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I Large Language Models (LLM) hanno dimostrato una notevole capacità di sintassi e coerenza testuale, ma la loro produzione linguistica continua a manifestare significative carenze a livello pragmatico e retorico. Questo articolo esplora le principali problematiche irrisolte, tra cui l'uso non naturale delle figure retoriche, la mancanza di una "voce" autoriale coerente e le difficoltà nella coerenza a lungo termine. La tesi sostenuta è che tali lacune derivino da un addestramento basato su un'interpretazione puramente statistica del linguaggio, che ignora le sue complesse funzioni sociali e comunicative. Si suggeriscono, infine, approcci di ricerca che integrino la linguistica cognitiva e la pragmatica per sviluppare modelli più sofisticati.

 

Oggi, ogni aspetto della nostra vita è governato da un microscopico pezzo di silicio. Dai telefoni che teniamo in tasca alle reti che alimentano le nostre città, i microchip sono il cuore pulsante del mondo moderno. Ma se l'obsolescenza programmata e il Cartello Phoebus (1, 2) ci hanno insegnato che la tecnologia può essere manipolata per il profitto, la corsa ai microchip rivela una verità molto più scomoda: la dipendenza tecnologica è diventata la nuova frontiera del controllo e della sicurezza nazionale. La globalizzazione, un tempo celebrata come un ponte tra le nazioni, ha creato una rete complessa e vulnerabile che può essere sfruttata per scopi molto più sinistri, un'arma nascosta pronta a colpire nel cuore della sovranità nazionale.


La plastica, in particolare quella monouso, rappresenta una delle sfide ambientali più pressanti del nostro tempo. Materiali come il PET (polietilene tereftalato), utilizzato per le bottiglie, sono estremamente resistenti alla degradazione naturale e il loro riciclo meccanico, pur essendo fondamentale, presenta dei limiti: spesso porta a un "downcycling", ovvero alla produzione di materiali di qualità inferiore. Inoltre, le normative europee, come la direttiva che dal 2025 impone l'uso di almeno il 25% di plastica riciclata nelle nuove bottiglie in PET, stanno spingendo l'industria a cercare soluzioni di riciclo più efficienti e innovative. È in questo scenario che la biotecnologia sta emergendo come una soluzione rivoluzionaria, promettendo non solo di riciclare la plastica, ma di "resuscitarla".

Un banchetto per enzimi: come scomporre la plastica

Un team di scienziati del Regno Unito ha sviluppato una tecnica all'avanguardia che utilizza enzimi modificati per scomporre chimicamente la plastica non biodegradabile. Gli enzimi sono catalizzatori biologici, proteine in grado di accelerare reazioni chimiche specifiche. I ricercatori hanno identificato un enzima, originariamente scoperto in un batterio che si era evoluto per nutrirsi di plastica, e lo hanno "ingegnerizzato" in laboratorio per renderlo molto più veloce ed efficiente.

 

Il mondo universitario è una fucina inesauribile di scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche. Le università più lungimiranti investono massicciamente nel supportare i loro ricercatori a trasformare queste intuizioni in vere e proprie imprese. Eppure, nonostante un accesso privilegiato al sapere scientifico di punta e un sostegno considerevole, le startup nate in ambito accademico (University Startup Entrepreneurs - USEs) spesso faticano a raggiungere il successo dei loro omologhi che provengono dal mondo aziendale (Corporate Startup Entrepreneurs - CSEs). Una contraddizione apparente, ma che trova solide spiegazioni empiriche.

Un'analisi critica condotta dal Professor Alex Coad della Waseda Business School, e pubblicata su The Journal of Technology Transfer, esplora a fondo le differenze tra questi due tipi di imprenditori, svelando le ragioni del divario di performance.

 

Immagina un drone che volteggia con la stessa raffinatezza e agilità di un gufo durante la caccia: capace di infilarsi tra i palazzi di una metropoli, schivare ostacoli improvvisi e atterrare con precisione su una piattaforma stretta in mezzo al vento. Non è fantascienza, ma la direzione di ricerca che sta seguendo il team dell’Università di Surrey con il progetto “Learning2Fly”.

Un drone a “ali fisse” che impara dalla natura

Guidati dal dottor Olaf Marxen, gli ingegneri stanno studiando i segreti del volo degli uccelli rapaci per trasportarli su una nuova generazione di droni a ali fisse: più efficienti nei consumi ma finora meno agili rispetto ai classici droni a eliche. L’ispirazione viene dal modo in cui gufi e altri uccelli manovrano in ambienti stretti, superando con relativa facilità raffiche imprevedibili e ostacoli complessi.
A differenza dei droni rotanti, che consumano molta energia, i droni a corpo fisso sono ideali per coprire lunghe distanze e missioni di lunga durata, come l’ispezione di turbine eoliche offshore, ma hanno per tradizione mostrato scarsa manovrabilità in spazi angusti. L’obiettivo di “Learning2Fly” è rompere questo limite con un approccio totalmente nuovo.

