Stagioni più instabili e estremizzazione del clima: dal lago più antico d’Europa le indicazioni sul futuro del Mediterraneo

Giovanni Zanchetta dell’Università di Pisa coordinatore italiano della ricerca pubblicata sulla rivista Nature
Stagioni più estreme, con estati più calde e aride e maggiore instabilità autunnale dovuta a forti precipitazioni specie fra settembre e dicembre. Questa potrebbe essere la tendenza futura del clima nel Mediterraneo a seguito del riscaldamento globale che emerge dallo studio dei sedimenti del lago di Ohrid, il più antico di Europa, al confine tra Albania e Macedonia del Nord. La notizia arriva da uno studio appena pubblicato sulla rivista Nature e condotto da un vasto consorzio internazionale capitanato dal professore Bernd Wagner dell’Università di Colonia e coordinato per l’Italia dal professore Giovanni Zanchetta del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, fra i “Principal Investigator” dell’intero progetto.
“Le proiezioni dei modelli fisico-matematici sul clima futuro nel Mediterraneo a seguito del riscaldamento globale sono caratterizzate da ampie incertezze soprattutto per quanto riguarda l’andamento delle precipitazioni, da cui dipende la disponibilità idrica di oltre 450 milioni di persone – spiega Zanchetta - Per comprendere meglio i possibili scenari futuri è quindi necessario indagare il clima passato e da questo punto di vista il lago Ohrid è uno scrigno ricco di informazioni preziosissime sull’evoluzione clima nel Mediterraneo nell’ultimo milione e mezzo di anni”.
Tre ecoregioni sotto scacco del fuoco nell'area tra Bolivia Brasile e Paraguay

L’Amazzonia è ancora sotto scacco: da un lato la natura divorata dalle fiamme, dall’altro popolazioni che restano senza spazi per vivere e sostenersi. Per capire quali siano le ‘micce’ che hanno scatenato questo inferno e come si stia affrontando questa emergenza, il WWF ha raccolto la testimonianza di Jordi Surkin, direttore dell’Unità di Coordinamento Amazzonica del WWF Latino America che vive e lavora in una delle aree più colpite della foresta tropicale sudamericana, la foresta di Chikitana del territorio boliviano.
TRE ECOREGIONI COLPITE NEL CUORE
“Gli incendi stanno colpendo tre ecoregioni tra le più importanti per il pianeta, in una area compresa tra Bolivia, Brasile e Paraguay: la prima è l’Amazzonia, la foresta tropicale più estesa del pianeta, bacino idrico fondamentale che conserva il 20% dell’acqua globale e che riesce a stoccare il 25% del carbonio presente sulla terra. Questi incendi stanno liberando il carbonio nell’atmosfera aumentando così i danni dei cambiamenti climatici globali. L’Amazzonia custodisce il 10% delle specie globali con animali simbolo come il giaguaro. La seconda è il Pantanal, la zona umida più vasta del pianeta, incastonata tra Brasile, Bolivia e Paraguay. La terza area è la Chikitana forest, tra Bolivia e El Chaco. Il fuoco quindi sta minacciando aree di enorme importanza per la conservazione della biodiversità del pianeta, per la regolazione del clima e soprattutto fondamentali per la sopravvivenza di intere comunità che stanno perdendo le loro terre, la possibilità di avere cibo e ricavare guadagni, e in molti casi la loro casa. Il costo umano e sociale di questi incendi disastrosi è enorme, la gente deve saperlo. Alcuni scienziati considerano questi incendi un acceleratore del trend già in atto nella foresta verso il ‘tipping point’, ovvero, il punto di non ritorno per l’Amazzonia rispetto alla sua capacità di regolare il clima”.
Gli antenati del Beluga e del Narvalo, odierni “signori dei ghiacci”, vivevano nelle acque tropicali del Mediterraneo

