Fino a oggi non era chiaro come gli animali risolvessero questo problema di vitale importanza. Si riteneva che le prede scappassero con un’alta variabilità nella direzione di fuga, senza che però i meccanismi alla base di questa imprevedibilità fossero stati chiariti. Gli studi teorici precedenti, avevano mostrato che la rotta ottimale era quella compresa fra i 90° e i 180°, in direzione opposta all’attacco e, comunque, la ritirata dipendeva sempre dalla velocità della preda e da quella del predatore. Questo, però, non risolveva la questione di come gli animali potessero generare imprevedibilità per disorientare il predatore. Una risposta arriva ora da un gruppo di ricercatori tra i quali Paolo Domenici dell’Istituto per l’ambiente marino e costiero del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Oristano (Iamc-Cnr), in collaborazione con Jonathan Bacon e David Booth della University of Sussex, e Jonathan Blagburn della Universidad de Puerto Rico, la cui ricerca è stata pubblicata sulla rivista Current Biology.
Benché normalmente Paolo Domenici si occupi di locomozione di animali marini, pesci in particolare, questa volta lo studio è stato condotto su un invertebrato terrestre, una delle specie più studiate al mondo, a livello fisiologico, ecologico e comportamentale per la loro risposta di fuga: lo scarafaggio Periplaneta americana. “Lo scarafaggio” spiega Paolo Domenici, “è un modello animale la cui locomozione e la reazione ai predatori viene studiata da molti anni sotto diversi aspetti, e ha generato idee anche per lo studio di specie di vertebrati quali i pesci e i rettili. Durante l’esperimento ogni singolo scarafaggio è stato stimolato con uno spostamento d’aria, poiché questo è percepito dai peli filiformi che si trovano nella parte posteriore dell’animale e interpretato, così, come l’avvicinamento di un possibile predatore”. Applicando alcuni principi di statistica circolare, i ricercatori hanno dimostrato che “gli scarafaggi fuggono dagli attacchi seguendo quattro traiettorie preferenziali, nessuna delle quali ovviamente porta verso il predatore, a angoli di circa 90, 120, 150 e 180 gradi dall’attacco (vedi la figura), mentre rare sono le fughe lungo traiettorie intermedie. I risultati mostrano, ad esempio, una frequenza quattro volte maggiore a 120 gradi rispetto a 110” prosegue il ricercatore dell’Iamc-Cnr “Lo scopo di queste traiettorie preferenziali probabilmente non sta nella scelta di queste particolari angolature, ma nel generare la massima imprevedibilità nella fuga, e quindi la difficoltà nel predatore di apprendere un modello ripetitivo del comportamento della preda. Su diversi individui singoli stimolati ripetutamente, sono state osservate le stesse traiettorie di fuga, il che sta a indicare che ogni insetto può utilizzare gli stessi percorsi che si osservano nell’intera popolazione”.
Fig.01 - Se stimolato da uno spostamento di aria (freccia rossa), lo scarafaggio (per convenzione proveniente da destra nella figura) scappa lungo una delle quattro traiettorie indicate (immagine: J.Blagburn).
Lavori precedenti non avevano potuto evidenziare il fenomeno in quanto basati sull’utilizzo della statistica lineare. Domenici e i suoi colleghi, utilizzando la statistica circolare per analizzare questi studi passati, hanno dimostrato che la strategia di traiettorie di fuga preferenziale era effettivamente presente, ma veniva oscurata dal tipo di analisi.
“La scoperta di traiettorie favorite, sottolinea la necessità di rivedere le teorie sui meccanismi neurofisiologici che generano la direzione di fuga negli scarafaggi ed in altri animali” continua il ricercatore, il quale aggiunge che “l’approccio investigativo utilizzato in questo studio potrebbe essere applicato ad altre specie, poiché l’alta variabilità nelle direzioni di fuga è una caratteristica comune sia ai vertebrati che agli invertebrati, ed è alla base della loro stessa sopravvivenza. La nostra ricerca potrebbe perciò permettere di sviluppare una teoria generale di come gli animali generano imprevedibilità per sfuggire ai predatori”.
“L’importanza di questo tipo di analisi sta nel fatto che essa può essere utile nel determinare il malfunzionamento della capacità di sfuggire ai predatori” conclude Domenici. “Studi precedenti hanno mostrato che l’orientamento nella fuga in diverse specie, inclusi vertebrati come i pesci, è influenzato da fattori ambientali come l’aumento della temperatura, la mancanza di ossigeno nell’acqua per animali acquatici, l’inquinamento”. Quindi questo tipo di analisi è utile per identificare le soglie ambientali al di là delle quali si potrebbero verificare squilibri fra le prede e i predatori negli habitat naturali, che potrebbero provocare importanti conseguenze nella conservazione degli ecosistemi.
Francesca Lippi