Un team internazionale di ricercatori ha scoperto la presenza di vapore acqueo nel disco protoplanetario orbitante una giovane stella, proprio dove potrebbero formarsi nuovi pianeti: infatti, l'acqua è un ingrediente fondamentale per la vita sulla Terra e si pensa che svolga un ruolo significativo anche nella formazione dei pianeti. Tuttavia, finora non eravamo mai stati in grado di mappare la distribuzione dell'acqua in un disco stabile e freddo, il tipo di disco che offre le condizioni più favorevoli alla formazione di pianeti intorno a giovanistelle. Le nuove scoperte sono state possibili grazie alle capacità uniche dell'Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA).


Uno studio congiunto Sapienza-INFN ipotizza, attraverso complesse simulazioni numeriche, i possibili effetti del fenomeno di evaporazione dei buchi neri, la cui esistenza è stata prevista da Stephen Hawking. La ricerca è pubblicata sulla rivista Physical Review Letter.


Il destino dei buchi neri potrebbe essere quello di evaporare fino a dischiudere le singolarità gravitazionali altrimenti celate dall’inviolabile barriera rappresentata dall’orizzonte degli eventi, oppure assumere una forma stabile e paragonabile ai più suggestivi oggetti previsti dalla Relatività Generale di Einstein, i wormholes. È questa una delle conclusioni a cui è giunto uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Fisica della Sapienza e dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), in collaborazione con una collega del Niels Bohr Institute danese, che, attraverso complesse simulazioni numeriche, ha esplorato per la prima volta, nell’ambito di una teoria della relatività generale modificata, i possibili esiti finali dell’evaporazione dei buchi neri, fenomeno previsto dal celebre fisico teorico Stephen Hawking. Il risultato, pubblicato sulla rivista Physical Review Letter, mette in evidenza l’importanza delle simulazioni numeriche (numerical relativity) per fornire nuove spiegazioni sul destino dei buchi neri, suggerendo al tempo stesso la possibilità di nuovi candidati di materia oscura formatisi alla fine della loro evaporazione nei primi istanti dell’universo.

 

Il Museo di Scienze Planetarie organizza le ricerche al suolo 

Caccia alla meteorite, primo giorno ad Agliana e Quarrata

Morelli: "Per trovarla l'aiuto di tutti è prezioso"

Stamani i primi gruppi astrofili di Montelupo e Prato all'opera

Domani si replica spostandosi sul reticolo individuato da Prisma

 

Sono partiti in mattinata da La Ferruccia di Agliana, dopo aver ricevuto istruzioni precise su cosa cercare la trentina di volontari coinvolti nella ricerca del meteorite caduto in Toscana, nella zona fra Agliana e Quarrata. Mappa e campioni di meteoriti alla mano, il direttore del Museo di Scienze Planetarie Marco Morelli e il ricercatore di Scienze della Terra dell'Università di Firenze Tiberio Cuppone che coordinano le ricerche, hanno spiegato esattamente come potrebbe presentarsi sul terreno la meteorite che ha attraversato l'atmosfera della Terra la notte del 1° ottobre viaggiando a oltre 50mila chilometri l'ora.

"La ricerca è ufficialmente partita stamani, domani andremo avanti e poi ogni fine settimana con l'aiuto dei volontari che vorranno partecipare – ribadisce Morelli – Ma l'aiuto di tutti è prezioso. Ancora una volta faccio appello a chi possiede orti, giardini e vivai nella fascia che comprende le frazioni di La Ferruccia, Sant'Antonio, Vignole, Olmi, Valenzatico, Case Ferretti fino a Lucciano di controllare il terreno e, se è possibile, dare un'occhiata anche sui grandi tetti delle aziende".


Lavorando sulle instabilità gravitazionali di una giovane stella, Elias 2-27, due giovani astrofisiche, Benedetta Veronesi, ricercatrice della Statale di Milano e Teresa Paneque-Carreno, visiting student presso lo stesso ateneo, stimano per la prima volta la massa dei dischi protostellari ricavando informazioni preziose per comprendere il processo di formazione dei pianeti giganti. Le pubblicazioni nell’ambito del network internazionale DUSTBUSTERS, coordinato dall’ateneo.