Lo rivela un fossile di 5 milioni di anni fa scoperto vicino a Grosseto dai paleontologi dell’Università di Pisa
Il beluga (Delphinapterus leucas) e il narvalo (Monodon monoceros) sono due affascinanti cetacei che vivono esclusivamente nelle gelide acque artiche, senza mai allontanarsene, e sono gli unici rappresentanti attuali della famiglia dei Monodontidi.
Oggi è impossibile vederli nelle calde acque del Mediterraneo e ancora più assurdo - almeno così si pensava - che potessero essere vissuti in questo mare all’inizio del Pliocene, quando il nostro clima era tropicale. Invece è successo. Ad Arcille, vicino a Grosseto, in una cava di sabbia è stato scoperto il cranio fossile di un monodontide di circa 5 milioni di anni fa. Gli è stato dato il nome di Casatia thermophila. ‘Casatia’ è un omaggio a Simone Casati, scopritore di molti importanti fossili della Toscana e in particolare della cava di Arcille, e ‘thermophila’ significa ‘amante del caldo’ per sottolineare che questo cetaceo viveva in acque tropicali.
Fecondazione assistita: metodo Cnr per identificare gli ovociti più sani

Immagine allegata: Sequenza di passaggi a cui è soggetto normalmente l’ovocita nel processo di fecondazione in vitro (Ivf) e dove potrebbe essere inserito il test meccanico, non invasivo, per la selezione dell’ovocita da fecondare
L’Istituto officina dei materiali del Consiglio nazionale delle ricerche di Trieste, con una nuova sonda che permette l’analisi sull’intera cellula e non solo sulla membrana, identifica una tecnica per riconoscere, in base alle caratteristiche meccaniche, gli ovociti con maggiori probabilità di successo, sia freschi sia dopo il congelamento. La ricerca promette di aumentare l’efficacia del processo, migliorando la selezione degli ovociti utili al raggiungimento di una gravidanza di successo. Lo studio, in collaborazione l’Irccs Burlo Garofolo, è pubblicato sulle riviste Acta BioMaterialia e European Biophysics Journal
Una collaborazione tra un gruppo di ricerca dell’Istituto officina dei materiali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iom) di Trieste e il reparto di Clinica ostetrica e ginecologica dell’Irccs materno infantile Burlo Garofolo di Trieste ha prodotto, negli ultimi anni, diversi risultati orientati ad aumentare la probabilità di successo della fecondazione assistita per le coppie sterili. Gli esiti delle ultime ricerche sono stati pubblicati su European Biophysics Journal e su Acta BioMaterialia.
“Uno dei momenti più importanti per determinare la fortuna di un processo di fecondazione è la selezione degli ovociti, oggi condotta in base a caratteristiche esclusivamente morfologiche: il medico sceglie la cellula da fecondare rispetto alla forma considerata indice del suo migliore stato di salute. Il criterio è però soggettivo e si basa fondamentalmente sull’esperienza dell’embriologo”, dice Laura Andolfi, ricercatrice del Cnr-Iom. “L’obiettivo di queste ricerche è invece identificare un metodo più generalizzabile, non invasivo e capace di velocizzare il processo”.
Immunità e tumori: scoperta una molecola che previene la formazione delle metastasi

È italiana la scoperta della molecola MS4A4A che, grazie al ruolo centrale nel dialogo tra macrofagi e cellule Natural Killer delsistema immunitario, controlla la diffusione metastatica del tumore. I risultati dello studio, sostenuto da Fondazione AIRC, diretto e coordinato da Humanitas e Università Statale di Milano, sono pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Immunology e aprono la strada a nuovi approcci nell’immunoterapia.
I risultati di uno studio italiano, diretto e coordinato da Humanitas e Università Statale di Milano, sostenuto da AIRC grazie al programma 5x1000 guidato dal professor Alberto Mantovani, sono appena stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Immunology*. Al cuore dello studio, la scoperta del ruolo centrale della proteina MS4A4A nell'attivare una risposta immunitaria protettiva contro la diffusione metastatica del tumore. Questa molecola,scoperta in cellule del sistema immunitario, i macrofagi, si associa al recettore Dectina‐1, controllandone la funzione. MS4A4A è anche essenziale per attivare un dialogo tra i macrofagi – cellule primitive del sistema immunitario che nei tumori hanno un significato prognostico – e le cellule Natural Killer, che sono in grado di uccidere le cellule tumorali.
Aggiungi un fiore a tavola (da mangiare)

