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La risposta sale al 100% dopo 7 giorni dalla seconda somministrazione. I risultati del monitoraggio effettuato dall’Ospedale Pediatrico della Santa Sede.
A 21 giorni dalla somministrazione della prima dose del vaccino anti-SARS-CoV-2, il 99% dei vaccinati ha sviluppato anticorpi contro il virus. Sono i dati del primo monitoraggio realizzato tra gli operatori sanitari dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù dall’équipe della Medicina del Lavoro e della struttura complessa di Microbiologia, con il supporto dell’Immunologia clinica e il coordinamento della Direzione sanitaria.
Ad oggi, al Bambino Gesù, la prima dose di vaccino è stata somministrata a quasi 3.000 operatori sanitari “negativi” (ovvero mai entrati in contatto con il virus SARS CoV-2), la seconda dose a 1.425 operatori. Il monitoraggio a 21 giorni dalla prima dose ha rilevato una risposta anticorpale positiva nel 99% dei vaccinati esaminati, con la produzione di una quantità di anticorpi specifici (titolo anticorpale) 50 volte superiore alla soglia di negatività. 7 giorni dopo la seconda dose, gli anticorpi sono stati sviluppati dal 100% dei vaccinati finora valutati, con un titolo anticorpale di circa 1.000 volte superiore alla soglia di negatività, indice di elevato tasso di potenziale protezione.

Pubblicato in Medicina

 


Finanziato dalla Commissione Europea, sarà coordinato dall’Università di Pisa

Robot che si muovono facilmente in ambienti naturali, in grado di camminare su superfici sabbiose e su sentieri scoscesi e rocciosi, con il compito di monitorare foreste, praterie, dune e montagne minacciate dal surriscaldamento globale e dall’inquinamento. Nei prossimi tre anni l’Università di Pisa coordinerà il progetto “Natural Intelligence for Robotic Monitoring of Habitats” (NI), finanziato dall’Unione Europea con un budget totale di tre milioni di euro (di cui uno destinato all’Ateneo pisano), il cui obiettivo è proprio quello di sviluppare sistemi robotici capaci di “uscire” dai laboratori e muoversi in habitat naturali. Responsabile del progetto è Manolo Garabini, ricercatore del Centro di Ricerca “E. Piaggio” e del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, che guiderà un consorzio di partner internazionali. Con lui collaborano all’Università di Pisa Franco Angelini e Riccardo Mengacci, rispettivamente post doc e dottorando in Robotics.

Pubblicato in Tecnologia

 

Il primo clone di Platanus orientalis L. è stato piantato a Villa Borghese. Il giovane albero di 5 anni, è stato riprodotto per talea da uno degli 11 rari esemplari superstiti di quei circa 40 piantati nel 1600 dal cardinale Scipione Borghese, fondatore della villa. “Si tratta di uno dei pochi cloni viventi noti di antichi Platani Orientali, un grande successo reso possibile dalla preziosa collaborazione e dal supporto operativo dell’associazione Amici di Villa Borghese, che ringrazio vivamente per il grande impegno profuso.

Pubblicato in Ambiente
Lunedì, 25 Gennaio 2021 13:38

Scoperta la firma molecolare della SLA


Un nuovo studio condotto dalla Sapienza in collaborazione con il laboratorio dell’Istituto Pasteur-Italia ha identificato i potenziali marcatori della progressione della Sclerosi Laterale Amiotrofica: sono piccole molecole di RNA non codificante, i microRNA. Lo studio è stato da poco pubblicato su Cell Death Discovery
Sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Nota anche come malattia dei motoneuroni perché causa una graduale perdita di queste cellule che impartiscono ai muscoli il comando del movimento. È una malattia degenerativa che porta progressivamente alla paralisi e al decesso del paziente entro pochi anni dalla comparsa dei sintomi.

Il decorso non è però uguale in tutti pazienti, e fino a oggi, le basi molecolari che potessero spiegarlo erano sconosciute: molti biomarcatori sono stati descritti per diverse patologie neurodegenerative, ma per nessuno di loro era stata riscontrata una specifica correlazione con la SLA.

