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La ricerca coordinata dal Dipartimento di Sanità pubblica e malattie infettive della Sapienza, in collaborazione con il Cnr, l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Irccs San Raffaele Pisana, suggerisce l’herpes come fattore di rischio per l’insorgenza della malattia di Alzheimer. Lo studio, che apre la strada a nuove strategie terapeutiche e preventive, è pubblicato sulla rivista PLoS Pathogens
Le fastidiose vescicole provocate sulle labbra dal virus herpes simplex 1 (HSV-1), che di solito si presentano ripetutamente nel corso della vita, finora non erano mai state associate alla comparsa di patologie neurodegenerative. In particolare, poco o nulla si sapeva dei danni che le numerose recidive di tale infezione possono generare a carico del cervello.

Un nuovo studio, condotto da un team di ricercatori italiani coordinato da Anna Teresa Palamara del Dipartimento di Sanità pubblica e malattie infettive della Sapienza, nei laboratori affiliati all’Istituto Pasteur Italia, in collaborazione con l’Istituto di Farmacologia traslazionale del Cnr di Roma (Giovanna De Chiara), l’Università Cattolica-Fondazione Policlinico A. Gemelli Irccs (Claudio Grassi) e l’Irccs San Raffaele Pisana, ha messo in luce sperimentalmente, per la prima volta, che il virus herpes simplex può contribuire all’insorgenza dell’Alzheimer. La ricerca, finanziata da fondi del Ministero dell’Università e della Ricerca (PRIN 2015) e pubblicata sulla rivista PLoS Pathogens, ha aggiunto un importante tassello al filone di ricerca che da anni punta a chiarire il ruolo degli agenti microbici nell’insorgenza delle malattie neurodegenerative.

Pubblicato in Medicina

Utilizzati in Pianura Padana e rinvenuti in alta quota alcuni pesticidi per l’agricoltura possono minacciare le larve di insetti dei torrenti glaciali alpini. È quanto sostiene lo studio dell’Università di Milano-Bicocca “Analisi spazio-temporale e caratterizzazione del rischio di pesticidi in acque di fusione dei ghiacciai alpini” (https://doi.org/10.1016/j.envpol.2019.02.067), pubblicato sulla rivista Enviromental Pollution.

La ricerca, volta a investigare la presenza nei ghiacciai Alpini di una selezione di pesticidi largamente usati in Pianura Padana, è stata realizzata dal gruppo di ecotossicologia di Milano-Bicocca, coordinato da Sara Villa, ricercatrice in ecologia, in collaborazione con il gruppo di glaciologia, guidato da Valter Maggi, docente di geografia fisica e geomorfologia del dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra dell’Ateneo.

Grazie all’analisi di una carota di ghiaccio prelevata dal ghiacciaio del Lys, nel massiccio del Monte Rosa, è stato possibile evidenziare una forte correlazione tra gli usi, dal 1996 a oggi, dell’insetticida chlorpyrifos e dell’erbicida terbutilazina nelle aree agricole italiane limitrofe alle Alpi e le quantità ritrovate nella massa glaciale. Il gruppo di ecotossicologia, inoltre, ha raccolto e analizzato campioni di acqua di fusione da sei ghiacciai alpini (Lys nel gruppo del Monte Rosa, Morteratsch nel Massiccio del Bernina, Forni nel gruppo dell’Ortles Cevedale, Presena nel gruppo della Presanella, Tuckett nel gruppo del Brenta e Giogo Alto nel gruppo del Palla Bianca-Similaun), nei quali lo scioglimento primaverile del manto nevoso determina il rilascio dei contaminanti immagazzinati.

Pubblicato in Ambiente

Le immagini satellitari raccolte dal team di ricerca del Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e del Consiglio nazionale delle ricerche hanno registrato l’esatta misurazione dei volumi di roccia mobilizzati durante il sisma di Amatrice - Norcia. Lo studio, pubblicato su Scientific Reports, potrebbe fornire nuove interpretazioni sulla dinamica dei terremoti

La sequenza sismica iniziata nel centro Italia il 24 agosto 2016 è legata all’estensione che coinvolge gli Appennini e viene misurata tramite la rete GPS. Grazie alle nuove tecnologie satellitari è stato possibile misurare come il terremoto abbia determinato l’abbassamento di un volume di crosta terrestre almeno 7 volte maggiore di quello sollevato. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports.