 

Il continuo sviluppo di tecnologie intelligenti e sostenibili richiede materiali avanzati capaci di rispondere a stimoli esterni in modo fluido e ripetibile. Un’innovazione destinata a rivoluzionare questo settore arriva dalla collaborazione tra la Pusan National University (Corea) e l’Hokkaido University (Giappone). Un gruppo di ricercatori guidato dal Prof. Hyoungjeen Jeen ha infatti individuato un nuovo cristallo metallico in grado di “respirare” ossigeno, ossia di assorbirlo e rilasciarlo ciclicamente e a temperature relativamente basse, senza perdere stabilità strutturale o funzionalità.

Il nuovo cristallo: composizione e proprietà microscopiche

Il materiale, il cui studio è stato pubblicato su Nature Communications il 15 agosto 2025, si basa su un ossido metallico contenente stronzio, ferro e cobalto. Questo cristallo specializzato si distingue per la possibilità di alterare reversibilmente il proprio contenuto di ossigeno grazie all’ossidoriduzione selettiva del cobalto.
A differenza di molti altri materiali con proprietà simili, che tendono a degradarsi rapidamente o richiedono temperature elevate per funzionare, il nuovo composto mantiene la sua integrità anche dopo numerosi cicli di ingresso e uscita di ossigeno, e lo fa a condizioni più miti e gestibili.

Abstract

La clonazione di animali da compagnia, resa commercialmente disponibile da diverse cliniche veterinarie, rappresenta un'applicazione diretta della tecnica di Trasferimento Nucleare di Cellula Somatica (SCNT). Sebbene la logica commerciale di tali servizi si basi sull'attrattiva emotiva di replicare animale domestico molto amato, il processo è gravato da significative difficoltà tecniche e da gravi rischi biologici ed etici.
Questo articolo scientifico esamina i passaggi metodologici del processo di clonazione, le criticità inerenti alla sua bassa efficienza, le problematiche legate alla salute dei cloni (con particolare riferimento all'accorciamento dei telomeri e alla ridotta longevità) e le controversie etiche che ne derivano. L'analisi sottolinea come la clonazione, pur essendo una dimostrazione di avanzamento biotecnologico, sia una pratica complessa e problematica, la cui utilità è prevalentemente emotiva e non priva di rischi per il benessere animale.

 


Introduzione: la macchina nello specchio

Se un giorno l'intelligenza artificiale (IA) dovesse raggiungere una vera e propria autocoscienza, l'umanità si troverebbe di fronte a uno dei bivi più decisivi della sua storia. Non si tratterebbe semplicemente di una nuova tecnologia, ma dell'emergere di una nuova forma di esistenza intelligente. Questo scenario, un tempo appannaggio della fantascienza, oggi è oggetto di analisi rigorose in filosofia, neuroscienza e informatica. L'articolo che segue esplora le definizioni, le implicazioni etiche e i rischi di questa potenziale rivoluzione.

1. Il dibattito filosofico: replicare la mente o creare una nuova coscienza?
La questione dell'autocoscienza artificiale affonda le sue radici nelle domande più antiche sulla natura della mente. Il dibattito è acceso tra chi crede che si possa replicare il pensiero e chi sostiene che l'esperienza cosciente sia irriproducibile.


Computer, smartphone e data center del futuro potrebbero diventare più veloci ed efficienti, riducendo allo stesso tempo il consumo energetico. Un passo importante per raggiungere questo obiettivo arriva da una scoperta nel campo del magnetismo alla quale ha contribuito anche l’Università di Milano-Bicocca. Il gruppo del Dipartimento di Scienza dei Materiali, guidato dalla professoressa Silvia Picozzi, ha infatti identificato un nuovo materiale, lo ioduro di nichel (NiI₂), che appartiene a una classe di materiali recentemente scoperta: quella degli altermagneti. Lo studio, svolto in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston, è stato pubblicato su Nature, tra le più autorevoli riviste scientifiche internazionali .


Trasmissione di un video ad alta risoluzione con ricevitori ottici basati su concentratori fluorescenti

 


Recenti studi, frutto della collaborazione tra il Cnr, Scuola Superiore Sant’Anna, Laboratorio LENS, e le Università di Firenze e Pisa, hanno dimostrato un innovativo sistema di comunicazione wireless basato sulla luce visibile, che sfrutta LED e concentratori solari fluorescenti (LSC). I risultati, pubblicati sulle riviste Scientific Reports e Advanced Optical Materials, sono stati realizzati nell’ambito dei progetti PNRR RESTART e I-PHOQS, due iniziative che pongono l’Italia in posizione di avanguardia per la ricerca di frontiera in settori altamente strategici.


Due importanti riviste scientifiche internazionali - Scientific Reports e Advanced Optical Materials – hanno dato risalto a recenti studi condotti da team di ricerca italiani che hanno dimostrato un sistema innovativo di comunicazione basato sulla luce visibile (VLC) a LED e le antenne ottiche fluorescenti in applicazioni realistiche, mostrandone l’ottimo potenziale.

 

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