Pubblicato in Genetica
Lunedì, 25 Gennaio 2021 13:07

Economia… da Primati!


Un numero speciale della rivista Philosophical Transactions, curato, tra gli altri, da Elsa Addessi dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr, passa in rassegna alcuni degli studi più recenti sui comportamenti economici delle specie animali a noi evolutivamente più vicine, quali cebi dai cornetti, gorilla e scimpanzè, evidenziando così i meccanismi cognitivi alla base delle nostre prese di decisione.
Per comprendere i meccanismi cognitivi alla base delle prese di decisione nella nostra specie risulta di grande interesse lo studio del comportamento dei primati non umani, le specie animali a noi evolutivamente più vicine: dai cebi dai cornetti ai gorilla, fino agli scimpanzè.

Comparando il nostro e il loro comportamento economico è possibile ricostruire le radici evolutive dell’economia umana. È questo il focus del numero speciale della rivista Philosophical Transactions della Royal Society of London, dal titolo “Existence and prevalence of economic behaviors in non-human primates”, curato da Elsa Addessi dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (Cnr-Istc), insieme a Thomas Boraud (Università di Bordeaux) e Sacha Bourgeois-Gironde (Institut Jean-Nicod - Ecole normale supérieure di Parigi) e che riunisce articoli multidisciplinari di università e centri di ricerca internazionali, dalla psicologia comparata all’economia, fino alle neuroscienze.

“I 16 contributi forniscono una panoramica delle più recenti ricerche sui comportamenti economici dei primati non umani. Ad esempio, evidenziano una serie di differenze interindividuali nella presa di decisione in condizioni di rischio, fondamentali per comprendere le origini evolutive del gioco d’azzardo patologico nella nostra specie”, spiega Addessi. “L’attitudine al rischio, ossia la preferenza per opzioni che hanno una probabilità di vincita anche bassa, come nel caso del sei al superenalotto, cambia a seconda del contesto sociale e dell’entità delle possibili perdite: gli scimpanzé sono più propensi all’azzardo in presenza di un potenziale competitore e quando, perdendo, ottengono una piccola ricompensa. Anche la modalità di proposta delle opzioni è importante: analogamente a quanto messo in luce tra gli esseri umani, i macachi rischiano di più di fronte a potenziali perdite che a potenziali guadagni”.

Pubblicato in Paleontologia


L’Università di Pisa nel consorzio internazionale che ha realizzato lo studio pubblicato sulla rivista Science Advances e che migliora gli attuali modelli predittivi del clima futuro


Il clima in Europa 12mila anni fa era in molte regioni più piovoso di oggi, in alcune aree del Mediterraneo fino a 1000-2000 mm all’anno in più rispetto all’attuale. E’ questo quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances e condotto da un consorzio internazionale di università fra cui quella di Pisa.
La scoperta rovescia le attuali convinzioni, sinora si riteneva infatti che il clima in quell’epoca fosse generalmente più arido, e migliora sensibilmente i modelli predittivi sul clima grazie anche ad una maggiore comprensione dell’importanza della corrente a getto polare (un vento molto veloce di alta quota) per il clima di quel periodo.
“Per l’Europa si tratta della prima ricostruzione quantitativa delle precipitazioni avvenute durante lo Younger Dryas, cioè il periodo di rapido raffreddamento del clima avvenuto circa 12.000 anni fa, alla fine dell’ultima era glaciale”, spiega il professore Adriano Ribolini del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ateneo pisano.

Pubblicato in Ambiente



The Institute for Research in Biomedicine (IRB; Bellinzona, Switzerland), affiliated to the Università della Svizzera italiana (USI) developed a second-generation ‘double antibody’ that protects from SARS-CoV-2, the virus causing COVID-19, and all its tested variants. It also prevents the virus from mutating to resist the therapy.