L’Università di Pisa partner del progetto Antea per sostenere la filiera emergente dei fiori eduli nell’area compresa fra Italia e Francia
Sono buoni, fanno bene alla salute e promettono di diventare una nota coloratissima nei nostri piatti. Parliamo dei fiori commestibili che sono al centro di Antea, un progetto di ricerca europeo al quale collabora anche l’Università di Pisa con i dipartimenti di Farmacia e di Scienze Agrarie, alimentari e agroambientali.
L’obiettivo di Antea è quello di sostenere la filiera emergente dei fiori eduli nell’area compresa fra Italia e Francia facendo evolvere la più antica produzione di fiori ornamentali come soluzione alla crisi degli ultimi anni del comparto della floricoltura. Nell’ambito di Antea il compito dei ricercatori dell’Ateneo pisano è quello di analizzare le oltre 40 specie selezionate per il progetto, compresi lo studio della composizione organica e delle caratteristiche organolettiche delle piante, i test allergologici e microbiologici per garantire la innocuità al consumo e infine anche l’individuazione delle tecnologie per la conservazione e il confezionamento delle preparazioni alimentari.
“Le proprietà nutraceutiche dei fiori sono dovute alla presenza di composti salutari per la dieta umana, come i polifenoli, i più importanti con attività antiossidante oltre alla vitamina C e antociani, che sono anche i principali responsabili della colorazione,– spiega Laura Pistelli, docente dell’Ateneo pisano - al momento le nostre analisi stanno riguardando alcune varietà di salvia che hanno fiori (e talvolta anche foglie) che profumano di ananas, pesca o ribes e una specie di geranio dal sapore di limone”.
Giornata mondiale della tigre

Oggi restano appena 3890 individui in 13 paesi
In Nepal, dal 2013 a oggi, la popolazione delle tigri è aumentata del 19%, ma bracconaggio, distruzione delle foreste, commercio illegale di pelli e altre parti del corpo sono ancora oggi le principali minacce per il futuro del felino
Lunedì 29 luglio sarà la Giornata mondiale della tigre, una specie simbolo che però, nonostante i tanti sforzi di conservazione, ancora oggi è protagonista di un inarrestabile declino. All’inizio del secolo scorso erano circa 100mila le tigri ancora libere in natura. Oggi ne restano solo 3.890 individui, distribuiti in maniera disomogenea in 13 differenti Paesi (India, Nepal, Bhutan, Bangladesh, Russia, China, Myanmar, Thailandia, Malesia, Indonesia, Cambogia, Laos e Vietnam), con un calo della popolazione stimato di circa il 97% rispetto a un secolo fa.
In India c’è la popolazione più numerosa, con 2.226 tigri censite, mentre negli altri Paesi la situazione è più grave. Tra Russia e Cina e si contano circa 450 tigri dell'Amur, una sottospecie unica ormai a forte rischio di estinzione, mentre in Indonesia sopravvivono solo circa 400 tigri di Sumatra, mentre in alcune aree si contano poche decine di individui. Secondo recenti studi è il Sud-est asiatico l'area in cui le tigri stanno soffrendo di più a causa del bracconaggio: la più grave causa del declino di questo splendido felino.
Il bracconaggio contro la tigre si fonda ancora oggi su credenze popolari alimentando un mercato illegale, legato anche alla medicina tradizionale cinese, che utilizza alcune parti del corpo del felino (come organi interni, ossa o denti) per la produzione di medicinali. Il commercio però riguarda tutta l’Asia: la medicina tradizionale cinese è usata anche in Laos, in Vietnam, in Cambogia. Solo in pochi Paesi esistono dei reali sforzi per frenare il bracconaggio, come ad esempio in Nepal e in India, dove stiamo assistendo negli ultimi anni ad un leggero aumento del numero di tigri.
Il più antico calendario lunare in un ciottolo di 10.000 anni fa dei Castelli Romani