I pianeti si formano all’interno di dischi composti da gas e polvere, in accrescimento sulla stella centrale. Ma qual è la massa contenuta nel disco, e quindi disponibile per la formazione dei pianeti? Due articoli pubblicati oggi su Astrophysical Journal e Astrophysical Journal Letters da parte di ricercatori dell’Università degli Studi di Milano sono riusciti a rispondere a questa fondamentale domanda.


La nuova generazione di telescopi e, in particolare, il radiotelescopio ALMA (Atacama Large Millimiter Array) nel deserto di Atacama in Cile, negli ultimi tempi ha rivoluzionato lo studio dei dischi protostellari e dei processi di formazione stellare e planetaria. Lo sviluppo di nuovi modelli teorici e numerici, e il confronto di questi modelli con le osservazioni ad alta risoluzione ottenute grazie alle nuove strumentazioni, sono gli obiettivi intorno ai quali è stato costituito il network di DUSTBUSTERS (Dust and gas in planet forming discs), un progetto coordinato dal prof. Giuseppe Lodato, docente di Astrofisica teorica presso il dipartimento di Fisica “Aldo Pontremoli” dell’Università degli Studi di Milano, e finanziato dal Programma quadro per la ricerca e l’innovazione, Horizon 2020.

 

Un nuovo studio a revisione paritaria rivela che queste strutture marziane potrebbero essere tane fossili.

 

 

La superficie di Marte potrebbe essere stata scolpita da microbi, possibili autori di enigmatiche strutture a bastoncino osservate nel Cratere Gale. Questa conclusione rivoluzionaria è stata raggiunta da una squadra multidisciplinare di scienziati guidata da Andrea Baucon, paleontologo dell'Università di Genova.

Lo studio è stato pubblicato su Geosciences, un’importante rivista internazionale a revisione paritaria. Esso combina i dati dal rover Curiosity della NASA, una revisione della letteratura scientifica esistente e sofisticate tecniche di analisi d’immagine per capire l’origine delle strutture marziane a bastoncino.


Le strutture marziane appaiono come altorilievi di dimensioni comparabili a quelle del filo interdentale. Nel nuovo studio, gli scienziati dimostrano che la loro forma è unica tra le strutture geologiche marziane e che le tane fossili (icnofossili) sono tra i migliori analoghi terrestri di queste strutture uniche. Sulla Terra, strutture simili vengono attribuite non solo ad anellidi macroscopici, ma anche all’attività di cellule ameboidi microscopiche aggregantisi in una massa macroscopica (funghi mucillaginosi).


                                                   I dati da cui è tratto lo studio Sapienza, ora pubblicato su Science, rappresentano l’ultimo regalo della sonda Cassini prima del suo tuffo finale nell’atmosfera del pianeta


Misure della gravità di Saturno e della massa dei suoi anelli, effettuate con la sonda Cassini prima della sua disintegrazione nell’atmosfera del pianeta, hanno rivelato che i venti del gigante gassoso si estendono ad una profondità di 9000 km e che gli anelli si sono formati al più 100 milioni di anni fa. I risultati della ricerca, coordinata da Luciano Iess del Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale di Sapienza Università di Roma, sono stati pubblicati il 17 gennaio nell’edizione online di Science.

Gli anelli sono la caratteristica più iconica di Saturno, ma la misura della loro massa effettuata dai ricercatori di Sapienza mostra che la loro origine è assai più recente del pianeta. Infatti, Saturno si è formato assieme al sistema solare in tempi molto più remoti, circa 4,5 miliardi di anni fa, mentre gli anelli potrebbero risalire all’epoca in cui gli ultimi dinosauri abitavano la Terra.

I risultati della ricerca sono stati ottenuti dalle misure effettuate con la sonda Cassini (NASA) nella fase finale della missione, durante sei spettacolari passaggi ravvicinati del pianeta, tra l’atmosfera e gli anelli. Misure di velocità della sonda, con precisione di pochi centesimi di millimetro al secondo, effettuate attraverso il collegamento radio con antenne di terra della NASA e dell’Agenzia Spaziale Europea, hanno permesso di determinare separatamente la massa degli anelli e la gravità del pianeta.

Ricercatori della Sapienza hanno estrapolato le “curve di luce” per la predizione dell'orientamento prima dell’impatto sulla Terra. La rete di monitoraggio ha colto l’oggetto in un passaggio veloce per ben 6 minuti e acquisito un campione video del modulo spaziale dichiarato fuori controllo circa un anno fa.

