore al Centro “E. Piaggio” – Tuttavia, se escludiamo alcune teorie proposte agli inizi del secolo scorso, fino ad ora l’attività cardiovascolare è stata vista come un semplice supporto metabolico a sostegno del cervello.
Un ululato dal Medioevo

Uno studio multidisciplinare firmato dalle Università Sapienza, Bologna e Parma fornisce la descrizione più completa di un campione di lupo del Medioevo in Italia
È stato pubblicato nei giorni scorsi un importante articolo sullo studio di un cranio fossile di lupo (Canis lupus), rinvenuto nel settembre 2018 nel Fiume Po da Davide Persico, Professore associato presso l’Università di Parma e autore senior che ha diretto lo studio.
Il fossile, completo e in ottimo stato di conservazione, è esposto nel Museo Paleoantropologico del Po di San Daniele Po (CR) ed è già stato oggetto di uno studio paleogenetico nel 2019. Nel recente articolo scientifico però, viene presentata la sua prima descrizione completa basata su un approccio multidisciplinare.
Il riconoscimento e la prima classificazione tassonomica dell’esemplare, nonché la determinazione dell’età anagrafica e del sesso, sono state eseguite attraverso un’analisi biometrica svolta presso il Dipartimento di Scienze Chimiche della Vita e della Sostenibilità ambientale dell’Università di Parma.
Unlocking the secrets of killer whale diets and their role in climate change

Killer whale populations are invading the Arctic, causing significant disruptions to an ecosystem already deeply affected by climate change. A team of McGill researchers has discovered new clues to understand how killer whales impact their environment – by reconstructing their diets using the lipids in their blubber.
“Using this analysis, we will better understand how their diets change and how they may potentially disrupt Arctic food webs,” said AnaïsRemili, a PhD candidate at McGill’s Department of Natural Resource Sciences and lead author on the study.
New mechanism for regulating supply of DNA building blocks may lead to better antibiotics

In a new study published in Nature Communications, researchers from Stockholm University show for the first time how NrdR binds to DNA to inhibit RNR. The novel mechanism could help scientists design better antibiotics by targeting a pathogen’s ability to reproduce.
“We discovered NrdR more than a decade ago but the way it works was an enigma. In this paper, we combined biochemical and structural studies to find out how NrdR binds to DNA,” says Inna Rozman Grinberg, researcher at the Department of Biochemistry and Biophysic at Stockholm University and main author of the study.
New study reveals impact of sea level rise on human groups during Mesolithic and Neolithic periods

A study carried out in the area around the Pego-Oliva Marshland Natural Park, between Valencia and Alicante, reveals how the rise in sea level impacted on the human groups that inhabited this area of the Mediterranean coast during the Mesolithic and Neolithic periods.
The research has made it possible to map different stages of the flooding process of the coastal plains, between 9000 and 7300 years ago, which radically modified the configuration of the coastline and biotopes. To this end, the study integrates recent sedimentological work, carbon-14 dating on lagoon sediments and bathymetric data from the continental shelf. With this information, the researchers have produced detailed digital terrain models, reconstructing the position of the coastline and coastal lagoons over time.
Alzheimer: nuovi elementi per comprendere la neurodegenerazione

Uno studio svolto dai ricercatori dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche aggiunge un importante tassello nella comprensione dei meccanismi di progressione della malattia, aprendo nuove possibili strategie terapeutiche nella lotta alla patologia. La ricerca pubblicata su Brain.
La malattia di Alzheimer è caratterizzata da un progressivo deterioramento delle funzioni cognitive: nelle prime fasi la patologia si manifesta con una graduale perdita della memoria dovuta all’accumulo nel tessuto cerebrale della proteina beta-amiloide, che altera il funzionamento delle sinapsi fino a sfociare in un declino cognitivo dovuto alla degenerazione di ampie zone di corteccia cerebrale.
Come avviene tale processo di neurodegenerazione è quanto ha provato a indagare uno studio, pubblicato sulla rivista Brain, svolto dai ricercatori dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-In), frutto della collaborazione tra il gruppo di ricerca di Pisa coordinato da Nicola Origlia e quello di Milano coordinato da Claudia Verderio.
Greenpeace: la truffa della plastica compostabile, gran parte finisce in discarica o in inceneritore. Gli impianti dell’organico la degradano con difficoltà