Antibody-based immunotherapy was already shown to be effective against COVID-19 but faces two main obstacles: it needs to work against the circulating viral variants; it must prevent formation of new variants, that can rapidly ensue via a mechanism similar to that leading to antibiotic resistant bacteria. We solved the problem by joining two natural antibodies into a single artificial molecule, called ‘bispecific antibody’, that targets two independent viral sites simultaneously.

Pre-clinical trials showed that this bispecific antibody potently neutralizes SARS-CoV-2 and its variants, including the recent UK one circulating in Switzerland and Europe with increased spread. The bispecific, but not first-generation antibodies, prevents the virus from changing its structure to evade therapy. The high bispecific potency and its overall characteristics make it an ideal candidate for human clinical trials, with good chances of employment both for prevention and treatment of COVID-19.

Pubblicato in Scienceonline



Necessario investire nella informazione e prevenzione per evitare i conflitti

In un’area agricola tra le località di Coazze e Ronchetrin a Gazzo Veronese, in provincia di Verona, un agricoltore ha sparso una enorme quantità di mais avvelenato, probabilmente con l’obiettivo di uccidere le nutrie.
La presenza di una tale disponibilità di cibo, in un periodo difficile come quello invernale, ha però attratto numerose specie animali che, dopo averlo ingerito, hanno inesorabilmente perso la vita.
Il personale intervenuto sul posto ha rinvenuto decine di carcasse tra cui lepri, volpi, fagiani, anatre, oche, aironi, pesci e ha rilevato come il mais avvelenato sia presente in un’area molto estesa (circa due ettari) rendendo difficile la completa bonifica.
Il luogo si trova poco distante dall’area protetta Palude del Busatello (una ZPS, Zona di Protezione Speciale) e vi è un concreto rischio che il veleno, ingerito da diversi animali, possa entrare nella catena alimentare avvelenando i predatori e gli animali che si nutrono di carcasse, come rapaci e corvi.
L’agricoltore è stato denunciato per avvelenamento e disastro ambientale.

Pubblicato in Ambiente

Photo: Miguel Ángel Mateo, Diego Moreno

 

Large-scale production of vegetables and fruit in Spain with intensive plastic consumption in its greenhouse industry is believed to have leaked microplastic contaminants since the 1970s into the surrounding Mediterranean seagrass beds. This is shown in a new study where researchers have succeeded in tracing plastic pollution since the 1930s and 1940s by analyzing seagrass sediments.

About half of Sweden’s cucumbers and a fifth of the tomatoes in Sweden are currently imported from Spain according to the Swedish Board of Agriculture. A special area in Spain where large-scale vegetable cultivation takes place is Almería on the Mediterranean coast in southeastern Spain. A new study from the area of Almería, also known as “the sea of plastic”, shows that the intensive use of plastics in the greenhouse industry seems to have led to ever-increasing emissions of microplastics since the development of intensive greenhouse farming in the 1970s.

“Almería is unique in Europe because it is one of the few human structures that can be seen from space because it is so large. The area accounts for about a quarter, or three million tonnes, of the total Spanish exports of vegetables and fruit”, says Martin Dahl, researcher in marine ecology at the Department of Ecology, Environment and Plant Sciences, Stockholm University, who is the first author of the study in the scientific journal Environmental Pollution.

Pubblicato in Scienceonline

Abstract

The SARS-CoV-2 pandemic is one of the greatest global medical and social challenges that have emerged in recent history. Human coronavirus strains discovered during previous SARS outbreaks have been hypothesized to pass from bats to humans using intermediate hosts, e.g. civets for SARS-CoV and camels for MERS-CoV. The discovery of an intermediate host of SARS-CoV-2 and the identification of specific mechanism of its emergence in humans are topics of primary evolutionary importance. In this study we investigate the evolutionary patterns of 11 main genes of SARS-CoV-2. Previous studies suggested that the genome of SARS-CoV-2 is highly similar to the horseshoe bat coronavirus RaTG13 for most of the genes and to some Malayan pangolin coronavirus (CoV) strains for the receptor binding (RB) domain of the spike protein.

Full article

 

Pubblicato in Scienceonline

Medicina

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