Un nuovo studio, coordinato dalla Sapienza, scopre il più antico calendario lunare in un ciottolo del Paleolitico superiore proveniente dai Colli Albani. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Archaeological Science: Reports
Il calendario lunare più antico è un ciottolo del Paleolitico superiore rinvenuto nella zona di Velletri, sui Colli Albani. A svelarlo è Flavio Altamura del Dipartimento di Scienze dell’antichità della Sapienza, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma, la Provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale, che ha presentato i risultati di analisi condotte su un’enigmatica pietra decorata più di 10.000 anni fa. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Journal of Archaeological Science: Reports.
Il reperto è stato rinvenuto nel 2007 sulla cima di Monte Alto, sui Colli Albani, a sud di Roma. Il manufatto è stato definito come strumento “notazionale” e rappresenta uno dei rarissimi reperti paleolitici per i quali gli studiosi hanno ipotizzato questo utilizzo. Ad attirare l’attenzione degli archeologi sono tre serie di brevi incisioni lineari, chiamate “tacche”, lungo tre lati adiacenti del ciottolo. I misteriosi segni comprendono rispettivamente sette, nove/dieci e undici tacche, disposte in maniera regolare e simmetrica, fino a esaurire lo spazio disponibile lungo ciascun lato.
Le piante a foglie rosse sono più resistenti agli stress rispetto a quelle a foglie verdi

La scoperta, utile per la progettazione del verde nelle nostre città, arriva da una ricerca dell’Università di Pisa pubblicata sulla rivista “Frontiers in Plant Science”
Il ‘verde’ delle nostre città? Più è rosso e più è resistente. È questo quanto emerge da uno studio del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa pubblicato sulla rivista “Frontiers in Plant Science”. Il team dei ricercatori coordinato dalla professoressa Lucia Guidi, direttore del Centro Nutrafood, ha infatti scoperto che le piante a foglie rosse si difendono meglio dagli stress ambientali, come siccità, stress luminoso e salinità, rispetto a quelle a foglie verdi.
“Questo maggiore resilienza – spiega Marco Landi ricercatore dell’Università di Pisa – è dovuta alla presenza di antociani, dei pigmenti da cui deriva proprio il rosso delle foglie, che fanno da ‘filtro’ nei confronti dei raggi solari esercitando un’azione fotoprotettiva, soprattutto nei momenti in cui le foglie sono più vulnerabili, cioè quando sono più giovani o senescenti”.
La resilienza dell’orzo: è l’unica pianta in grado di crescere in tutte le aree agricole del mondo


L’Università Statale di Milano assieme al CREA e al PTP Science Park ha partecipato a uno studio pubblicato su “The Plant Journal” per identificare i meccanismi che consentono all’orzo di essere coltivato in ogni zona agricola del mondo. Un passo fondamentale per selezionare varietà adatte ai futuri cambiamenti climatici e garantire i futuri fabbisogni di cibo.
Perché l’orzo è l’unica pianta tra le specie coltivate a crescere al tempo stesso in Islanda o in Lapponia, a nord del circolo polare artico, o in pieno campo in Tibet ad oltre 4.000 metri di quota, ma è anche l’ultima coltura prima del deserto nella regione del mediooriente, in aree con una piovosità inferiore a 250mm all’anno? La risposta arriva dallo studio "Exome sequences and multi-environment field trials elucidate the genetic basis of adaptation in barley” realizzato dal consorzio Europeo WHEALBI WHEAt and barley Legacy for Breeding Improvement, con il contributo Italiano dell’Università degli Studi di Milano, di CREA – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, e PTP Science Park, pubblicato oggi sul The Plant Journal. Integrando dati di una rete internazionale di campi e quelli derivanti dalla sequenza parziale del genoma di circa 400 varietà provenienti da più di 70 paesi, i ricercatori hanno identificato decine di geni che controllano i meccanismi grazie ai quali la pianta dell’orzo “legge” le condizioni ambientali ed adatta il proprio ciclo vitale ai diversi ambienti. “Di fronte ai cambiamenti climatici in atto, comprendere la straordinaria capacità di adattamento dell’orzo è fondamentale per selezionare le piante da coltivare nei prossimi anni”, afferma Luigi Cattivelli, direttore del Centro di ricerca Genomica e Bioinformatica del CREA. “Il clima cambia e
l’agricoltura globale deve rispondere alla sfida con piante che cambino di conseguenza, per garantire i fabbisogni di cibo e di altri prodotti di origine agricola”.
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