Così il miglio resiste alla desertificazione

stituto di biologia e biotecnologia agraria del Cnr di Milano (Ibba-Cnr) e Fondazione Cariplo 16 Ott 2017

 

L’aumento delle temperature e della frequenza di eventi climatici estremi, come le ondate di caldo che si verificano in molte parti del mondo, sono destinati a portare ad un calo delle rese produttive delle più importanti colture alla base dell’alimentazione umana. Oggi, con la decifrazione della sequenza del genoma del miglio perlato, un progetto che ha coinvolto un team internazionale di 65 scienziati appartenenti a 30 diverse istituzioni di ricerca, è possibile svelare le strategie vincenti messe in atto da questa coltura per affrontare condizioni climatiche estreme. L’analisi della variabilità genetica di un migliaio di linee di questo cereale, tipicamente ben adattato a crescere nelle regioni desertiche, ha permesso di comprendere meglio come esso possa sopravvivere a temperature estreme (oltre 42°C) e sia eccezionalmente tollerante al secco. Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Biotechnology(doi:10.1038/nbt.3943), getta le basi per il potenziale sviluppo di analoghe strategie adattative in altri importanti cereali. La ricerca, co-diretta dall'International Crops Research Institute for Semi-Arid Tropics (Icrisat), India, dal Beijing Genomics Institute (Bgi)-Shenzhen, Cina e dall’Istituto nazionale di ricerca per lo sviluppo sostenibile (Ird), Francia, e che ha visto anche il coinvolgimento dell’Istituto di biologia e biotecnologia agraria del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibba-Cnr) di Milano, “ha impiegato le tecnologie di sequenziamento e analisi del Dna più innovative per identificare nuovi strumenti genetici, come marcatori molecolari correlati alla tolleranza alla siccità e alle alte temperature, così come ad altri importanti caratteri (migliore profilo nutrizionale, resistenza a patogeni)”, spiega Francesca Sparvoli dell’Ibba-Cnr.

“Queste nuove conoscenze costituiscono un propellente per l’avanzamento delle attività di miglioramento genetico di questo cereale, una coltura cruciale per l’alimentazione ed il sostentamento di milioni di persone che vivono nelle regioni aride e semi aride dell’India e dell’Africa sub-Sahariana”. Il miglio perlato [Cenchrus americanus (L.) Morrone] è un cereale tipico delle regioni aride molto nutriente, essendo ricco in proteine, fibre, micronutrienti essenziali come ferro, zinco e folato. Studi nutrizionali hanno mostrato come questo cereale possieda le potenzialità per combattere la carenza di ferro, la più importante fra le carenze di micronutrienti e la principale causa di anemia che colpisce la salute e lo sviluppo di un terzo della popolazione mondiale.

“Nel mondo, il miglio perlato viene coltivato su circa 27 milioni di ettari e rappresenta un alimento quotidiano per oltre 90 milioni di persone, appartenenti alle fasce più vulnerabili delle aree aride e semi aride dell’India e dell’Africa sub-Sahariana”, prosegue la ricercatrice. “Questo cereale è inoltre un importante foraggio usato da milioni di allevatori. Tuttavia, le rese produttive del miglio perlato sono rimaste a bassi livelli da oltre sessanta anni, infatti questa specie è principalmente coltivata da piccoli agricoltori in terreni poveri, privi di sistemi di irrigazione e senza l’ausilio di fertilizzanti o altre pratiche agricole. Gli investimenti in ricerca nel settore della genetica sono stati inadeguati, di conseguenza i ’breeders‘ hanno a disposizione poche informazioni programmi di miglioramento genetico finalizzati all’ottenimento di varietà superiori ad alta resa e ibridi in grado di incontrare le necessità dei piccoli agricoltori. I risultati ottenuti grazie al sequenziamento del genoma del miglio perlato hanno portato a una migliore comprensione della variabilità genetica di questa specie, e i ricercatori hanno identificato geni candidati per caratteri molto importanti, come la tolleranza al calore, o la resistenza alla peronospora, un fungo tra i principali patogeni del miglio perlato”. Ad esempio, il miglio perlato possiede una straordinaria capacità di tollerare elevate temperature. Molti cereali, come il riso o il mais, non sopportano temperature superiori a 30-35°C durante la fase di maturazione dei semi, al contrario il i semi del miglio perlato maturano fino a temperature di 42°C. In questa ricerca si è scoperto che, rispetto ad altri cereali come il grano, il riso o il mais, il miglio perlato dispone di un repertorio diverso di geni per la produzione di proteine che agiscono come delle cere naturali in grado di proteggere la pianta dallo stress termico. È evidente che questa capacità di resistere al calore è cruciale se si considera che gli esperti di cambiamenti climatici prevedono per il futuro una maggiore frequenza delle ondate di calore. Grazie all’impiego di approcci biotecnologici è possibile ipotizzare il trasferimento in futuro di queste caratteristiche di tolleranza al calore e alla siccità anche ad altri importanti cereali. Come spiegato dal Dott. David Bergvinson, Direttore Generale dell’Icrisat, “la conoscenza della sequenza del genoma del miglio perlato sarà cruciale in questa fase di grandi cambiamenti climatici. Questa ricerca consentirà agli agricoltori delle aree marginali dell’Africa e dell’Asia di ottenere produzioni elevate di miglio perlato nei loro campi. L’identificazione in miglio perlato di geni che consentono una migliore tolleranza al calore sarà inoltre di aiuto per trasferire questa conoscenza anche ad altre importanti colture come frumenti, riso e mais, dimostrando l’importanza di investire nella conoscenza delle cosiddette ’orphan crops‘ o colture neglette”. Il più rapido sviluppo di varietà migliorate di miglio perlato che, nonostante le alte temperature e la carenza di acqua, possono crescere, essere molto produttive e garantire una fonte di guadagno per i piccoli agricoltori, aiuterà le comunità ad adattarsi ai cambiamenti climatici, garantendo cibo e sicurezza alimentare.