Siamo ormai abituati a gettare nell’umido i prodotti monouso in plastica compostabile, tanto che i consumatori credono di essere di fronte a un materiale capace di decomporsi facilmente come la buccia di una mela. Peccato che la realtà sia ben diversa. Infatti, stando all’ultima indagine dell’Unità Investigativa di Greenpeace Italia, la maggior parte dei rifiuti organici in Italia finisce in impianti che non sono in grado di trattare efficacemente i materiali in plastica compostabile, che così finiscono in inceneritore o in discarica, in barba alla presunta sostenibilità.
In Italia i prodotti monouso in plastica compostabile come piatti, posate e imballaggi rigidi devono essere smaltiti insieme agli scarti alimentari. Tuttavia, stando ai dati del Catasto rifiuti di ISPRA, il 63 per cento della frazione organica è inviato a impianti che difficilmente riescono a degradare le plastiche compostabili, che quindi finiscono per essere scartate. Il resto finisce in impianti di compostaggio che abitualmente operano con tempistiche troppo brevi per garantire la compostabilità. Una conseguenza dell’impiantistica non sempre adeguata, ma anche dell’evidente scollamento tra le condizioni previste nei test per ottenere le certificazioni sulla compostabilità e le reali condizioni con cui operano gli impianti. Sono queste alcune delle criticità scoperte da Greenpeace intervistando numerosi imprenditori del settore e il personale tecnico dei laboratori che rilasciano le certificazioni.
Misurare il pH intracellulare, in modo automatico e veloce

Elaborata una nuova metodologia, efficace e accurata, per rilevare la variazione di acidità degli organelli cellulari. Un percorso estremamente complesso, legato a disfunzioni e all’insorgenza di malattie, in particolare il cancro. Lo studio, condotto dai ricercatori dell’Istituto di nanotecnologia del Cnr di Lecce assieme ai colleghi dell’Università del Salento, è pubblicato sulla rivista ACS Applied Materials & Interfaces, aggiudicandosi l’immagine di copertina
Le variazioni a livello intracellulare di pH, cioè di acidità, sono tra l’altro indicative dell’insorgenza e della progressione di malattie come il cancro. Anche per questo il loro studio è importante quanto impegnativo, poiché tali alterazioni coinvolgono meccanismi estremamente complessi. Un recente studio coordinato da Loretta L. del Mercato, primo ricercatore dell’Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Nanotec) di Lecce, condotto in collaborazione con Cecilia Bucci e Adriano Barra, docenti dell’Università del Salento, ha portato alla elaborazione di una nuova metodica per studiare in modo efficace e accurato il pH degli organelli cellulari. La ricerca è pubblicata sulla rivista ACS Applied Materials & Interfaces.
COVID-19: il rischio di reinfezione con forme severe resta molto basso anche dopo più di un anno

Meno di 1 paziente su 10.000 ha avuto una forma grave della malattia dopo la guarigione, anche a più di dodici mesi di distanza dal primo contagio: dati che suggeriscono come la protezione che deriva
dall’immunità naturale resista a lungo nel tempo.
Il rischio di reinfezione con una forma severa o letale di COVID-19 resta estremamente basso, anche a distanza di dodici mesi dalla prima infezione. È quanto rivela un nuovo studio – il primo al mondo con questa scala temporale – pubblicato sulla rivista Frontiers in Public Health e coordinato da Lamberto Manzoli, professore al Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche dell’Università di
Bologna.
L’indagine ha seguito i casi di oltre centomila pazienti di una regione italiana, l’Abruzzo, che hanno contratto il COVID-19 dall’inizio della pandemia fino allo scorso febbraio, indagando il tasso di reinfezione e di malattia secondaria ad oltre un anno di distanza dalla prima guarigione.
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