Da ormai un anno il laboratorio spaziale Tiangong-1, che fa parte del progetto di Stazione spaziale cinese, è stato dichiarato fuori controllo. Si tratta di un modulo orbitante di notevoli dimensioni, con una larghezza di 16 metri e una massa complessiva di oltre 8 tonnellate. Inizialmente previsto per la seconda metà del 2017, il rientro in atmosfera è ormai confermato per i primi mesi del 2018 e si fa sempre più fervente il lavoro della comunità scientifica per individuare il punto di caduta della pioggia di detriti che potrebbe derivarne. Finora è stato accertato che le parti che sopravviveranno al calore del rientro in atmosfera impatteranno la superficie terrestre in una zona inclusa fra il 43° parallelo nord e il 43° parallelo sud, un’area comprendente anche parte dell'Italia, da Firenze in giù.

La NASA rinnova la fiducia alla Lockheed Martin per la gestione dell'osservatorio solare IRIS per studiare la bassa atmosfera della nostra stella madre

 

IRIS, il lavoro continua. La pionieristica sonda Interface Region Imagining Spectrograph – IRIS - costruita e operata dalla Lockheed Martin per conto dell'Agenzia spaziale americana, ha ottenuto un bonus di tempo supplementare per portare a termine il proprio compito: monitorare la bassa atmosfera del Sole e svelare le dinamiche in atto nel cuore del nostro sistema planetario.
La Lockheed Martin, azienda leader nei settori dell'ingegneria aerospaziale e maggiore contraente militare degli Stati Uniti, ha portato recentemente a casa un'estensione di contratto da 19.4 milioni di dollari per il supporto all'osservatorio IRIS, le cui attività tecniche saranno gestite dalla LM almeno fino a settembre 2018, salvo ulteriori proroghe. La missione, posta su un'orbita eliosincrona per tenere d'occhio i movimenti della materia solare, le emissioni energetiche e gli sbalzi di temperatura, ha collezionato 24 milioni di immagini e misurazioni spettrali nei suoi primi tre anni di vita – la prima luce è datata 17 luglio 2013 – realizzando la cartolina più dettagliata della bassa atmosfera del Sole mai spedita dallo spazio.

Un nuovo studio apparso sull'Astrophysical Journal esamina 4 nuovi oggetti celesti giovani e di massa ridotta circondati da dischi attivi. La ricerca potrà chiarire le dinamiche di formazione di stelle e pianeti

 

4 inquilini cosmici di taglia small, giovani e“ingioiellati”, saranno d’aiuto agli astronomi per comprendere le dinamiche di formazione di stelle e pianeti. Sono un quartetto di corpi celesti in fasce circondati da dischi protoplanetari ancora attivi i soggetti dello studio apparso sull’Astrophysical Journal e firmato da un team di scienziati dell’Università di Montreal e del Carnegie Institute of Technology. Gli scienziati che hanno guidato la ricerca hanno preso in esame 4 nuovi corpi celesti di giovane età e di piccola massa mai visti prima, che serbano una caratteristica insolita: le 4 small new entries sono circondate da un disco primordiale di gas e polvere ancora attivo. L’anello detritico attorno ad una stella o ad un pianeta è un dato importante da considerare per determinare l’iter di formazione che porterà alla genesi di un oggetto celeste. Questi dischi, comuni nel panorama spaziale, sono raramente reperibili quando si tratta di nane brune o di astri di massa ridotta.

Un nuovo studio pubblicato sull'Astrophysical Journal Letters realizza un nuovo modello utile ad effettuare il censimento delle galassie nane vicine di casa e a comprendere il legame con la dark matter

 

E’ un grosso enigma di piccola taglia quello rappresentato dalle galassie nane vicine di casa, aggregazioni di stelle che “abitano” nei pressi della Via Lattea, la cui presenza potrebbe fornire la chiave per risolvere il più intrigante dei misteri dell’Universo, quello della materia oscura. Secondo gli astronomi, nel vicinato galattico mancano all’appello molte delle nane predette dai modelli cosmologici: la latitanza di queste congreghe in miniatura solleva molte domande legate alla componente oscura e al suo ruolo nei processi di formazione. La dark matter – ipotetica componente di materia non osservabile conosciuta solo per gli effetti gravitazionali che esercita su gas e polvere di stelle - infatti forma circa un quarto dell’Universo e gioca un ruolo cruciale nei processi di formazione. Perciò è così importante comprenderne il legame con le galassie.

 

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