 

Il lavoro di decodifica e sequenziamento del genoma del miglio perlato è stato condotto da un consorzio internazionale formato da 65 scienziati di India, Cina, Francia, USA, Germania, Austria, Senegal, Niger, Italia e Regno Unito. Le 30 istituzioni di ricerca coinvolte sono: International Crops Research Institute for the Semi-Arid Tropics (ICRISAT); BGI-Shenzhen and BGI-Qingdao, Cina; Institut de Recherche pour le Développement (IRD), Montpellier, Francia; University of Georgia e Fort Valley State University, Georgia, USA; Leibniz Institute of Plant Genetics and Crop Plant Research (IPK), Germany; Cornell University, New York, USA; University of Florida, USA; Junagadh Agricultural University, Gujarat, India; United States Department of Agriculture-Agricultural Research Service (USDA-ARS), USA; Department of Ecogenomics and Systems Biology e Vienna Metabolomics Center (VIME), University of Vienna, Austria; Mumbai Amity University, Maharashtra, India; Institut Sénégalais de Recherches Agricoles (ISRA), Senegal; School of Bioinformatics and Biotechnology, D.Y. Patil University, Mumbai, Maharashtra, India; University of Arizona, USA; Phoenix Bioinformatics, California, USA; Indian Council of Agricultural Research (ICAR), New Dehli, India e ICAR Central Arid Zone Research Institute (CAZRI), Rajasthan, India; Laboratoire Mixte International Adaptation des Plantes et Microorganismes Associés aux Stress Environnementaux, Senegal; Faculty of Sciences and Techniques of Niamey, Niger; University of Montpellier, Francia; Université Lyon 1, Francia; Oklahoma State University, USA; Institut des Mondes Africains (IMAf), Francia; CNR-Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria, Italia; Pioneer Hi-Bred Private Limited, India; Aberystwyth University, UK; Visva-Bharati, Santiniketan, West Bengal, India.

 

La Dott.ssa Francesca Sparvoli è Primo Ricercatore presso l’Istituto di biologia e biotecnologia agraria, appartenente al Dipartimento di scienze bioagroalimentari del Cnr (Ibba-Cnr), sede di Milano, dove coordina un gruppo (http://www.ibba.cnr.it/index.php/it/chi-siamo/personale-lista-completa/48) che svolge ricerche nel campo del miglioramento della qualità nutrizionale di cereali e leguminose con particolare attenzione alla biofortificazione dei semi. Ha cominciato ad occuparsi di miglio perlato nel 2013 nell’ambito del progetto internazionale CERES NewPearl, finanziato da Fondazione Cariplo e Fondation Agropolis,  e di cui è coordinatrice Italiana. È grazie a questo progetto che, insieme ad altri partner del progetto stesso (International Crops Research Institute for the Semi-Arid Tropics –ICRISAT; Institut Sénégalais de Recherches Agricoles - ISRA, Senegal; Institut de Recherche pour le Développement - IRD, Montpellier, Francia), è entrata a fare parte del consorzio internazionale che si è occupato del sequenziamento del genoma del miglio perlato.

 

Da oltre 25 anni Fondazione Cariplo è impegnata nel sostegno, la promozione e l'innovazione di progetti di utilità sociale legati ad arte e cultura, ambiente, sociale e ricerca scientifica. Ogni anno vengono realizzati mediamente più di 1000 progetti grazie ai contributi a fondo perduto distribuiti mediante bandi, erogazioni emblematiche, territoriali, istituzionali, patrocini, per un valore di circa 150 milioni di euro a stagione. Nel 2016, a 25 anni dalla sua nascita, Fondazione Cariplo ha lanciato 4 programmi intersettoriali che portano in sé i valori fondamentali della filantropia di Cariplo: innovazione, attenzione alle categorie sociali svantaggiate, opportunità per i giovani, welfare per tutti. Questi 4 programmi ad alto impatto sono: Cariplo Factory, AttivAree, Lacittàintorno, Cariplo Social Venture.

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