Da circa venti anni i satelliti per l’osservazione della Terra permettono di studiare gli eventi sismici. In particolare, quelli che equipaggiano un sensore RADAR, il SAR (Synthetic Aperture Radar), sono utilizzati per misurare con precisione le deformazioni della superficie terrestre indotte dai terremoti.

L’interferometria SAR – spiega Emanuela Valerio, ricercatrice della Sapienza – ha permesso di estrarre l’informazione circa la distanza che ciascun punto al suolo (il pixel delle immagini) ha rispetto al SAR, consentendo quindi la misura delle variazioni avvenute nell’area “fotografata” dal satellite a seguito del terremoto. È stato così possibile calcolare gli abbassamenti e sollevamenti del suolo e i relativi volumi di roccia mobilitati dagli eventi sismici avvenuti il 24

agosto 2016, di magnitudo 6, e il 30 ottobre 2016, di magnitudo 6.5”.

Pubblicato in Geologia

Quattro dipartimenti della Sapienza hanno sperimentato per la prima volta l’applicazione del campo magnetico sui muscoli di pazienti affetti da Sclerosi laterale amiotrofica (SLA), evidenziando gli effetti positivi della stimolazione. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports

La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia neurodegenerativa fortemente invalidante che colpisce le cellule nervose preposte al controllo dei muscoli, compromettendo i movimenti della muscolatura volontaria. Il target principale degli studi pregressi sono stati i motoneuroni, la cui degenerazione porta all’atrofia muscolare.

Un nuovo studio, pubblicato su Scientific Reports (Nature Publishing Group), è il risultato della collaborazione di un team interdisciplinare della Sapienza, composto da quattro Dipartimenti (afferenti agli ambiti della biologia molecolare di base, alla anatomia patologica, alla fisiologia, alla clinica) e ha adoperato un approccio traslazionale con metodi differenti, impiegando per la prima volta campi magnetici molto intensi per la stimolazione muscolare, con l’obiettivo di migliorare la funzionalità dei muscoli e rallentarne il declino.

Pubblicato in Medicina

 

DUE RICERCATRICI ISPRA STUDIANO CARBONIO E PLASTICHE IN AMBIENTI ESTREMI

 

Lungo la rotta seguita dalla nave, prelevati 75 campioni di acqua sia superficiale (61 stazioni) che a diverse profondità (14 campioni); su tutti, verranno effettuate analisi di carbonio organico e azoto particellati (POM), carbonio organico disciolto (DOC) e su alcuni di essi verrà analizzata la componente organica non direttamente utilizzabile dagli organismi viventi.

 Queste le attività condotte dalle due ricercatrici dell’SPRA, Cecilia Silvestri e Flavia Saccomandi, nella loro spedizione in Antartide con i partner inglesi del British Antartic Survey (BAS), iniziata il 27 dicembre 2018 e terminata lo scorso 17 febbraio.

Gli studi hanno come finalità un approfondimento sul carbonio sia legato al suo ciclo naturale nell’ambiente (ad esempio l’emissione di anidride carbonica in atmosfera a seguito dei processi di consumo come nutrimento per gli organismi), sia come trasportatore a lunga distanza di sostanze pericolose. I risultati ottenuti da questi studi, condotti in ambiente remoto, caratterizzato dall’assenza di interferenze dovuta alla presenza antropica, possono essere trasferiti in ambiente mediterraneo.

L’Oceano meridionale è considerato come “regione di riferimento” per tutti quei processi che coinvolgono lo scambio naturale di anidride carbonica tra l’atmosfera e l’acqua. Se si conosce il punto di partenza, cioè quello naturale, è possibile valutare gli incrementi dell’attività umana.

Saranno inoltre effettuati studi sulle plastiche; la loro analisi in area remota può consentire la quantificazione dei livelli di riferimento della contaminazione diffusa nei mari. Sia lo studio delle microplastiche che del carbonio saranno condotti con tecniche analitiche estremamente all’avanguardia.

Pubblicato in Ambiente

Con la rivoluzionaria tecnica della microscopia elettronica criogenica, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli della Sapienza e del laboratorio IIT@Sapienza, ha osservato che il meccanismo con cui le cellule incorporano il ferro è lo stesso che i virus usano per infettarle. I risultati, pubblicati su Nature Communications, aprono la strada allo sviluppo di farmaci di precisione contro virus e tumori

Il team di ricerca guidato da Beatrice Vallone e Alberto Boffi del Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli in collaborazione con il laboratorio IIT @Sapienza, ha osservato per la prima volta la struttura del complesso formato dalla proteina ferritina e il suo recettore cellulare (CD17). L’analisi della struttura del complesso ferritina-recettoreha rivelato un importante meccanismo biologico fino a oggi sconosciuto, ovvero il processo con cui il ferro entra nelle cellule. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Nature Communications, non solo ampliano lo scenario delle conoscenze scientifiche di base, ma hanno anche ricadute pratiche di rilievo.

Pubblicato in Medicina

Finanziato dal Miur il progetto ‘Pharaonic Rescission’ dell’Università di Pisa

 

Scrivere per la prima volta una storia sociale dall’Antico Egitto al di là dei fasti di faraoni e regine, mettendo piuttosto al centro il popolo e le classi meno agiate. E’ questa la sfida del progetto di ricerca di interesse nazionale (PRIN) ‘Pharaonic Rescission’ (PROCESS) dell’Università di Pisa che si è appena aggiudicato un finanziamento di oltre 200mila euro dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (Miur). A idearlo e proporlo è stato Gianluca Miniaci del dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, uno dei due ricercatori under 40 in tutta Italia che è riuscito ad ottenere i fondi ministeriali per un progetto nella categoria “giovani” per il settore SH6 “Studio del passato umano: archeologia, storia e memoria”. 
“Ad oggi conosciamo solo una storia, quella dei faraoni e dell'élite, che ci hanno lasciato iscrizioni, testimonianze di grandi gesta, templi e tombe monumentali, tesori archeologici, tutti frammenti dei loro “ricordi”. Non sappiamo quasi nulla della gente comune che non ha potuto lasciare tracce così evidenti nella storia – racconta Gianluca Miniaci - ora si tratta di scriverne una nuova, una che abbia come protagonista quella massa di popolazione invisibile fatta soprattutto di lavoratori, commercianti, agricoltori, ma anche persone benestanti e socialmente agiate, che non ricoprivano un ruolo politico rilevante”.

Pubblicato in Paleontologia
Giovedì, 28 Febbraio 2019 17:41

Nicotina, cavallo di Troia della cannabis

 

 

Il rischio di dipendenza da altre droghe non è relativo alla tipologia di sigarette, tradizionali o elettroniche contenenti la stessa dose di nicotina, poiché esse aumentano comunque la gratificazione indotta dal Δ9-tetraidrocannabinolo (THC), il principio attivo della marijuana, e quindi ne facilitano l’uso. Lo dice uno studio dell’Istituto di neuroscienze del Cnr pubblicato su European Neuropsychopharmacology, che dà importanti suggerimenti sui meccanismi molecolari alla base di questo effetto

 

Il tabagismo rappresenta indubbiamente un grande problema di sanità pubblica, essendo uno dei maggiori fattori di rischio prevenibile per lo sviluppo di patologie neoplastiche, cardiovascolari e respiratorie. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, inoltre, l’uso del tabacco può determinare l’insorgenza di disturbi mentali, comportamentali e fisici tipici delle dipendenze. Studi epidemiologici hanno peraltro mostrato che il consumo di tabacco è predittivo per il futuro consumo di altre droghe come cannabis e cocaina. Le sigarette elettroniche contenenti nicotina sono proposte come sostituto per diminuire l'uso delle sigarette convenzionali e gli effetti nocivi del tabacco combusto, ma ancora non è chiaro se l’eventuale beneficio sia estendibile a tutti gli effetti del fumo di tabacco. Ricercatori dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche di Milano (Cecilia Gotti e Mariaelvina Sala, associato) in collaborazione con colleghi del Dipartimento Biometra delle Università degli Studi di Milano (Milena Moretti e Paola Viani, Francesco Clementi) e di Modena-Reggio Emilia (Michele Zoli) e ai ricercatori finanziati dalla Fondazione Zardi-Gori (Braida Daniela e Luisa Ponzoni)   hanno cercato di chiarire questo aspetto con un lavoro riportato nella rivista European Neuropsychopharmacology: ‘Increased sensitivity to Δ9-THC-induced rewarding effects after seven-week exposure to electronic and tobacco cigarettes in mice’.

“Tabacco e marijuana sono le sostanze usate più comunemente dagli adolescenti a scopo ricreativo, spesso in associazione tra loro, e la frequenza dell’uso della seconda è associata alla dipendenza da nicotina, la principale sostanza d’abuso presente nel tabacco. Inoltre, il lavoro sperimentale dei coniugi Eric (già vincitore del premio Nobel) e Denise Kandel del Department of Neuroscience, della Columbia University NY, ha posto le basi molecolari per capire come la nicotina possa abbassare la soglia per la dipendenza da altre sostanze, come marijuana e cocaina (cosiddetto effetto gateway)”, premette Cecilia Gotti dell’Istituto di neuroscienze del Cnr.

Pubblicato in Medicina
 
 
 
Il completo recupero delle sensazioni della mano dopo l'amputazione grazie a un arto bionico capace di comunicare col cervello, di inviare e ricevere impulsi. È oggi possibile grazie ai progressi della ricerca italiana, in particolare da due studi che sono stati presentati all'Accademia dei Lincei di Roma, durante un convegno al quale ha preso parte anche il ministro della Sanita', Giulia Grillo, assieme ai protagonisti delle innovazioni e ai pazienti che hanno partecipato alle sperimentazioni.

Il primo, condotto dalla Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa con l'Istituto di Bio Robotica e della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli Irccs, Universita' Cattolica, si serve di una mano bionica di nuova generazione e permette di percepire l'ambiente esterno attraverso un feedback sensoriale e tattile. Il secondo e' un lavoro coordinato dagli ingegneri dell'Universita' Campus Bio-Medico di Roma, in collaborazione col Centro Protesi Inail, e permette di usare le protesi in maniera piu' naturale, restituendo la capacita' di sentire se si sta perdendo il contatto con un oggetto afferrato e di calibrare la forza di presa delle dita robotiche. Entrambe le ricerche sono state pubblicate sulla rivista "Science Robotics", a coronamento di dieci anni di esperienza scientifica sulla mano robotica e del primato dell'Italia in questo campo.

"Nel nostro studio- spiega il professor Silvestro Micera della Scuola Superiore Sant'Anna- abbiamo dimostrato che la sostituzione sensoriale basata sulla 'stimolazione intraneurale' e' in grado di fornire un feedback propriocettivo in tempo reale e in combinazione con un feedback tattile sensoriale. Il cervello riesce facilmente a combinare le informazioni in maniera efficace ed i pazienti riescono ad utilizzarle in tempo reale con ottime prestazioni". Con la stimolazione intraneurale il normale flusso di informazioni che giungono dall'esterno viene ripristinato tramite impulsi elettrici inviati da elettrodi inseriti direttamente nei nervi dell'arto superiore amputato; il paziente dopo un apposito training impara progressivamente a tradurre questi impulsi in sensazioni di natura tattile e/o propriocettiva.
Questo approccio ha permesso a due soggetti amputati di riguadagnare un'elevata 'acuita' propriocettiva', con risultati paragonabili a quelli ottenuti in soggetti sani. La simultanea presenza di un feedback propriocettivo e di uno tattile ha consentito ad entrambi gli amputati di discriminare le dimensioni e la forma di quattro oggetti con un importante livello di accuratezza (75,5%).
Pubblicato in Tecnologia

Un team internazionale di ricercatori ha analizzato dati provenienti da 33 radio telescopi sparsi per il mondo, dimostrando che la sorgente di onde gravitazionali scoperta ad agosto 2017 ha lanciato un getto relativistico che ha bucato il materiale espulso nell'atto della fusione delle due stelle di neutroni. Un ulteriore tassello nella comprensione dei fenomeni.

Un risultato tutt'altro che scontato. Ci sono voluti trentatré radio telescopi distribuiti in cinque continenti, dall'Australia agli Stati Uniti passando per Asia, Europa e Sud-Africa, e trentasei astronomi di undici nazioni per misurare le dimensioni di GW170817, la prima sorgente di onde gravitazionali rivelate dagli interferometri LIGO e Virgo, osservata anche nella sua componente elettromagnetica da decine di telescopi, a più di un anno dalla sua scoperta. I risultati dello studio di un team internazionale coordinato da Giancarlo Ghirlanda, primo ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), e che ha visto la partecipazione di colleghi dell’INAF, ricercatori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Università di Milano-Bicocca, Gran Sasso Science Institute e Agenzia Spaziale Italiana (ASI), sono stati pubblicati sulla rivista Science.

Pubblicato in Astrofisica

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